Quando gli diamo pure ragione Società

Più ci sentiamo assediati e più è facile sbagliare la risposta. Non sempre, tuttavia, si tratta di un errore catalogabile tra le intemperanze (della mente, della volontà, della conoscenza). Viene fuori, invece, un profondo sentimento di verità che non vorremmo mai ammettere, meno che mai manifestare.

Prendiamo l’esempio del federalismo.

Si tratta, come tutti sanno, di un tentativo di alleggerire le funzioni dello Stato e di incrementare quelle di altri soggetti che sono più vicini al cittadino: Comuni, Province, Regioni.

Chi se l’è inventato questo federalismo? In maniera pasticciata, è stata la Lega Nord, un movimento politico, poi diventato partito, che aveva esordito con la secessione. Vorrei riportare alla mente la gloriosa impresa della conquista del campanile di piazza San Marco a Venezia, quando una mattina la televisione ci mostrò addirittura, da lontano, un “carro armato” di colore verde e, a debita distanza (cioè a Roma capitale) alcuni ministri balbettare frasi di circostanza.

Nel tempo la Lega cercò di abbandonare i gutturali dialetti delle valli alpine e si rivolse alla lingua dominante. In inglese, cioè, lanciò la battaglia per la devolution. Più meno quello che, poi, è stato inglobato nell’altro vocabolo divenuto di moda: federalismo.

Se è stata la Lega a lanciare la devolution come parola d’ordine, è stato un governo di centrosinistra, e relativa maggioranza parlamentare, ad approvare la riforma del titolo V della Costituzione. Da ottobre 2001 la Costituzione Repubblicana del 1948 ha recepito il principio di sussidiarietà, si è inventata una “legislazione concorrente” tra Stato e Regioni, ha elencato tassativamente le (ridotte) competenze dello Stato lasciando “tutto il resto” a Regioni-Province-Comuni (nel testo del 1948 le competenze delle regioni erano tassativamente elencato e “tutto il resto” era dello Stato) e ha proclamato: “La Repubblica è costituita da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni, Stato”. La riforma del 2001 ha, pertanto, istituito la devolution.

Il centro-sinistra ha fatto ciò che temeva avrebbe fatto il centrodestra pronosticato vincitore delle elezioni politiche? Voglio dire: non ci credeva, ma ha costretto le idee altrui in un recinto dai confini definiti?

Fatto sta che quando il centrodestra ha continuato nelle riforme (riduzione del numero dei parlamentari, senato delle regioni, etc.) la legge costituzionale sottoposta al referendum confermativo fu bocciata grazie all’azione della sinistra centrata sullo slogan “No alla devolution”.

Uno slogan falso, perché la devolution era stata già inserita nella Costituzione nel 2001.

E’ il caso di chiarire che devolution non significa secessione. La Lega ha abbandonato l’idea della separazione del Nord dal resto dell’Italia. Ha insistito perché avvenisse la devoluzione dei poteri e delle competenze in ordine alle materie che non rientrano nella “lista stretta” delle cose che deve fare lo Stato.

La “lunga marcia” di tutte queste materie verso regioni, province e comuni procede in quel superparlamento che organizza i suoi lavori in un palazzo romano posto nei pressi di piazza Esedra: la Conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali. Lì si trovano i punti di incontro e nel Parlamento formale va in scena il gioco delle feroci contrapposizioni.

Abboccano alla inconciliabilità e alla pretestuosità degli argomenti tante anime buone condannate a popolare le terre del Mezzogiorno di cui si ritengono in dovere di difendere le sorti inalberando le più strampalate bandiere. Anziché darsi da fare per simulare quale possa essere l’organizzazione dei comuni al momento del passaggio di competenze, nei convegni che pure si organizzano dobbiamo sorbirci impensabili difese dello status quo (e dello Stato centrale) cui si attribuiscono virtù e meriti francamente imprevedibili, se è vero – come è vero – che di tutti i mali del Sud s’è sempre data la colpa a questo Stato. Ora che sarebbe possibile provare a fare da noi quello che altri male hanno fatto (così s’è sempre ritenuto), e proprio nel momento in cui pare che la lava incandescente della assunzione delle responsabilità sta per venirci addosso, destra e sinistra, cattolici e miscredenti, giovani e vecchi non hanno altro da dire che, con la devolution, il Nord ci guadagnerebbe e il Sud ci perderebbe. E giù tentativi di calcolare le percentuali di quello che perderemmo.

Più sono alte tali percentuali, più si alza il grido di dolore e l’ingiuriosa accusa alla Lega Nord (o al Nord senza Lega) di volerci affamare.

Con la sola, prevedibile, conseguenza che anche un Calderoli qualsiasi potrebbe rinfacciarci che il Sud non vuole la devolution, perché non vuole accollarsi il peso della responsabilità dell’amministrare. In altre parole non vuole rinunciare ai sussidi.

Di fronte ad un Nord che, populisticamente, annuncia l’intenzione di non voler dare soldi a chi li spreca senza risolvere neanche la cosa più elementare, che è lo smaltimento dell’immondizia prodotta dalla popolazione, noi rispondiamo, orgogliosamente (sic), che non sapremmo come fare se ci tolgono i soldi del Nord.

In parole molto semplici (e molto amare) noi siamo pronti a dare pure ragione a quelli che ci insultano e ci immaginano coll’anello al naso.

Sarà, questo del federalismo responsabile (altro che solidale), tema di campagna elettorale per le elezioni del sindaco della città?

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it