Pauperismi Società
Una lacerante battaglia ha sfinito i contendenti accampati dietro i banchi del Consiglio Comunale. Già disorientati dall'imminente cambio di marcia lungo via Annunziata, i consiglieri si sono scontrati sulle alte vette di un dibattito ideologico-umanitario. Dovendo rispondere alla fatidica domanda: a chi tocca andare a fare lo scrutatore? Si sono registrati fenomenali spostamenti d'aria.
Si dà il caso che la nostra democrazia, definita matura perché nata con la Resistenza e collaudata con la Costituzione “più bella del mondo”, non ha la idee chiare su come si organizza il momento della verità. Cioè quello delle elezioni, attraverso cui si legittima chi deve comandare (perché pure in democrazia è necessario che qualcuno comandi).
Si sa bene chi è che va a votare: trattasi del “popolo sovrano”. Si sa pure che il voto è segreto, a garanzia della circostanza che il voto è pure libero. Segretezza e libertà non servirebbero a niente, tuttavia, se non ci fosse un'altra garanzia. Che la conta delle schede sia operata nel rispetto di quello che c'è veramente scritto e che le operazioni di scrutinio siano effettuate da persone autorevoli e in grado di sbrogliare inghippi e regolare eventuali dubbi.
Dal momento che alle operazioni può assistere il pubblico, una democrazia matura dovrebbe aver approntato leggi e regolamenti, direttive ed istruzioni; ma anche funzionari selezionati e opportunamente preparati e aggiornati sulle questioni che più ripetutamente si sono presentate nel passato e sulle decisioni che le magistrature e il Ministero dell'Interno hanno avuto modo di adottare.
Lo scrutinio delle schede votate dagli elettori è una funzione tecnico-amministrativa. Nulla a che vedere con una funzione politica, quale quella dei consiglieri comunali o dei deputati al parlamento, che non richiede competenze tecniche, bastando che assolva ad una funzione di rappresentanza degli interessi generali della collettività.
E' lecito che diventi deputato o consigliere comunale un quidam de populo (cioè un cristiano qualsiasi, basti che sappia leggere e scrivere); lascia qualche dubbio pensare che può svolgere un ruolo tecnico-amministrativo delicato uno che non abbia cognizione di che cosa sia un documento di riconoscimento, una firma autografa, un atto annullabile, ovvero il principio “utile per inutile non vitiatur”.
Per formare i seggi che entreranno in funzione alle elezioni europee del prossimo 25 maggio, tra le tante ipotesi avanzate in un clima di democrazia allegra (tendente all'etilismo), si sono scontrati titani del pensiero sciolto. Per prima cosa si è applicato il principio della lottizzazione. Che è rigidamente proporzionale. Quindi alla maggioranza sono toccati XY scrutatori. Alla minoranza sono X scrutatori. Tutti d'accordo: in fondo si tratta di numeri. A nessuno è venuto in mente di domandarsi: se si tratta di garantire la libertà e la segretezza del voto, perché non c'è eguaglianza tra maggioranza e minoranza?
Il dibattito è diventato rovente quando un Signor Tizio ha proposto il sorteggio. Ha ribattuto il signor Caio che si rischia l'incostituzionalità. Ha precisato il signor Sempronio che col sorteggio non sono garantite le quote concordate tra maggioranza e minoranza: come minimo bisogna fare prima due montagnelle di schede (una per la maggioranza e una per la minoranza) e poi fare due distinti sorteggi.
Vista la complessità dell'operazione, il signor Mevio si è fatto portavoce di un'idea che ha raccolto impreviste caterve di consensi. Poiché l'incarico di scrutatore comporta il pagamento di un modesto compenso, il sorteggio sia riservato ai soli disoccupati. Che - è sott'intenso - non sono smemorati.
Mi pare che alla fine abbia prevalso il criterio del sorteggio, ma per giorni il disoccupato è stato il più gettonato in larghi strati della popolazione.
Riservandomi di approfondire in seguito l'idea di mandare direttamente in consiglio comunale o anche al Parlamento nazionale solo disoccupati (una democrazia dolente in contrapposizione a quella indolente sovente stravaccata sui banchi parlamentari), mi permetto chiedere a lorsignori. Ma in tempi in cui ogni giorno si legge di magistrati che indagano sulle allegrezze amministrative e il popolo assetato di sangue esulta per tutte le indagini (e le incriminazioni) per voto di scambio, non passa per la testa di nessun capobastone o capogruppo o portaordini che dietro l'ideale filantropico e pauperistico potesse nascondersi un inconfessato (eppure più scontato dalla parte debole del contratto) tecchete e damme?
Se io dò a un disopccupato, in campagna elettorale, cento euro di mancia, si può sospettare legittimamente l'ipotesi di voto di scambio. Che è un reato. Non si profila una identica condizione di sudditanza del beneficiato nei confronti del benefattore, quando il benefattore distribuisce un incarico pubblico remunerato? E la elargizione ha per oggetto specifico proprio una funzione legata all'operazione elettorale sulla quale grava, quasi naturalmente, il sospetto dello scambio vietato dalla legge?
Ma si può essere così incoscienti, irresponsabili, imprudenti? Lo chiamano pauperismo.
MARIOPEDICINI