Il sindaco e il giudice Società

Era il secondo numero del secondo anno di vita di Realtà Sannita, una copia costava duecento lire, e il fondo era intitolato Il Sindaco e il Giudice. Un assessore all'urbanistica si era dimesso e c'erano state polemiche e critiche. Il sindaco dell'epoca, siamo ai primi giorni del 1979, mandò platealmente le carte alla Procura della Repubblica.

Scrissi che l'attività della Amministrazione è soggetta all'intervento della Autorità che va scovando reati penali, ma da questa medesima Autorità non deve ricevere nessun tipo di approvazione. Il sindaco dell'epoca, che era (ed è, felicemente) anche avvocato, ebbe modo di replicare, in privato, che non era affatto d'accordo con la mia tesi.

Sarà l'influsso delle fasi lunari invernali, la storia si ripete. Stuzzicato dal pressing dell'ex city manager e attuale consigliere PDL Nicola Boccalone, il sindaco Fausto Pepe ha perso la pazienza ed è andato alla Procura della Repubblica, dandone informazione pubblica con una apposita conferenza stampa.

Dal 1979 ad oggi sono state fatte molte riforme sulla organizzazione e sulle competenze delle amministrazioni comunali. Soprattutto è stata esaltata l'autonomia del sindaco rispetto al Consiglio (è eletto direttamente, se vuole è lui, con le sue dimissioni, che manda il consiglio a casa), mentre il consiglio comunale, divenuto organo di indirizzo, non è implicato nella gestione, dovendo ricevere, per esempio, le proposte di delibera confezionate dalla Giunta munite da un certificato di correttezza amministrativo, fornito dal collegio dei revisori dei conti. Collegio, non un tris di liberi professionisti, ognuno dei quali produce un parere e altri fanno la somma per ricavarne il risultato.

Degli atti e dei provvedimenti amministrativi sono titolari (e responsabili), dal 1993, i dirigenti. A dicembre 1996 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale (estremo brandello di dignità parlamentare della classe politica sotto schiaffo per Tangentopoli) una legge con la quale si esclude qualsiasi responsabilità ecnica degli organi collegiali eletti dal popolo, essendo essi chiamati ad interpretare l'interesse generale e non ad esercitare attività professionale.

Se a febbraio 1979 potevo scrivere che il consigliere comunale non risponde al giudice (salvo che non commetta fatti costituenti reato), lo facevo ricorrendo ai principi del diritto. Oggi posso ricorrere alla legge scritta, cioè al cosiddetto diritto positivo.

C'è molto da fare per riportare in mezzo alle assemblee elette dal popolo una sana cultura sulla divisione dei poteri e sullo stato di diritto. E, nella mancanza totale di partiti organizzati, che una volta facevano anche cultura politica, credo sia interesse degli stessi eletti dal popolo darsi strutture di formazione giuridica e istituzionale per orientarsi circa ruoli, competenze, funzioni, responsabilità (anziché inseguire la chimera della Scuola di Magistratura, perché non si prende l'iniziativa di costituire nella ex caserma Guidoni una scuola nazionale di formazione per amministratori locali?).

E' pur vero che la statura e il grado di indipendenza dei dirigenti sono miseramente crollati con l'attivazione di spoils system caserecci, ma la polemica sui fatti urbanistici sembra tenere al riparo le responsabilità dei dirigenti, volendo, invece, premere sui tasti della esponsabilità politica.

Non si capirebbe, altrimenti, perché Boccalone chiami in causa il sindaco.

Se è così - se, cioè, si tratta di discutere sulle competenze della Amministrazione e della sua capacità gestionale - mettere nelle mani della Procura della Repubblica la redazione di un responso tale da chiudere in maniera definitiva la discussione è operazione priva di prospettive.

La Procura non risponde al sindaco, non dà pareri alla Giunta, non dà consigli ai consigli comunali. La Procura non è mai stata e non sta nei circuiti della pubblica amministrazione, che ha propri organi di controllo e di vigilanza.

E' vero che, quando si parla di urbanistica, siamo tutti competenti e tutti moralisti, pronti ad abbattere i manufatti altrui e a tutelare i propri. E' altrettanto vero, però, che fatti da chiarire e da spiegare alla pubblica opinione ce ne sarebbero. Il sindaco Viespoli si vide abbandonato dal proprio assessore all'urbanistica (persona, peraltro, di assoluta fiducia) e il successore D'Alessandro addirittura sfiduciò da assessore il proprio presidente di partito.

Le Giunte, che pure qualche competenza ce l'avrebbero, non pare abbiano mai fiatato. Era pusillanime il primo assessore e iperattivo il secondo?

Una modesta opinione me la sono fatta. Ed è la seguente.

Non fu il primo sindaco, quello di Benevento, allorché, nel 1979, mandò le carte in Procura. Da quella tendenza a trasferire altrove il luogo della decisione e della responsabilità è nato un duplice effetto, del quale scontiamo ancora le conseguenze: a- la Magistratura viene sempre più investita da iniziative di cittadini e di amministratori, spesso col solo risultato di ingolfarne il motore -b dirigenti e amministratori hanno paura di mantenere il punto sulla definitività dei loro atti.

Di qui dirigenti che revocano concessioni edilizie a distanza di anni, passando a revocare la revoca, così dando l'impressione non tanto di una incapacità tecnica quanto di un potere occulto della politica che si materializza a ondate temporalesche, rumorose ma improduttive di risultati.

La politica si appropri della sua area di azione. Passare le carte, che ineriscono ad una funzione propria, non è segno di forza.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it