La società civile chi l\'ha vista Società

Il virus colpisce gli assetti più tradizionali delle istituzioni, vale a dire le burocrazie, i posti di comando, i vertici degli enti, dove la capacità di fiutare la direzione dei venti produce consolidamento di rapporti o veloci aperture, se non veri e propri tradimenti. Tuttavia pochi pongono attenzione a ciò che avviene nella struttura delle istituzioni. Il gioco viene in qualche misura governato dai sindacati talvolta in contrapposizione e talaltra in collateralismo puro con i vertici politici. Il fatto è che le strutture burocratiche sopravvivono anche ai cataclismi. Si possono cambiare gli uomini di vertice, il grosso (il corpaccione, si diceva una volta) resiste a tutti i cambiamenti, fino a far percepire una sostanziale indipendenza dagli umori del potere politico. La ragione di tutto ciò sta nella storia delle istituzioni, che si organizzano in forme autoreferenziali; e sta nella impossibilità, per qualsiasi maggioranza politica, di sostituire una intera classe dirigente burocratica.
I più anziani ricorderanno la sopravvivenza di magistrati, prefetti ed alti burocrati alla caduta del fascismo e all’instaurazione della Repubblica. Può dirsi lo stesso per gli anni di Tangentopoli, quando una intera classe amministrativo politica (deputati, sindaci e consiglieri) fu fatta fuori e le burocrazie, invece, passarono al servizio dei vincitori. Si coalizzano due fattori per realizzare ciò di cui abbiamo appena fatto cenno: l’istinto di conservazione della massa burocratica e l’impossibilità di totale sostituzione della stessa, il che convalida la forza della autoperpetuazione. Diversa è la condizione della cosiddetta società civile. Se, come singoli, sono in tanti a preoccuparsi di salvare la posizione o, meglio, di approfittare per guadagnare nuove collocazioni, come rappresentanze di interessi (associazioni di categorie, gruppi professionali, fette di popolazione residente, fasce di difesa sociale, movimenti di opinione) generalmente sono in grado di far nascere alleanze temporanee per sostenere un progetto o un candidato.
Se,infatti, anche le rappresentanze tradizionali degli interessi (confindustria, sindacati, ordini professionali) risentono del fatto di essere burocratizzate, nel senso di vivere una autonoma vicenda istituzionale programmata su lungo periodo, la prospettazione di un obiettivo collettivo immediatamente identificabile suscita interesse e genera aggregazione di persone superando le appartenenze ideologiche e partitiche. La nascita di comitati di quartiere ne è la dimostrazione più lampante. Gli abitanti di una certa zona della città, mettendo momentaneamente da parte le differenze di idee politiche e la diversità di intenzione di voto, si riuniscono per sostenere una identica idea di soluzione dei problemi del quartiere. E’ questa la più genuina manifestazione di quella misteriosa essenza sociale che va sotto il nome di società civile. Più che ai gruppi istituzionali (confindustria, sindacati, ordini professionali), che somigliano sempre più a degli uffici statali in cui la gerarchia prevale sulla freschezza delle idee, il termine di società civile si addice ai gruppi che si selezionano liberamente per la tutela di interessi e non per la pubblica testimonianza di una appartenenza. L’appartenenza (politica, religiosa, familiare), infatti, non è in gioco: è in gioco un interesse collettivo politicamente neutro. Che si faccia una strada, che si assicuri la illuminazione, che si costruisca una scuola o una chiesa. Che questo tipo di associazioni si proponga quando all’orizzonte ci sono le elezioni non è affatto uno scandalo. I partiti politici, in questa fase,infatti, sono più ricettivi, sia pure per sola captatio benevolentiae. Contrariamente a quanto comunemente si crede, anche per colpa di una sciagurata legislazione autolesionista, non è che in campagna elettorale si fanno solo le schifezze. Il periodo della campagna elettorale è, invece, un periodo di formazione politica ed è l’unico periodo nel quale la classe dirigente politica fa esercizi democratici bi-direzionali. Non soltanto indottrina il volgo, ma avendo interesse a chiedere il voto si ferma a parlare e a sentire. Nella campagna elettorale anche il più superbo dei candidati fa rifornimento di idee altrui. Dicevo, dunque, che la nascita di comitati di quartiere non deve scandalizzare. Deve preoccupare, invece, il sostanziale mutismo di quelle associazioni più istituzionali che dovrebbero, invece, calare le carte e provare ad intercettare i giocatori più bravi. Allorché si parla di programmi, che dovrebbero essere prioritari rispetto ai nomi dei candidati, è evidente che la questione non si risolve se la si affida ai soli partiti. Un partito che si rispetti è in grado di costruire un vestito (il programma) su misura (il candidato). Se, invece, gli obiettivi da raggiungere, posti come condizione di un appoggio da parte di certe organizzazioni forti, fossero precisati e pubblicati, ciò non costituirebbe affatto una sfida illegittima alla politica. Sarebbe la prima battuta di un dialogo. Presentando con chiarezza le cose da fare, i partiti sarebbero costretti a mettere in campo i candidati capaci di garantire lo sviluppo e la realizzazione di quel programma. Insomma la società civile può entrare nella vicenda politica restando indipendente dai partiti. E può condizionare fortemente i programmi dei partiti. Ci riesce se parla chiaro. Se la società civile fa discorsi fumosi, i partiti sono bravi ad annacquare il tutto in documenti illeggibili. E difatti, per lo più, nessuno li legge. Non va sempre meglio per i documenti confindustriali, sindacali,etc. Vuoi vedere che la crisi della scrittura corrisponda ad una crisi delle idee?
MARIO PEDICINI

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