L'asso pigliatutto (o piglianiente?) Società
I saggi non stanno solo sul Colle. Possono (e debbono stare) anche in basso, sparsi tra la folla. E' necessario che su certe questioni, insomma, l'uomo qualunque cominci a farsi una formazione corretta, perché non è giusto (e non procura alcun vantaggio) vivere da spensierati, andare a votare con disinvoltura e risolvere le difficoltà invocando il “tutti a casa”. Che sarebbe, più precisamente un “tutti loro” a “casa loro”.
Riforme. Si chiamano così quelle decisioni di cambiamento. Non è possibile che siano tutti d'accordo, compresi quelli che dai cambiamenti saranno danneggiati. E' evidente, quindi, che le riforme si fanno a maggioranza, che è precisamente il metodo democratico.
Elezioni. Anche le elezioni si svolgono con metodo democratico. Chi perde non può avere gli stessi diritti di chi vince. E chi vince non ha la stessa libertà (di stare sul cirasiello) di chi ha perso. Chi vince, cioè, ha il dovere di assumersi tutte le responsabilità del fare. Alle elezioni successive sarà giudicato. Non può astenersi dal fare per paura di perdere le successive elezioni.
Si dice che in Italia ci sono molte anomalie. Sarebbe una anomalia che si voti in maniera diversa per la Camera e per il Senato. Sarebbe una anomalia che il parlamento sia costretto a votare solo disegni di legge e decreti legge proposti dal governo. Una anomalia gemella è quella di un parlamento che non sa fare leggi proprie e si riduce a fare il notaio riottoso di quel che passa il governo. Altra anomalia è che il presidente della Repubblica non ha molti poteri e che, addirittura, il presidente del consiglio non conti una mazza.
Per tutte queste ragioni (e per mille altre) si dibatte sul che fare. Ma c'è improvvisazione, c'è disordine logico e c'è memoria corta.
Vent'anni fa il popolo italiano, al referendum proposto da Mario Segni (divenuto, poi, “leader referendario”), sfiorando l'unanimità, abolì le preferenze plurime per la elezioni dei deputati. Si disse che erano occasione di corruzione. Nel '94 si votò con un sistema misto: l'uninominale (collegi piccoli, vince il primo e se muore non subentra il secondo ma si torna a votare) per il 75%; proporzionale ( per salvare i pesci grossi che all'uninominale sarebbero stati impallinati dalla rabbia montata da Mani Pulite) per il 25%. A partire da Padre Sorge per finire ad intellettuali raffinati si disse che l'uninominale è ingiusto, perché un partito che abbia in toto il 30 per cento dei voti nazionali, se piazza un candidato vincente in ogni collegio, può fare cappotto.
Tornò così il proporzionale. Ma il proporzionale non garantisce la “governabilità”, tema sul quale s'era imbattuto (e s'era sfasciato) Bettino Craxi.
Allora, teniamoci il proporzionale e, nel motore del proporzionale, mettiamo il kers. Cioè un consistente premio di maggioranza. Si fa la legge (quella di Calderoli, dallo stesso poi ingiuriata come “porcata”), con la quale chi vince si porta a casa una maggioranza assoluta abbondante. La Corte Costituzionale dice che, a norma di Costituzione, la votazione al Senato deve avvenire su base regionale.
In parlamento molte facce nuove non conoscevano la Costituzione. Nel paese molti vecchi non si ricordavano più che la Costituzione (per evitare che Camera e Senato fossero due botti con lo stesso medesimo vino) aveva previsto che al Senato ci si può candidare a partire dai quarant'anni e che si vota a partire dai 25, ma aveva anche previsto che la durata del Senato fosse diversa da quella della Camera dei Deputati. Perché? Ma proprio per fare in modo che le diverse (anche mutevoli) sensibilità del corpo elettorale fossero prontamente rappresentate nel Parlamento. La Costituzione del 1948 voleva che Camera e Senato non fossero la stessa cosa. Ecco perché il Presidente della Repubblica, ancora oggi, non è obbligato a sciogliere entrambe le camere, ma ne può sciogliere una sola.
La regola della diversa durata di Camera e Senato fu elusa con lo scioglimento contemporaneo delle due camere sin dalle prime elezioni “costituzionali” del 1953.
Le quali furono segnate dalla ”nfamia” della “legge truffa”. Il premio di maggioranza sarebbe toccato a chi avesse preso il 50 per cento più un voto. E i comunisti la bollarono come “legge truffa”.
Adesso ciò che resta del glorioso partito comunista e di qualche brandello dell'altrettanto gloriosa DC vuol farci credere che gli fa schifo una legge elettorale che gli regala una abnorme maggioranza alla Camera, ma gli disturba la play station al Senato. E gli italiani (che applaudono entusiasti il Benigni che la definisce la più bella del mondo, ma che la Costituzione non l'hanno mai letta) sarebbero pronti a fare sfracelli per abrogare il “porcellum”. E quando mai Bersani potrà avere più una maggioranza quale quella che è uscita dall'uovo di pasqua del 25 febbraio 2013?
Sì, direte, ma bisogna ridurre il numero dei parlamentari. Era stato fatto con una legge costituzionale, ma forse anche lo stesso Bersani al referendum del 2006 votò per la sua bocciatura.
La confusione, sette anni fa, fu veramente forte. Il referendum fu promosso al suono di “no alla devolution”. Peccato che la devolution era stata introdotta nel sistema costituzionale con la cosiddetta riforma del titolo V, finita sulla Gazzetta Ufficiale ad ottobre 2001 perché approvata dal Parlamento a maggioranza centrosinistra.
Si capisce che un povero segretario di un partito, una volta esempio di organizzazione e di disciplina e ora ridotto ad affittare gazebi per suicidarsi con primarie e parlamentarie, abbia perso la bussola. E si presenti in tv per coniare l'ossimoro del ventunesimo secolo: “Siamo primi, ma non abbiamo vinto”.
Tanto convinto di non essere il leader legittimato dalle elezioni, che non vuole promuovere accordi con quelli che lui ha battuto. Convinto di non avere le carte per governare, si è affidato al presidente della Repubblica affinché i saggi da quest'ultimo lestamente arruolati aggiornino le regole dell'asso pigliatutto.
Il presidente, poi, saprà lui come fare a far capitare l'asso nelle tre carte dell'ultima mano proprio a uno dei tre Ber saliti sul palcoscenico della storia nel giro di una settimana. In ordine alfabetico, Bergoglio, Berlusconi, Bersani.
Bersani, forza: l'asso lo devi conservare per l'ultima girata di carte. E non dire che te l'hanno passato.
MARIO PEDICINI
mariopedicini@alice.it