Sfrantummati solo a Napoli? Società
Sapete ormai tutti con quali pensieri gentili si appellavano tra loro i protagonisti di quella storiella napoletana messa in luce dalle indagini della Procura. All'assessore che al telefono la definiva scema completa, Rosetta Iervolino ha indirettamente risposto allorché, al magistrato che la interrogava, ha detto che certi assessori erano sfrantummati.
Ora si dà il caso che la sindaca di Napoli, Rosa Iervolino vedova Russo, è stata Ministro della Pubblica Istruzione e Ministro dell'Interno e per poco non è diventata Presidente della Repubblica. La stessa è poi figlia di Angelo Raffaele Iervolino, più volte ministro, e di Maria de Unterrichter, più volte sottosegretario. Voglio dire che è una donna matura, educata in gioventù in ambienti di un certo livello sociale, nonché forgiata da vicende umanamente forti. Non si tratta, insomma, di una pur rispettabile popolana, dalla cui bocca può scapparci un volgare refrain.
Se ha detto sfrantummati, e poi in un colloquio sicuramente preparato, bisogna crederle.
Giusto un anno fa una tempesta giudiziaria si è abbattuta anche su personale politico della nostra terra. Non solo per la fortuita circostanza che sia sannita anche un assessore dell'attuale storia napoletana, è opportuno chiedersi se della categoria degli sfrantummati faccia parte qualche amministratore che si aggira tra consigli comunali e comunità montane, enti di gestione e consigli di amministrazione del nostro territorio. Mi sembra matematicamente inverosimile che lo sfrantummato abiti solamente a Napoli, come la pantera nera abiti solamente nelle campagne del beneventano. Dal che il cittadino medio potrebbe pretendere che chi sta con le mani in pasta sia in grado di fornire un elenco, sia pur provvisorio e incompleto, degli sfrantummati di casa nostra.
Ma non c'è bisogno di elenchi, e neanche di foto segnaletiche, e di dati anagrafici, per affrontare sul serio la questione della qualità della classe dirigente della nostra provincia. E' fuor di dubbio, infatti, che la fine della prima repubblica e le spallate della tangentopoli nostrana (similmente a quanto avvenuto in campo nazionale) hanno fatto abbandonare il campo dell'impegno pubblico a molta parte della vecchia classe dirigente, delegittimata col sapiente uso di semplici denunce o di minacciosi slogan (tipico il comitato di affari) equivalenti ad una automatica squalifica (se non proprio a una scomunica), o solamente impaurita dalla aggressività ingenerosa di tanti spericolati fruitori del sistema passati con ardimentosa prontezza tra i nuovi moralisti.
Per un elementare principio della fisica ogni spazio vuoto, soprattutto in basso, viene prontamente colmato. Chi ha colmato il vuoto creatosi negli organismi democratici la cui sopravvivenza è essenziale per la tenuta del sistema?
Possiamo raggruppare in due schieramenti l'umanità politicante beneficiata da una inaspettata eredità.
Da un lato metteremmo i neo-catecumeni, ovverosia i nuovi arrivi, giovani e vecchi senza un vero cursus honorum, decisi a prendere il posto di chi era stato fatto fuori. Sono costoro, perlopiù, privi di apprendistato e, quasi sempre, anche di qualsiasi praticantato nella amministrazione (intendendo per amministrazione anche la vita di sezione nei partiti, la militanza nell'Azione Cattolica, la esperienza nel sindacato, etc.).
Non si tratta, necessariamente, di gente inesperta. Talora, invece, si tratta di persone che hanno un notevole curriculum professionale nel campo specifico della attività lavorativa.
Non sempre hanno dato buona prova. La nuova giunta comunale di Iervolino ne è un classico esempio. Egregi professori universitari non è detto che abbiano le caratteristiche per costituire una efficiente squadra produttiva di risultati concreti (così come undici allenatori di pallone, se scendessero in campo a giocare, molto difficilmente sarebbero migliori di non eccelsi pedatori).
Nell'altro gruppo metterei i rari nantes che si sono salvati dal naufragio, talora allontanando il vecchio padrone dalla tavola alla quale si erano insieme aggrappati nel mare agitato, pronti a vistose operazioni di maquillage. In questo secondo schieramento si sono visti mangiapreti imparare le giaculatorie, fascisti rinnegare la Buonanima, comunisti presentare le credenziali di una dolorosa resistenza interna quando non di una, lungamente taciuta, aperta personale ribellione a Baffone. L'Italia è quel Paese dotato di totale prontezza alle istanze della storia. Già il 25 luglio 1943 non si trovavano più fascisti.
Per di più questo Paese vive di inimicizie cementatrici di unità. Coppiani e bartaliani, moseriani e saronniani, milanisti e interisti sono divisi, ma insieme fanno l'unità d'Italia più che i bersaglieri e Porta Pia. Comunisti e democristiani erano più o meno come i coppiani e i bartaliani. Caduto il comunismo dell'Unione Sovietica, la DC che dell'anticomunismo aveva fatto una bandiera, la ammainò così frettolosamente che crollò anche l'edificio sul quale era issata (mentre il Cremino ha perso la bandiera rossa ma è rimasto in piedi).
I comunisti, senza lo sfizio della Democrazia Cristiana, che ci stavano a fare? Via PCI, Quercia, Ulivo, PDS, DS. La DC senza lo sfizio della falce e martello ha messo via Croce e Libertas, niente più Pipì, via anche la Margherita. Libero sfogo alla democrazia da gazebo e via con milioni di schede acclamanti il nuovo soggetto politico del terzo millennio. Questo nuovo coso chiamato PD sta dando a Napoli lo spettacolo che sapete. A Benevento, nell'attesa della lista degli sfrantummati, concedeteci la giusta attesa per vedere qualche magico frutto, soprattutto alla Rocca dei Rettori, ma anche (perché no?) a Palazzo Mosti.
A proposito, a quando il trasloco a Palazzo Paolo V?
MARIO PEDICINI
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