UN VOTO SCHIETTAMENTE POLITICO Società
A sentire il mormorio del popolo, sembra che le elezioni di domenica prossima contengano in sé tutti i difetti che si possano immaginare. E’ vero, infatti, che poco la stampa ha dedicato all’impresa di spiegare il meccanismo del voto e al meccanismo con il quale si calcolano i risultati, ragion per cui la maggior parte della gente si rifugia nell’antico e comodo rimpianto del passato.
Il nostro passato recente è limitato all’ultimo decennio, allorché una legislazione euforizzata dagli arresti eccellenti di Mani Pulite inebriò più di qualche reduce dai trionfali referendum contro le preferenze.
Si fece piazza pulita del sistema proporzionale, perché i risultati non davano a nessuno un potere di governo così forte da resistere alle defezioni e alle campagne acquisti di deputati e senatori.
Non si poteva introdurre la formula del premio di maggioranza, perché la legge che De Gasperi aveva voluto nel 1953 era stata subito marchiata dai comunisti come “legge truffa” e allora, capirete, lo slogan sarebbe stato immediatamente dissotterrato.
Si optò per un sistema maggioritario, temperato per il 25 per cento da un sistema proporzionale. Collegi elettorali poco estesi, candidati l’un contro l’altro, chi vince vince e chi perde perde (anche in caso di morte dell’eletto, nessun primo non eletto subentra ma si vota di nuovo).
Naturalmente ci furono critiche. Lo scontro era troppo aspro, i candidati spendevano troppo (tutti ma proprio tutti facevano manifesti, trasmissioni televisive e riunioni) e, soprattutto, un partito poteva prendere tutti i seggi con un minimo scarto su un altro partito che non prendeva neanche un deputato.
Bisogna dire che il mutamento del sistema elettorale veniva evocato fin dal 1990, anno nel quale la prima riforma delle autonomie locali (la famosa legge 142) aveva cambiato il modo di eleggere (e di ten ere in piedi) i sindaci, introducendo la cosiddetta sfiducia costruttiva. I primi anni ’90 furono anni difficili. Il bilanciamento tra la governabilità (vale a dire la creazione di effettivi poteri di governo svincolati dal simbiotico controllo delle assemblee, parlamentari o comunali) e la rappresentanza della varietà degli interessi che fanno capo ai pezzi di società civile che vuole vivere e prosperare era un obiettivo desiderato un po’ da tutti. In alcuni covava, tuttavia, la voglia di tramortire l’avversario in difficoltà (socialisti e democristiani in prima linea) per cui la discussione sulla rappresentanza non ebbe grandi spazi né risonanza. E ancora oggi non se ne sente parlare. Non si parla, cioè, di come il parlamento possa rappresentare, con le persone fisiche di deputati e senatori, tutta la gamma di interessi (diritti, doveri, aspirazioni, problemi, difficoltà) presenti sul territorio nazionale.
Domenica e lunedì prossimi si vota con un sistema proporzionale. Sono tornate le circoscrizioni elettorali molto vaste. In ognuna di esse si eleggeranno molti deputati e molti senatori. La attribuzione dei seggi avverrà calcolando proporzionalmente i voti. Ci saranno, poi, premi per chi prende il maggior numero di voti. In campo nazionale, ad esempio, la coalizione che prende un voto in più dell’altra si aggiudica 340 deputati su 630.
Tutto sbagliato?
Certo, l’elettore non può esprimere né quattro né una preferenza. I candidati sono stati sistemati dai partiti e il loro ordine in lista determinerà la loro elezione mano e mano che la lista avrà conquistato il quorum per tot eletti. Certo, i candidati per dir così di riempimento (ma possono sempre sperare di subentrare in caso di morte o future opzioni degli eletti) non si prodigano più di tanto e non spendono soldi per i manifesti. L’apparato (costoso) dei tabelloni per i manifesti appare francamente inutile. Basterebbero i manifesti istituzionali sui quali ci sono tutte le coalizioni e tutte le liste.
La propaganda locale è fiacca, non si parla di problemi del territorio, non c’è la sfida personale.
Se ci pensiamo un poco, però, forse la cosa è tutto sommato positiva. Domenica e lunedì si vota, infatti,per eleggere il parlamento nazionale e non per eleggere il consiglio provinciale.
Il nuovo sistema senza preferenze ha costretto un po’ tutti a seguire la discussione (e le polemiche) tra le due più forti coalizioni incentrando l’attenzione su questioni generali e non locali. Gli stessi argomenti sul ponte di Messina e sulla TAV in Valsusa sono pretesti per distinguere tra chi pensa che le grandi opere debbano venire prima alfine di trainare anche il completamento delle reti delle opere ordinarie e tra chi pensa che bisogna privilegiare una sorta di ordinaria amministrazione pensando ai treni dei pendolari piuttosto che ai treni transeuropei.
Gli elettori hanno dovuto interessarsi di imposte, di cuneo fiscale, di tassazione delle eredità. Sono emerse nella campagna elettorale questioni forti come il riconoscimento delle coppie di fatto, il superamento del concordato con la Chiesa cattolica, la regolamentazioni dei flussi di immigrazione nel nostro paese, per non parlare del ruolo internazionale dell’Italia..
Insomma, a voler guardare senza il ripetitivo rimpianto e la nostalgia del tempo che fu, il nuovo sistema elettorale ha evidenziato una notevole coerenza con la funzione al quale è chiamato: selezionare, con il determinante apporto dei partiti, una rappresentanza democratica (senza vincolo di mandato, come dice la Costituzione) per legiferare e governare secondo gli input (di interesse nazionale) discussi e sviscerati durante la campagna elettorale. Insomma, domenica e lunedì prossimi ogni elettore sarà chiamato ad esprimere un voto schiettamente politico.
Quando saremo chiamati ad eleggere il sindaco, parleremo più proficuamente di problemi locali.
MARIO PEDICINI
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