L'informazione, il potere e la gente Società

C'è un parallelismo illuminante tra le teorie sul giornalismo espresse da Luciano Violante e Marcello Pera, presidenti emeriti di Camera e Senato - nel convegno sulla libertà di stampa organizzato a Positano dall'Ordine nazionale dei giornalisti -, e la pratica, il quotidiano raccontato nel film Fortapacé su Giancarlo Siani, il cronista ucciso dalla camorra. Da una parte i ragionamenti sull'identità del giornalista oggi, dall'altra il percorso concreto di un giovane abusivo che crede nel suo lavoro, lo pratica con onestà e puntigliosità.

Se si riesce a immaginare, a trasporre il giornalismo al posto della figura di Siani, il gioco è fatto: le teorizzazioni dotte diventano realtà concrete con cui confrontarsi per dare risposte collettive ai problemi; per tutelare i singoli operatori dell'informazione, evitando di farli diventare eroi loro malgrado. Bene hanno fatto gli organizzatori dell'iniziativa a far precedere la discussione sulla libertà di stampa con la proiezione del film di Marco Risi.

E' il potere, comunque, la chiave interpretativa di qualsiasi ragionamento che può essere fatto sull'informazione e i suoi uomini. Potere che viene attaccato per operazioni di sostituzione, di puro potere appunto. O potere che viene servito, adulato, coccolato a fini d'interesse personale o di gruppo. Oppure, come dovrebbe essere, potere che viene analizzato con distacco, raccontato, senza indulgenze e soprattutto con autonomia. Violante ha ragione quando esamina il giornalismo del ‘900 e lo raffronta a quello attuale trovandolo, al di là delle nuove tecnologie, profondamente cambiato. Allora, nel secolo passato, c'erano i partiti con le loro pecche e con i loro meriti, qualcosa di collettivo in cui il cittadino si sentiva rappresentato. Nel duemila ci sono i leader. C'è la personalizzazione del potere. E la gente oggi si sente più difesa e tutelata da un singolo personaggio - Berlusconi o Prodi che sia -, che non da apparati con complessi e oscuri, per la gente, processi decisionali. I mezzi d'informazione giocano quindi un ruolo decisivo. Tenuto anche conto che la legge elettorale, il porcellum, è tutta costruita dal punto di vista della premiazione della leadership, depotenziando di fatto la rappresentanza parlamentare. O scrivi un programma di governo di trecento pagine - dice Violante - o ti presenti come un leader della decisione e però ti servono i media che ti devono dare l'immagine di personaggio decisionista. Guai se questo non avviene. I sondaggi demoscopici s'impennano verso il basso.

Un'altra questione delicata è sul tipo di giornalismo che dovrebbe essere praticato. Giornalismo democratico o giornalismo liberale? Per Marcello Pera non ci sono dubbi, il giornalismo è liberale, perché deve difendere la libertà tra le libertà, a differenza del giornalismo democratico che forma il cittadino alla democrazia. Il rischio nel giornalismo democratico è la nascita di un cronista partigiano militante della democrazia. Cioè un soggetto che sempre nella sua azione d'informazione lavora per formare alla democrazia, con il rischio di diventare un politico militante. E' questa la motivazione che fa nascere i programmi partito, o i giornali partito? O, per converso, è la voglia di sostituzione, di attaccare il potere per surrogarlo o per trarne vantaggi?

Forse alcune definizioni sono troppo manichee per essere realistiche. Siani era un giornalista democratico o liberale? Certo, non era un giornalista impiegato, ma un cronista che aveva voglia di raccontare sul potere quello che vedeva e capiva, senza ipotesi di scoop o di partigianeria. Probabilmente proprio per questo ci sono voluti tanti anni perché uscisse fuori la verità sulla sua uccisione. Se avesse fatto un giornalismo militante, quello del manganello mediatico o della piaggeria al potente di turno, non ci sarebbero voluti un magistrato deciso e tre pentiti per far venire fuori la verità dopo più di dodici anni dalla sua morte. Ma, in quel caso, chissà anche i media si sarebbero impegnati di più nel cercare la verità sulla sua fine. Sarebbero state subito bollate come balorde e depistanti le storie di donne e di omosessualità che i magistrati seguirono dopo il suo assassinio, uccidendo un'altra volta non solo Lui, ma anche chi gli voleva bene, dai suoi familiari alla sua Daniela.

Tutto questo ci deve servire di lezione e far riflettere. Nel nostro Paese, proprio perché c'è una situazione di bassa marea delle istituzioni, con un Parlamento svuotato dall'Esecutuvo a causa del liderismo imperante, c'è bisogno di giornalisti equilibrati, credibili e soprattutto autonomi dalle varie forze condizionanti: quella politica, quella economica, quella giudiziaria. C'è bisogno anche di strutture di controllo deontologico che eserticino una giustizia super partes, trasparente e veloce, che si diano delle regole condivise, per dirla con Violante, per irrobustirsi senza chiedere una corazza all'esterno. Insomma, c'è l' urgenza che la gente riconquisti una fiducia che sembra persa nel giornalismo e nei suoi uomini.

Il credito è come la libertà, non si conquista una sola volta per tutte. Ogni giorno c'è una prova, piccola ed insignificante, che va superata, sia per l'affermazione ed il consolidamento della libertà, che della fiducia. Per fare tutto ciò, perché l'informazione, al di là degli slogan, sia veramente libera bisogna che il giornalista sia autorevole, rispettabile, competente. Giancarlo Siani, anche se giornalista precario, ovvero, come si dice nell'ambiente, abusivo, era un cronista autorevole e la camorra lo sapeva bene. Peccato che altri non se ne siano resi conto.

ELIA FIORILLO