Padre Pio in casa Cupiello Società
Michele Benvenuto come Nennillo?
Ovvero Padre Pio – come il presepio di casa Cupiello – proprio non gli piace. A scanso d’equivoci, il Padre Pio che non piace a Michele Benvenuto è quello che hanno issato su un complicato monumento sulla rotonda dei Pentri, dietro alla stazione centrale, sullo svincolo da cui si diparte la strada per Pietrelcina.
Gli autori (lo scultore Pengue e l’architetto Aloia) hanno chiarito, nel corso di dibattiti, quali sono i loro intendimenti. Non è un monumento tradizionale (vale a dire un basamento, una colonna e una riproduzione del personaggio in cima), una area sacra. Ciò che si vede, insomma, non è ancora il tutto.
Già questa precisazione avrebbe dovuto suggerire di sospendere il giudizio. Invece, si sono raddoppiate e triplicate le prese di posizione, le critiche, il sincero dispiacere per il fatto che i pellegrini in arrivo a Pietrelcina verrebbero salutati e accolti da un improbabile sciatore o da un motociclista coi capelli al vento. Insomma il Padre Pio del monumento, anziché presentarsi come il vecchierello di tutte le statue che si vendono a tanto il pezzo e di cui sono disseminati gli incroci di molte strade provinciali, rischia di compromettere la fede umile dei pellegrini, chiamati a interrogarsi sui significati di un’opera d’arte.
Per la verità, non è un male se i turisti, una volta tanto, mettano in moto il cervello e si facciano venire, pure, un inizio di mal di testa. L’area sacra del duo Aloia-Pengue, quando sarà finita, interrogherà il viandante su molte questioni.
Le sembianze umane del bronzo, limitate a piedi, mani e volto dovrebbero significare l’uscita dalla vita di Francesco Forgione e il suo ascendere al cielo. I piedi non sono poggiati a terra. Quello che molti hanno preso per capelli al vento è il velario che nell’ascesa si scosta e si allontana.
Gli artisti che si sono cimentati con l’ascensione di Gesù e la assunzione della Vergine avevano il compito facilitato dal fatto che quei Due salirono al cielo con tutto il corpo. Pengue, per Padre Pio, deve risolvere un problema teologico nuovo. Il futuro Santo uscì dal suo corpo, ma con quali sembianze? L’artista ha scelto di tramandare il volto, le mani e i piedi e di cancellare il resto del corpo, che difatti non è rappresentato, l’occhio umano potendo vedere solo elementi geometrici o modulari di un manufatto in metallo.
Ma la Croce e la Sindone, oggetti – si fa per dire – di non poca complessità interpretativa, stanno lì accanto a significare una simbologia della religione cristiana tutt’altro che peregrina.
Che cosa sia, poi, quella specie di parallelepipedo che fa da trait d’union tra la terra e il Santo, è sicuramente questione da sofisti.
Proprio quando gli autori hanno svelato il loro piano, si è fatta più aspra la campagna contro. Lettere, fax, proteste. Alcun i giornali locali hanno sposato la guerra al monumento. Michele Benvenuto si è fatto portavoce di un progetto di delocalizzazione, che potrebbe significare l’abbattimento puro e semplice.
Ora, non è il caso di sottovalutare l’impatto emotivo e civile di una tale iniziativa. Dichiaro tutta la mia contrarietà. E dirò per quali motivi.
Punto primo. In Italia l’arte è libera. Lo dice la Costituzione. Nessuno può censurare un’opera d’arte, nel senso che può con autorità dichiarare che un’opera fatta da un uomo non debba chiamarsi opera d’arte. Questa funzione spetta a chiunque voglia cimentarvisi, meglio se provvisto di adeguati studi e se capace di spiegare i motivi del suo disgusto.
Tutti possono lecitamente ritenere che l’area sacra di Aloia e Pengue è brutta, non significa niente, offende la sensibilità religiosa dei pellegrini, può provocare incidenti stradali e può attirare i fulmini. Anche i critici, però, dovrebbero dimostrare ciò che affermano, utilizzando argomentazioni comprensibili a tutti.
Nessuno, però, in Italia può, sia pure prendendo atto di milioni di firme, dare una definizione di opera non d’arte e abbattere un manufatto.
Voi dite che è già avvenuto. Sicuro, ma ora era Mussolini (quante ne ho sentite a proposito dell’Augusteo sull’area del quale la Repubblica ha messo cinquant’anni per fare l’auditorium inaugurato da Ciampi domenica 21 aprile, data che il Duce festeggiava come Natale di Roma), ora si trattava di abbattere ciò che Mussolini aveva eretto. Insomma, ci avviciniamo a un capitolo che è bene chiudere.
Anche Bassolino ha abbattuto le Vele di Secondigliano, tra gli osanna di tutte le intellighenzie messe insieme. E anche lì, per quanto mi riguarda, è stata una sciocchezza. Anche le Vele, infatti, erano una testimonianza di ciò che è stata l’Italia e lì dentro ci potevano andare gli studenti di qualche università costretti a disertare le lezioni per mancanza di posti a sedere e di aule.
Punto secondo. La sfida non deve essere a distruggere ciò che uno sta facendo, ma, casomai, a fare una cosa diversa, in altro contesto, che rivaleggi con la prima. Se a Benvenuto a ai tanti che non digeriscono la scultura di Pengue venisse in mente di fare un monumento diverso, metterei la firma. Più monumenti si fanno e meglio è. Io ne ho proposti quattordici, quante sono le stazioni della Via Crucis. Sono dieci anni, infatti, che vado proponendo di realizzare tra Benevento e Pietrelcina una monumentale Via Crucis, facendo sorgere quattordici stazioni ad opera di quattordici diversi artisti di diverse nazioni. Si creerebbe una grande opera di arte moderna, fruibile dalle migliaia di pellegrini che visitano i luoghi pietrelcinesi di Padre Pio, assicurando così uno strategico diversivo all’affollamento contestuale del borgo antico.
Si lasci perdere il Padre Pio della rotonda dei Pentri e si indirizzi tanta carica vitale a fare, non ad abbattere quello che si sta facendo.
Punto terzo. A Benevento nessuno piglia l’iniziativa per mobilitare la pubblica opinione a favore di qualche idea, di qualche progetto. Un successo incredibile è arriso a chi propone di impedire una cosa che si sta facendo.
E, allora, è proprio vero. In Casa Cupiello si sono aggiornati. Lucariello s’è scocciato di sentirsi dire da Nennillo che il presepio non gli piace. Si è messo a costruire con santa pazienza una cosa nuova, moderna, non ripetitiva come il presepio, ma l’esito è stato lo stesso. Michele Benvenuto ha preso il posto di Nennillo e ripete sfottente: Padre Pio non mi piace.
Grandezza di Eduardo. Aveva previsto tutto.
MARIO PEDICINI
(Realtà Sannita anno XXV – n.8 / 1-15 maggio 2002 pag.1) <
Ovvero Padre Pio – come il presepio di casa Cupiello – proprio non gli piace. A scanso d’equivoci, il Padre Pio che non piace a Michele Benvenuto è quello che hanno issato su un complicato monumento sulla rotonda dei Pentri, dietro alla stazione centrale, sullo svincolo da cui si diparte la strada per Pietrelcina.
Gli autori (lo scultore Pengue e l’architetto Aloia) hanno chiarito, nel corso di dibattiti, quali sono i loro intendimenti. Non è un monumento tradizionale (vale a dire un basamento, una colonna e una riproduzione del personaggio in cima), una area sacra. Ciò che si vede, insomma, non è ancora il tutto.
Già questa precisazione avrebbe dovuto suggerire di sospendere il giudizio. Invece, si sono raddoppiate e triplicate le prese di posizione, le critiche, il sincero dispiacere per il fatto che i pellegrini in arrivo a Pietrelcina verrebbero salutati e accolti da un improbabile sciatore o da un motociclista coi capelli al vento. Insomma il Padre Pio del monumento, anziché presentarsi come il vecchierello di tutte le statue che si vendono a tanto il pezzo e di cui sono disseminati gli incroci di molte strade provinciali, rischia di compromettere la fede umile dei pellegrini, chiamati a interrogarsi sui significati di un’opera d’arte.
Per la verità, non è un male se i turisti, una volta tanto, mettano in moto il cervello e si facciano venire, pure, un inizio di mal di testa. L’area sacra del duo Aloia-Pengue, quando sarà finita, interrogherà il viandante su molte questioni.
Le sembianze umane del bronzo, limitate a piedi, mani e volto dovrebbero significare l’uscita dalla vita di Francesco Forgione e il suo ascendere al cielo. I piedi non sono poggiati a terra. Quello che molti hanno preso per capelli al vento è il velario che nell’ascesa si scosta e si allontana.
Gli artisti che si sono cimentati con l’ascensione di Gesù e la assunzione della Vergine avevano il compito facilitato dal fatto che quei Due salirono al cielo con tutto il corpo. Pengue, per Padre Pio, deve risolvere un problema teologico nuovo. Il futuro Santo uscì dal suo corpo, ma con quali sembianze? L’artista ha scelto di tramandare il volto, le mani e i piedi e di cancellare il resto del corpo, che difatti non è rappresentato, l’occhio umano potendo vedere solo elementi geometrici o modulari di un manufatto in metallo.
Ma la Croce e la Sindone, oggetti – si fa per dire – di non poca complessità interpretativa, stanno lì accanto a significare una simbologia della religione cristiana tutt’altro che peregrina.
Che cosa sia, poi, quella specie di parallelepipedo che fa da trait d’union tra la terra e il Santo, è sicuramente questione da sofisti.
Proprio quando gli autori hanno svelato il loro piano, si è fatta più aspra la campagna contro. Lettere, fax, proteste. Alcun i giornali locali hanno sposato la guerra al monumento. Michele Benvenuto si è fatto portavoce di un progetto di delocalizzazione, che potrebbe significare l’abbattimento puro e semplice.
Ora, non è il caso di sottovalutare l’impatto emotivo e civile di una tale iniziativa. Dichiaro tutta la mia contrarietà. E dirò per quali motivi.
Punto primo. In Italia l’arte è libera. Lo dice la Costituzione. Nessuno può censurare un’opera d’arte, nel senso che può con autorità dichiarare che un’opera fatta da un uomo non debba chiamarsi opera d’arte. Questa funzione spetta a chiunque voglia cimentarvisi, meglio se provvisto di adeguati studi e se capace di spiegare i motivi del suo disgusto.
Tutti possono lecitamente ritenere che l’area sacra di Aloia e Pengue è brutta, non significa niente, offende la sensibilità religiosa dei pellegrini, può provocare incidenti stradali e può attirare i fulmini. Anche i critici, però, dovrebbero dimostrare ciò che affermano, utilizzando argomentazioni comprensibili a tutti.
Nessuno, però, in Italia può, sia pure prendendo atto di milioni di firme, dare una definizione di opera non d’arte e abbattere un manufatto.
Voi dite che è già avvenuto. Sicuro, ma ora era Mussolini (quante ne ho sentite a proposito dell’Augusteo sull’area del quale la Repubblica ha messo cinquant’anni per fare l’auditorium inaugurato da Ciampi domenica 21 aprile, data che il Duce festeggiava come Natale di Roma), ora si trattava di abbattere ciò che Mussolini aveva eretto. Insomma, ci avviciniamo a un capitolo che è bene chiudere.
Anche Bassolino ha abbattuto le Vele di Secondigliano, tra gli osanna di tutte le intellighenzie messe insieme. E anche lì, per quanto mi riguarda, è stata una sciocchezza. Anche le Vele, infatti, erano una testimonianza di ciò che è stata l’Italia e lì dentro ci potevano andare gli studenti di qualche università costretti a disertare le lezioni per mancanza di posti a sedere e di aule.
Punto secondo. La sfida non deve essere a distruggere ciò che uno sta facendo, ma, casomai, a fare una cosa diversa, in altro contesto, che rivaleggi con la prima. Se a Benvenuto a ai tanti che non digeriscono la scultura di Pengue venisse in mente di fare un monumento diverso, metterei la firma. Più monumenti si fanno e meglio è. Io ne ho proposti quattordici, quante sono le stazioni della Via Crucis. Sono dieci anni, infatti, che vado proponendo di realizzare tra Benevento e Pietrelcina una monumentale Via Crucis, facendo sorgere quattordici stazioni ad opera di quattordici diversi artisti di diverse nazioni. Si creerebbe una grande opera di arte moderna, fruibile dalle migliaia di pellegrini che visitano i luoghi pietrelcinesi di Padre Pio, assicurando così uno strategico diversivo all’affollamento contestuale del borgo antico.
Si lasci perdere il Padre Pio della rotonda dei Pentri e si indirizzi tanta carica vitale a fare, non ad abbattere quello che si sta facendo.
Punto terzo. A Benevento nessuno piglia l’iniziativa per mobilitare la pubblica opinione a favore di qualche idea, di qualche progetto. Un successo incredibile è arriso a chi propone di impedire una cosa che si sta facendo.
E, allora, è proprio vero. In Casa Cupiello si sono aggiornati. Lucariello s’è scocciato di sentirsi dire da Nennillo che il presepio non gli piace. Si è messo a costruire con santa pazienza una cosa nuova, moderna, non ripetitiva come il presepio, ma l’esito è stato lo stesso. Michele Benvenuto ha preso il posto di Nennillo e ripete sfottente: Padre Pio non mi piace.
Grandezza di Eduardo. Aveva previsto tutto.
MARIO PEDICINI
(Realtà Sannita anno XXV – n.8 / 1-15 maggio 2002 pag.1) <