Tasse e spese comunali Società
Domenica 25 maggio si vota per eleggere il Parlamento Europeo. In una paese dilaniato da una crisi dei partiti quale mai s'era vissuta a memoria di viventi, i temi della campagna elettorale sono stati prevalentemente domestici. Sembra, cioè, che ogni tentativo di attrarre l'attenzione dell'opinione pubblica sia focalizzato sul “gioco a tre” tra Partito Democratico, Forza Italia e Movimento 5 stelle, esasperando il confronto fino a tirare in ballo la caduta del governo o l'impeachement del capo dello stato.
Il cataclisma temuto (o, a seconda dei casi, apertamente auspicato) è configurato come una “situazione impossibile”, da cui dovrebbe-potrebbe derivare la dissoluzione del sistema politico parlamentare rappresentativo. La posta in gioco sembra essere quella di arrivare primi, per proiettare il dato elettorale in un futuro prossimo (2015) o distante (2018), comunque abbastanza vicino, nel quale ambientare la battaglia finale.
Grillo contro tutti è una strategia ambiziosa che tende a coalizzare gli elettorati ribellisti e quelli delusi. Potrebbe indurre utti gli altri ad un gioco di squadra, nel quale ciascuno persegue i propri interessi ma mette a disposizione dei “non grillini” una piattaforma di possibile corresponsabilità. Se questa strategia c'è, è prudentemente nascosta. Soprattutto da Renzi che, furbescamente, dichiara di volere stare davanti a Grillo “soltanto” di cinque punti percentuali. Lo svelto premier fiorentino non mette nel conto un possibile sorpasso del vento protestatario dei 5 Stelle.
E, tuttavia, gli argomenti che vengono usati, in questa spregiudicata campagna elettorale, non sono la riforme istituzionali, l'ammodernamento del paese, i possibili scenari della ripresa economica. No. I temi laceranti sono quelli dell'Europa. Ma non dell'Europa nello specifico del suo parlamento, che è quel che dovrebbe interessare, perché è il Parlamento che eleggeremo coi nostri voti domenica prossima, bensì l'Europa matrigna dalla quale dovremmo fuggire.
Con accenti diversi, un po' tutti cercano di acchiappare i voti degli scontenti, premendo il piede sull'acceleratore del patriottismo, quando non proprio di un neo-nazionalismo. Riducendo all'osso, quasi tutti si fanno portavoce di un sentimento di sdegno per “il prezzo” che questa Europa ci fa pagare.
Bruxelles (come si dice sinteticamente) ci costringe ad una dieta ferrea, vuole tenere tirate le redini, ci toglie qualsiasi spazio di autodeterminazione. E noi non vogliamo più pagare, se saranno altri (soprattutto i tedeschi) a prendere le decisioni. Come mai tanto orgoglioso rigore è assente nelle quotidiane dialettiche politiche e amministrative del nostro menage familiare? Come mai in Italia ci sono eserciti di alti ufficiali e di soldataglia variamente assortita e rigorosamente sindacalizzata a libro paga da organismi pubblici e nessuno, se non a chiacchiere, ne propone un severo disboscamento?
Soprattutto, come mai non c'è partito, associazione dopolavoristica, equi-solidali sfusi e a pacchetti che non usano lo stesso sdegno intimamente indirizzato alla Merkel, per sincerarsi che le tasse pagate all'Italia e per l'Italia servano veramente (e solamente) per il funzionamento della macchina pubblica?
Ci comportiamo come quegli sparuti supporters della squadra ospite che, al campo sportivo, esibiscono un coraggio leonino nel rispondere alle offese dei tifosi di casa e non esitano a rilanciare la sfida, protetti come sono da robuste cancellate e vetrate antisfondamento. Dovendoci trovare in mezzo ai nemici (cioè ai problemi) e costretti a scendere necessariamente a più miti consigli, siamo portati ad allontanarci dalla pugna e a lasciare il tutto in mano ai nostri amministratori, verso i quali ci riserviamo di lanciare sprezzanti giudizi, pronti peraltro a rivalutarli, basta che si ripresentino.
Credo (e in parte me lo auguro) che l'irritazione alimentata dalla campagna elettorale non svanirà dopo il 25 maggio. E che, inevitabilmente, si rivolgerà nei confronti di quelli che sul piano locale (quello prossimo alle nostre tasche) gestiscono il pubblico danaro, cioè il danaro di noi che paghiamo le tasse.
Prima o poi verrà il momento di sciogliere il nodo: fino a quando il contribuente è convinto che il Comune di Benevento debba fare attività imprenditoriale con i soldi che da me pretende per il finanziamento delle sue pubbliche funzioni? Il Comune può essere socio unico di una azienda come l'AMTS che dovrebbe essere gestita con criteri imprenditoriali ed invece sembra somigliare troppo alle vecchie e (in)gloriose municipalizzate?
E' vero che tutti chiedono al comune tutto quanto passa per la testa di improvvisati (o professionali) capipopolo. Ma credo che il Comune non possa più, d'ora in poi, destinare i soldi dei contribuenti a finanziare carrozzoni con la scusa che bisogna dare lo stipendio ai dipendenti. Stando all'esempio dell'AMTS, non vedo da parte dei dipendenti lo zelo necessario (per incrementare le entrate nel bilancio del “carrozzone”) nella vigilanza dei parcheggi dai quali dovrebbero derivare le entrate necessarie a far sì che il Comune la smetta di prendere dal proprio bilancio le nostre tasse per trasformarle in stipendi.
Vorrei si distinguessero le tasse, le imposte, i dazi (tutte cose alle quali non posso sottrarmi) dalla beneficenza, la quale appartiene alla mia libertà. Le cose che lo Stato e il Comune mi “estorcono” devono andare solo ed esclusivamente a finanziare la loro esistenza. Non i loro capricci. E non gli affari privati che ne abitano le stanze (con o senza bottoni).
MARIO PEDICINI