Regioni e cattivi esempi Società

Le Regioni hanno incubato il potentissimo virus dei cattivi esempi. La retribuzioni dei propri funzionari fu, fin dall'inizio (la elezione dei consigli regionali è del 1970), superiore a quella dei funzionari dello stato, che avevano sì il posto fisso ma potevano essere trasferiti lungo tutta la lunghezza dello stivale (la punizione era la Sardegna).

Si disse che le regioni, per poter partire, avevano bisogno di “attrarre” gli statali. Non furono pochi quelli che “transitarono”. Poi, si sa, l'autonomia fece altri brutti scherzi. Soprattutto era visibile il notevole numero di direttori generali con, così si diceva, lauti stipendi.

Saltati i tradizionali controlli ed evaporato anche il “controllo democratico” dei Comitati Regionali di Controllo (CoReCo), i politici disponevano con larghezza di vedute dei soldi che lo Stato (e chi se no? mica le regioni stampavano moneta) gli passava e, generosamente, si tenevano buoni i direttori generali. Sto semplificando, come vedete.

Venne il giorno in cui lo Stato (metto la maiuscola, perché voglio dire propriamente lo Stato Italiano) pensò che poteva sfidare le regioni anche sul piano della disinvoltura. Prima ancora che la disinvoltura fosse elevata al livello di norma costituzionale, con la riforma del titolo V, e la creazione della legislazione concorrente (già definita: chi prima si alza comanda), si era pensato di collocare in ogni capoluogo di regione una adeguata postazione ministeriale. Cominciò il Ministero del Tesoro ad istituire la Direzione Generale Regionale. In ogni regione un direttore generale del Tesoro. Ben presto (per par condicio, per non mortificare i ministeri inutili con offensive allusioni: una scusa si trova sempre) ogni ministero della Repubblica ebbe il suo bravo direttore generale sistemato di fronte al palazzo della regione. Oltre ai direttori generali centrali (i ministeri più grossi ne avevano anche dieci) se ne fecero, in quattro e quattr'otto, venti direttori regionali. Venti direttori generali per ogni ministero. E poi i sovrintendenti specializzati (tipo quello per la sola Pompei), ma soprattutto potevano mancare i generali con le stellette?

In ogni regione (senza discriminazioni lesive del prestigio sovrano) ci doveva essere un generale dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Al di sotto di un generale ci vogliono alcuni colonnelli ed ecco che in ogni provincia il comandante territoriale vestì la divisa di colonnello. Non so se avete capito: c'è un generale anche a Campobasso, anche a Potenza, anche a Perugia. Quando iniziai a fare il giornalista i generali dei carabinieri erano quattro: Nord Ovest, Nordest, Centro e Sud-isole; e a comandare in provincia bastava un maggiore o un tenente colonnello.

Sto facendo gli esempi più evidenti, anche se so che la gente approva tutti i rinforzi militari, per dire che lo Stato, che dalla espansione delle competenze regionali avrebbe dovuto ragionevolmente ridurre i suoi apparati sul territorio, ha subito dalla allegra politica regionale un contagio irresistibile. Inutile dire che per tenere alto l'equilibro, a Campobasso e Potenza e Perugia c'è la delegazione regionale della Corte dei Conti, c'è un prefetto di prima classe. Insomma se le regioni non si sono fatte mancare niente, lo stato ha cercato di non sfigurare. Se fate un giro a piedi a Roma, incontrerete ad ogni pie' sospinto un palazzo con la targa fuori Presidenza del Consiglio.

Un altro motivo per volere l'abolizione delle regioni è questo. Ma non è che abolite le regioni, tutto il resto rimarrebbe così com'è. Assolutamente no. Le escrescenze, tutte le escrescenze, venutesi a creare per effetto del morbo regionalistico (chiamatelo pure irresponsabilità) devono essere potate senza pietà.

Per capirci qualcosa, forse bisogna andarsi a leggere com'era organizzato lo stato unitario dopo il 1861. Dovremmo tornare ai circondari, ai mandamenti, ai distretti. E alle province. Si tratta di nomi che significano qualcosa, tutto il contrario di questa novità fumosa che sarebbe la “area vasta”.

Per non parlare delle città metropolitane che, tutt'al più, in Italia potrebbero essere solo Roma, Milano e Napoli. Ne hanno varate una diecina e si ripromettono di farne altre. L'aggettivo è altisonante, solletica l'orgoglio e Dio sa quanto orgoglio teniamo in serbo noi sventurati.

E' tempo pasquale e penso, chi sa perché, alle profezie. Mi viene in mente il profeta De Sica, Vittorio. Nel film “Pane, amore e...”, lasciata la divisa dell'Arma si impennacchiava come comandante del Corpo dei Vigili Metropolitani di Sorrento. Ecco, mica vorrete vietare ad un sindaco metropolitano di disporre di un apposita banda musicale?

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it

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