La festa di San Giuseppe e le cavezune Società
Nell’area geografica del MoliSannio e parte della Puglia Fortorina c’è un dolce denominato “Cavezune” che lega e accomuna diversi paesi nel nome di San Giuseppe.
Un dolce fritto, a mo’ di sfogliatella Napoletana, preparato con pasta sfoglia farcita di un impasto aromatizzato e cremoso di ceci, miele e cannella.
I paesi limitrofi dove la tradizione di gustare i “Cavezune” per la ricorrenza di San Giuseppe sono soprattutto Castelpagano (Bn) e Riccia (Cb).
A spiegare la presenza della stessa usanza in questi paesi potrebbe essere la leggenda per cui si narra che una volta i progenitori degli abitanti di entrambe le comunità appartenessero ad un unico villaggio, il feudo di Sant’Angelo della Radiginosa, da cui si sarebbero allontanati abbandonandolo a causa di una invasione di formiche, per dirigersi verso gli attuali territori.
I festeggiamenti in onore del santo presentano però alcune differenze, non certo per i riti religiosi che sono quasi identici, ma nel modo di trascorrere l’intera giornata.
Nel centro beneventano il tutto si svolge in tono minore, rispetto a quello molisano dove la celebrazione è più suggestiva e ricca di elementi caratteristici che fanno della festa un vero e proprio rituale, che associa cultura, religiosità e gastronomia in un connubio di fede e folklore religioso.
Per devozione a San Giuseppe e alla Sacra Famiglia molte famiglie riccesi invitano per l’occasione nelle proprie case i “santi”: un uomo sposato, una donna (nubile o sposata), un bambino o un giovane non sposato, che rappresentano rispettivamente San Giuseppe, la Madonna e Gesù bambino, mentre altri uomini raffigurano gli apostoli.
Tutti prendono parte ad un lauto pranzo durante il quale vengono recitate preghiere e il Santo rosario.
Le pietanza sono tredici: si inizia con un’insalata di arance condite con olio e zucchero, poi ci sono due primi piatti i vermicelli serviti freddi con mollica di pane, uva passa e noci tritate e gli spaghetti al sugo con polpettine di tonno. Seguono due portate di baccalà, quello fritto e quello arracanato, accompagnato da cavolfiori lessi o fritti nella pastella. Ritornano poi le polpette di tonno e i peperoni ripieni. In più c’è la lessata di legumi e infine per i dolci, si passa dal riso con il latte e cannella, al biscotto all’uovo, agrodolce e Cavezune.
Di questa tradizione ci sarebbe ancora tanto da dire, ma non possiamo, in ultimo, non ricordare quella che è la figura principale attorno alla quale ruota il contesto folkloristico religioso di questa festa.
E’ la padrona di casa che invita i figuranti, coordina i vari passaggi del rito, e che al momento di licenziare i convenuti a fine pranzo, li chiama a raccolta per l’ultimo bicchiere di vino esclamando: “A’ cchi è ‘bbive l’anne che ‘bbè” - “A chi è vivo l’anno prossimo”.
CAMILLO GIANTOMASI