Se vogliamo salvare la provincia Società

Sembra calata la coperta dell'apatia sulla “questione provincia”. Il governo Monti è orientato a procedere sulla via degli “accorpamenti mediante parziali decapitazioni”. Gli accorpamenti, peraltro, vengono progressivamente realizzati con gli uffici periferici dello stato, talora - come nel caso recente del Tribunale di Ariano Irpino aggregato a Benevento - senza tener conto degli (attuali) confini provinciali.

Se, insomma, è caduta l'ipotesi, avanzata dal governo Berlusconi, della soppressione di tutte le province (operazione che richiede la revisione della Costituzione), resta in piedi un progetto di ridimensionamento del loro numero, essendo già stato stabilito un ridimensionamento degli apparati elettivi.

Non conosciamo le posizioni dei partiti, né quelle dei singoli parlamentari, né quelle dei sindacati che pure qualche interesse da difendere ce l'avrebbero. Non abbiamo avuto reazioni (se non quelle di onesti lettori di queste pagine) alle nostre ipotesi avanzate per dare una soluzione al problema, che non sia la pura e semplice cancellazione della provincia di Benevento. Priva di appoggi resta anche la posizione del presidente Aniello Cimitile che, a costo di apparire un Cicero pro domo sua, sostiene invece che le province servono.

A smuovere un po' le acque stagnanti ci ha pensato il presidente della provincia di Avellino, Cosimo Sibilia, il quale senza troppi dubbi propone l'accorpamento di Benevento ed Avellino. Il solo immaginare dibattiti su dove debba porsi il capoluogo di questa nuova entità fa scoppiare il cervello. Si potrebbe sempre costruire una nuova Brasilia, ovverosia una città nuova di sole strutture burocratiche a metà strada tra Benevento e Avellino, solo che ci aggireremmo intorno allo stretto di Barba e si tornerebbe punto e da capo: su suolo irpino o su suolo sannita?

Al di là delle facezie, io credo che una questione del genere dovrebbe coinvolgere un po' tutte le persone pensanti. E le soluzioni pensate e proponibili debbano avere il crisma delle concretezza, cioè della fattibilità in un quadro di riassetto istituzionale che comunque si dovrà pur fare.

E allora rimettiamo sul tavolo della discussione alcune rudimentali congetture.

La prima questione è: stare in Campania o migrare verso il Molise?

Andare con Campobasso significherebbe, come ho già scritto nei mesi scorsi, andare in soccorso della Regione Molise, la quale non è in grado oggi di conservare due province (condizione imprescindibile per la esistenza di una Regione), perché la somma delle due attuali province (Campobasso e Isernia) a stento riesce a rispettare le aliquote predisposte per la sopravvivenza di una sola provincia. Proporre a Campobasso di allestire un Molisannio, interessato ad attrarre anche le aree del Matese Alifano (già per qualche tempo territorio della provincia di Benevento), più qualche pezzetto di Irpinia e un po' di Daunia, sarebbe una operazione che ha significativi connotati di fattibilità.

Per Benevento non sarebbe (meglio: non dovrebbe essere) un andare “con il cappello in mano” a chiedere un favore ai molisani. Si tratterebbe di offrire loro, invece, una stampella (forse l'unica possibile stampella) di salvataggio. Certo, il discorso non è del tutto disinteressato.

In consiglio regionale Benevento conterebbe almeno al 45 per cento (mentre oggi in Campania conta come il due di coppe, con 3 consiglieri su sessanta), avrebbe diritto a mezza giunta regionale e nella spartizione degli enti regionali potrebbe contare un bottino alquanto appetibile. In cambio di quel poco che vi ho detto, del tutto secondaria diverrebbe ogni rivendicazione di rango circa la sede del capoluogo, che potrebbe essere lasciata tranquillamente a Campobasso.

Per restare in Campania e conservare la provincia si potrebbe far leva su un criterio di media regionale che in Campania sarebbe di agevole realizzazione; solo che altre regioni avrebbero difficoltà a digerire un simile criterio. Anziché guardare alle singole realtà provinciali attuali e “tagliare” quelle al di sotto di una certa dimensione (l'esempio più corrente è quello dei trecentomila abitanti), bisognerebbe guardare alla “realtà regionale” nel suo complesso, indi attribuire ad ogni regione un numero di province proporzionato alla popolazione complessiva.

Mi spiego con l'esempio concreto. La Campania ha 5.834.056 abitanti (sito della Regione, dati al 31 dicembre 2010) ed ha cinque province. Le può conservare tutte, perché la media degli abitanti per ciascuna provincia è di 1.166.811. Trasferendo la stessa media a livello nazionale si conserverebbero non più di 51-52 province.

C' un'altra ipotesi. Creare la “provincia regionale”. La lancio in quattro parole, non so se ci sarà tempo di ritornarci su. Lo stato (che peraltro avrebbe compiti molto limitati alla luce della riforma costituzionale del titolo V del 2001) toglie di mezzo tutte le province che vuole. La Regione, invece, ogni regione, secondo le proprie esigenze attiva (o non attiva) una provincia regionale che, a somiglianza di quanto in provincia allestiva la stato centrale con i suoi uffici periferici, altrettanto fa con gli uffici periferici della sua organizzazione burocratica. Aggiungendo, se vuole, anche un organo elettivo di consulenza o di gestione di competenze delegate.

La realtà territoriale della Campania consentirebbe sia l'ipotesi delle province salvabili grazie alla media della popolazione e sia l'ipotesi della “provincia regionale”. Che non è una cosa campata in aria.

Quale che sia, però, una soluzione che Benevento voglia proporre, è necessario studiare, confrontarsi, elaborare un progetto, prendere contatti con i tanti altri interessati , sensibilizzare la opinione pubblica per creare una mobilitazione di convinto sostegno. Insomma c'è da lavorare.

Onorevoli deputati, ve la sentite di prendere l'iniziativa? Promettete di farvi carico di sostenere ciò che verrà dal basso? O non ve ne frega niente?

Fateci sapere.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it