La confusione dei ruoli Sport

In una vita in continua evoluzione c’è poco da stupirsi dei cambiamenti, ma ad alcuni di loro ci si abitua poco o nulla. In particolare, si è restii ad accettarli quando sembrano oggettivamente rappresentare un passo indietro, un regresso, un cedere a mode e costumi di dubbio gusto.
Qualche decennio or sono, per esempio, i giornalisti sportivi ed i cronisti conservavano con scrupolo, quasi con pudore, la propria fede calcistica. Volevano con questo – io credo – testimoniare una imparzialità nei confronti degli avvenimenti agonistici sui quali erano chiamati a riferire o a commentare. Molti di loro hanno svolto per una vita intera il loro mestiere senza che nessuno, al di fuori della ristretta cerchia di amici e parenti, conoscesse la loro squadra del cuore. Arrivavano, a volte, radio-cronache dal Brasile e dall’Argentina e un certo senso di superiorità si impadroniva di noi, quando sentivamo il giornalista locale impazzire e gridare dai microfoni il suo infinito e demenziale “gooooooooooooooooollll!!!!!!!”. Noi eravamo al confronto dei “lord” inglesi. Poi è arrivato in TV il bravo presentatore Fabio Fazio, il quale con una sua riuscita trasmissione ha liberato in ogni tifoso l’animale che ha dentro di sé. Non più commenti misurati e fair play sportivo, ma via libera a “gufate” sugli avversari, osservazioni quasi sempre sopra le righe, giustificazione di comportamenti emotivi spesso privi di gusto. E, come è facile immaginare, tutti a cavalcare la nuova moda!
Ciò che però mi sembra più grave, è che questa tendenza abbia contagiato anche molti giornalisti, che dello sport calcistico fanno la loro principale fonte d’interesse professionale. Nelle diverse trasmissioni dedicate al calcio, imperversa la più totale faziosità con fior di professionisti spudoratamente di parte, non solo nel difendere i colori di appartenenza, ma anche pronti a “destabilizzare” gli avversari con polemiche, insinuazioni, pettegolezzi. Il direttore di un giornale di Torino, una volta che cambiò destinazione, andando a dirigere un giornale che vende soprattutto al centro-sud, cambiò radicalmente i suoi interventi professionali a favore dei nuovi tifosi, probabili acquirenti del quotidiano. Senza, ovviamente, avere alcun rispetto per quella che dovrebbe essere almeno la “verità” dei fatti. Lo stesso cambiamento si nota nelle radio o tele-cronache. Non solo nei piccoli centri di provincia, ma anche nei grandi network nazionali, il cronista è al servizio completo del suo “tifoso di riferimento”.
Evidenti falli o grossolani errori dei propri beniamini vengono opportunamente misconosciuti; gli interventi arbitrali sono sempre interpretati a senso unico e sempre in modo sfavorevole ai propri colori. Urla disumane ed esclamazioni esagerate sono assai gradite: fanno audience ed aiutano il telecronista a distinguersi in un gruppo di concorrenti sempre più folti. Ho chiesto – qualche tempo fa – ad un radio-cronista il perché di questi atteggiamenti esasperati. “Se non fai così, i tifosi non ti vogliono più sentire” è stato il rassegnato commento. E allora, diamo alla gente quello che vuole ed abdichiamo al nostro ruolo di testimoni qualificati? O, invece, rinunciando ad iscriverci di fatto tra gli “ultras”, non cerchiamo di assumere in pieno il ruolo di cronisti o giornalisti? Per molti anni abbiamo tutti sperato che il tifoso italiano diventasse più consapevole, che gli stadi fossero luoghi in cui trascorrere in allegria un pomeriggio con amici e famiglia, che sempre meno violenza venisse abbinata al fenomeno calcio. Incominciamo tutti a dare una mano. Abbassando i toni e, qualche volta, anche la voce.
Luigi Palmieri