Il rettore Filippo de Rossi: ''All'Università del Sannio la ricerca è al primo posto'' Società

Quanto è importante per un giovane scegliere la giusta Facoltà per soddisfare pienamente le proprie ambizioni?

Ad influire è sicuramente il concetto di occupabilità. Oggi vi è uno sbilanciamento verso le competenze più legate alle attività produttive, sia di beni che di servizi; abbiamo una richiesta spinta di laureati in Ingegneria, in Scienze statistiche o in Economia, mentre segna il passo Giurisprudenza. Tuttavia devo dire che non bisogna abbandonare l’aspetto un po’ romantico di seguire le proprie inclinazioni.

L’Università del Sannio, coi suoi tre Dipartimenti prova a distinguersi nel panorama universitario del Mezzogiorno. Ricordiamo alcuni punti… di alta qualità.

La ricerca ha un ciclo che può durare anche cinque anni, va impostata, portata avanti e resa applicabile. Diverse valutazioni ci premiano: siamo sempre stati nei primi posti nell’ambito dei piccoli Atenei, il che significa che le ricerche che vengono qui condotte dai nostri quasi 200 docenti, sono al di sopra del livello medio.

Facciamo alcuni esempi.

Ricerche sull’applicazione dell’Ingegneria ai campi medici, in particolare all’oncologia. Nel campo del risparmio energetico in edilizia o dell’ingegneria civile - la collaborazione con Gesesa, per esempio, ha consentito all’ente di fare importanti migliorie operative sulle sue reti o con istituti ministeriali nell’ambito dell’ingegneria delle strutture: quindi trasporti, geotecnica. Dell’ingegneria industriale, sugli addentellati in impiantistica chimica, nel campo delle biologie - soprattutto con la genetica in termini di applicazioni farmaceutiche e di applicazioniì diagnostiche. Applicazione idrogeologiche al dissesto del territorio, statistiche attuariali, collaborazioni consolidate che stanno per tramutarsi in iniziative di didattica avanzata. In economia, col coordinamento di tavoli di supporto alla Regione: due dei quali molto importanti come le Zes, Zone economiche speciali e l’altro che si occupa di moltiplicare i benefici che arriveranno sul territorio dall’Alta capacità. Per finire con le collaborazioni con Consigli di Stato, Consulta o Corti europee, enti apicali dove i nostri studenti vanno a fare tirocini o dottorati. Devo dire che dal punto di vista dell’intensità della ricerca, l’Ateneo va molto bene.

Si fa tanta ricerca, ma il difficile è appunto individuare le giuste applicazioni.

La nostra caratteristica più importante è non solo l’intensità e la qualità della ricerca, ma soprattutto la continua tensione verso le applicazioni dei frutti della ricerca. Tant’è che l’Ateneo partecipa attivamente a tantissime strutture di trasferimento tecnologico, luoghi in cui si crea un contatto tra i centri di ricerca ed il mondo produttivo o dei servizi, per verificare la messa in pratica delle varie attività che vengono studiate: partecipiamo ad un consorzio finanziato dal MiSE per la diffusione delle tecniche e delle pratiche cosiddette 4.0.

La più concreta delle iniziative in atto?

L’analisi dell’applicazione delle tecniche d’intervento per la riqualificazione del patrimonio edilizio, in senso energetico ed antisismico, utilizzando al meglio le risorse “eco-bonus” e “sisma-bonus”, finalizzate a migliorare il patrimonio edilizio, ridurre i costi per i consumi e aumentare il valore del bene.

Si parla tanto di smart city, utopia o realtà?

Ci sono diversi modi d’intendere la smart city: un territorio che, attraverso l’utilizzo di sensori e di reti, è sempre ben monitorato e poi, a secondo del grado d’implementazione degli interventi di feedback sui dati sensoristici, gli interventi di correzione o di adeguamento - nel breve e medio periodo - ai fenomeni segnalati. Per avere però sistemi gestionali in grado di rispondere a questo paradigma di controllo, devi averli già pensati in questo senso. Un esempio: per il controllo del traffico urbano, posso mettere innovativi sensori o centraline, ma se il sistema semaforico non prevede l›interfaccia, diventa inutile. È difficile applicare una smart city ad una realtà che non è smart.

Con Ance Benevento qualcosa si sta pensando di realizzare.

Stiamo immaginando di fare un’applicazione-pilota ad un sottoinsieme urbano, che può essere un pezzo o un quartiere intero, in maniera tale che poi, da lì, si possono trarre risultati da applicare su scala maggiore.

Quali i risultati che pensate di ottenere?

Per passare dallo studio teorico alla progettazione di un’applicazione, servono ovviamente le risorse. È indispensabile quindi coinvolgere soggetti intermedi, che rendano applicabile i progetti che scientificamente produce il mondo della ricerca. È necessario, quindi, puntare su ciò che concretamente richiede il mondo reale, sia esso istituzionale che produttivo e su risorse non ordinarie bensì straordinarie. Fortunatamente, soprattutto sui fondi europei queste risorse ci sono: bisogna saperle intercettare e finalizzare.

Nel mio libro Terzo Millennio il prof. Vaccaro definisce Internet delle Cose una delle tecnologie abilitanti della nuova era. IoT cambierà davvero il nostro modo di vivere e di operare?

Stiamo declinando il paradigma IoT e le corrispondenti tecnologie abilitanti nelle diverse componenti che sostengono il progetto culturale dell’Ateneo. Abbiamo attivato un processo di armonizzazione continua dei percorsi formativi alle moderne linee di ricerca industriale, nell’ambito delle quali l’IoT rappresenta, sicuramente, un elemento di innovazione fortemente interdisciplinare. Molti corsi di studio, oltre che affrontare lo studio delle metodologie dell’informazione e della comunicazione pervasivi di unità intelligenti ed autonome, mirano anche a costruire le

competenze tecniche necessarie allo sviluppo di soluzioni IoT nei principali settori dell’ingegneria, quali quello elettronico, civile ed energetico.

Significative anche le esperienze maturate dai diversi Spin Off dell’Università.

Sono state ideate, sviluppate e brevettate soluzioni innovative basate su IoT per la gestione flessibile della domanda di energia elettrica, la gestione di sistemi energetici mediante social networks, il monitoraggio pervasivo delle infrastrutture edili, il controllo delle micro e nano reti elettriche. Abbiamo anche attivato processi d’interazione periodica con numerosi imprenditori, finalizzati a favorire utili sinergie tra il comparto produttivo e il mondo accademico, che, nel caso dell’IoT, rappresenta uno strumento strategico e, addirittura, necessario, per incrementare la competitività delle nostre aziende sul mercato globale.

Il nuovo regolamento sulla privacy è un passo determinante che l’Europa ha fatto per la protezione dei dati, riconoscendo la gravità dei rischi a cui un’inappropriata gestione delle informazioni espone i cittadini.

Purtroppo, il Regolamento impone alle organizzazioni nuovi modelli e strumenti di gestione dei dati, il che comporta costi e sforzi rilevanti, soprattutto per le PMI o per quelle che non hanno mai fronteggiato i problemi di privacy. Io credo che il vantaggio principale sia quello di aver stimolato la consapevolezza del problema ex-abrupto, in modo straordinariamente forte. Purtroppo non sarà sufficiente, perché stiamo andando verso un mondo in cui la quantità di dati che disseminiamo è crescente e soprattutto condivisa, processata e immagazzinata in un numero sempre più alto di dispositivi e software. Quello che davvero servirebbe è, da un lato, lo sviluppo di una consapevolezza in ciascun utente di quali sono le modalità corrette di gestire o distribuire i propri dati; dall’altro c’è bisogno che la ricerca sviluppi sistemi di protezione molto più efficaci di quelli attuali, che sono davvero insufficienti a proteggerci.

GIUSEPPE CHIUSOLO