Scarsa sintonia tra i sanniti e i giudici Società

I magistrati devono fare il loro lavoro in assoluta autonomia e serenità. Nessuno, sano di mente, oserebbe mai contestare una simile affermazione. I giudici sono “assoggettati solo alla legge”: così si usa dire nel linguaggio giuridico. Sì, d’accordo; ma a volte la compresenza di un minimo di garbo e buonsenso non guasterebbe!

Chi si avvicina ad un evento giudiziario da comune cittadino si aspetta sempre che gli venga dedicata quella giusta dose di professionalità, ma anche quel minimo di riguardo e rispetto che si deve ad ogni individuo, principalmente in un momento delicato della sua vita. Non capita tutti i giorni, per fortuna, di andare da un giudice di pace, da un pretore o da un qualsiasi magistrato.

Così, purtroppo, accade di rado e sono sempre più numerosi i casi di lamentele o riserve che i beneventani hanno nei confronti dei loro giudici naturali.

A parte i ritardi e le lentezze della “macchina giudiziaria”, è sul piano squisitamente umano e tecnico che le cose non sembrano procedere in sintonia tra cittadini e operatori di giustizia. Molti “addetti ai lavori” lamentano a volte scarsa attenzione, se non addirittura insofferenza, ai problemi esposti: avvocati e procuratori che non vengono “neanche guardati in faccia” mentre fanno il loro lavoro, esponendo le legittime pretese delle parti rappresentate. Altre volte atteggiamenti di “superiorità” o di “sopportazione” vengono manifestati dai giudici di fronte ad argomentazioni giurisprudenziali da loro stessi non condivise, ma pur presenti in grande copia negli annuari o nelle riviste di settore.

Rapporti di amicizia e affinità, se non addirittura di “parentele alla lontana”, tra magistrati e patrocinatori, largamente noti nel piccolo contesto della provincia sannita, sono proprio ignorate nei luoghi giusti, dove si dovrebbe - in un qualche modo - provvedere.

Organismi collegiali, su materie e situazioni assai simili, adottano giudizi diversi lasciando lo sconcerto nei destinatari dei provvedimenti. Il che lascia supporre, a torto o a ragione, che la decisione collegiale è più figlia del giudice relatore, che di volta in volta è diverso, che non dei tre giudici al termine di una discussione collegiale.

E le spese di giustizia? Vengono in genere compensate tra le parti: non si scontenta nessuno. A volte, però, proprio quando ogni elemento logico sembrerebbe orientare verso una decisione del genere, viene deciso di farle pagare ad una sola parte. Perchè? Mistero fitto.

LUIGI PALMIERI 

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