Almerico Meomartini a 100 anni dalla scomparsa Cultura

Moriva cento anni fa Almerico Meomartini, architetto, ingegnere, archeologo, storico e politico, protagonista di primo piano della vita culturale e sociale sannita tra Ottocento e Novecento e che in estate sarà ricordato con una mostra e un convegno a Reino, proprio nel palazzo di famiglia (oggi Municipio) in cui nacque il 3 marzo 1850 da Giuseppe Nicola, Consigliere Provinciale e sindaco del paese, e da Luisa Giampietro di San Marco dei Cavoti.

Dopo aver compiuto gli studi privatamente nel capoluogo sotto la guida di Monsignor Paolo Schinosi, bibliofilo e futuro Arcivescovo, si laureò nel 1875 con pubblicazione della tesi Sulla bonificazione dei terreni: dissertazione di Almerico Meomartini alunno della R. Scuola d’applicazione per gl’ingegneri in Napoli per ottenere la laurea d’ingegnere.

Tornò poi a Benevento occupandosi, tra l’altro, dell’ampliamento del Corso Garibaldi e della progettazione dei palazzi Carrano, Palombi e Meomartini (su committenza dello zio Gennaro), nonché dell’ampliamento e restauro del Seminario Arcivescovile e del Convitto Nazionale, quest’ultimo non attuato. Curò poi il restauro della chiesa di Santa Sofia e della casa già appartenuta al Duca Matino a Vico Calore, progettando inoltre la Cappella della Società Operaia al cimitero in stile neogotico, il nuovo altare maggiore del Duomo (1904, poi distrutto dai bombardamenti del 1943) e le tombe dell’Arcivescovo Bonazzi e del Cardinale Siciliano di Rendenella chiesa di Santa Clementina.

In provincia realizzò invece la Fontana Sant’Elia a Reino, il Municipio e una fontana pubblica a Ceppaloni (1899), la Torre dell’orologio a Fragneto l’Abate (1911), il Piano per la sistemazione di Via XX settembre a Fragneto Monforte (1911), i progetti (elaborati gratuitamente) di rifacimento della piazza e del nuovo Edificio Scolastico a Colle Sannita nonché la Chiesa di San Paolo e Istituto Pascucci a Dentecane.

Suo anche il progetto del Padiglione del Sannio per l’Esposizione di Igiene in Napoli riproducente sui quattro lati l’Arco di Traiano e ulteriore esempio del suo stile architettonico di commistione tra il neoclassico e i contemporanei liberty ed eclettico-revivalistico e che gli valse la Medaglia d’Argento all’esposizione Nazionale di Architettura (Torino 1890).

Il suo massino contributo resta tuttavia legato all’archeologia con studi, ricerche e scavi nel Sannio, e in particolare a Benevento dove dai ruderi noti come Grottoni di Mappa dal 1885 riportò alla luce e a proprie spese i primi elementi del Teatro Romano, provando contestualmente che non si trattava di un anfiteatro come fino allora ritenuto da altri pur autorevoli archeologi.

Presidente della Commissione Conservatrice de’ monumenti e scavi d’antichità e Ispettore dei Monumenti e Scavi, illustrò poi al ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli in visita in città nel 1899 i primi frutti del suo lavoro onde perorare la causa del teatro beneventano al Parlamento e avviando così il lunghissimo iter per lo scoprimento.

La passione per l’archeologia lo spinse altresì a preservare e catalogare innumerevoli reperti di epoca romana e longobarda in molti casi da lui stesso ritrovati e che - curando i restauri della Rocca dei Rettori - volle qui esporre allestendo il nucleo iniziale del Museo del Sannio (1893) di cui fu primo direttore, giovandosi in tal senso della sua coeva e fattiva attività politica come consigliere provinciale dal 1880 e poi Presidente della Deputazione Provinciale dal 1910 al 1923.

In tale veste si occupò pure dell’ultimazione dei lavori al Palazzo del Governo nel 1910 e delle celebrazioni per cinquantesimo anniversario della Provincia di Benevento quando, tra l’altro, dettò il testo della lapide in onore di Garibaldi.

Nello stesso anno si oppose agli imminenti lavori di collegamento tra le stazioni ferroviarie Appia e Centrale i cui binari, da Santa Clementina, avrebbero dovuto raggiungere Piazza Vittoria Colonna mediante un cavalcavia sul Viale Principe di Napoli deturpando però le aree di San Cosimo, Cellarulo e Viale San Lorenzo, nonché distruggendo il complesso dei Santi Quaranta.

Meomartini, pertanto, propose un percorso meno invasivo e tecnicamente ed economicamente più vantaggioso che - dopo la visita in città degli ispettori ferroviari - venne approvato e realizzato.

Socio di accademie scientifiche, artistiche, letterarie e numismatiche nonché dell’Accademia dei Lincei e dell’Istituto Archeologico Germanico, rese noto in Italia in Europa il patrimonio artistico sannita anche con articoli su prestigiose riviste, con lettere e solleciti ai ministeri, e soprattutto con quattordici saggi tra cui: I monumenti e le opere d’arte della città di Benevento, Benevento dalle origini sino al presente, La battaglia di Benevento tra Manfredi e Carlo d’Angiò, Guida di Benevento e dintorni e, non ultima, nel 1907 la revisione de I comuni della Provincia di Benevento opera del fratello Alfonso (Reino 1841 - Benevento1918) dal 1901 ammalato gravemente.

In molte sue opere non ebbe timore di contestare fermamente il parere di insigni studiosi come Raffaele Garrucci - che non esitò a definire «archeologo di facile contentatura» - e altri colleghi le cui «affermazioni azzardate producono assai male imperocchè fanno il giro del mondo, massimamente quando l’autore ha un nome nelle lettere e nelle scienze e per distruggerle, seppure vi si riesce, devesi lottare non poco».

Con modestia e rigore, invece, di sé stesso soleva dire: «Tanti si dicono Storici ed Archeologi: danno dello Storico e dell’Archeologo anche a me che non sono che un modesto Architetto, quelli che non sanno che cosa voglia dire Storia ed Archeologia».

Disinteressato agli onori e men che maiagli affari legati alla politica, nel 1914 confidò all’amico Antonio Iamalio: «Se io avessi saputo lavorare di schiena e d’insidie come tanti rettili di questo mondo, che strisciando scalzano e s’innalzano sulle rovine altrui - hif! - da quanto tempo sarei deputato al Parlamento italiano! Del resto quando vedo in che basso loco è precipitato il parlamentarismo, la mia ambizione rientrata se ne conforta e non rimpiango punto il perduto medaglino».

Uomo di grande cultura e sensibilità, lasciò tra i suoi scritti un’appassionata e ancora attualissima descrizione dell’amata Benevento: «Alcune vetuste città e gloriose contrade, travolte nell’oblivione per l’ingiurie del tempo e degli uomini, ritornano oggi ad acquistare l’antica importanza […] E Benevento, la famosa città sannita, la fedele alleata di Roma, la capitale dei gloriosi ducato e principato longobardi, è tra quelle. Benevento ha sempre nuovi orizzonti ad ogni curva di strada campestre; per cui le passeggiate sono amenissime, massimamente nell’ora dei tramonti, spesso incantevoli. La nebbia di qualche mattino fa triste impressione al forestiero sollecito di tornare alla ferrovia; ma, se egli attendesse le ore prossime al meriggio, sarebbe confortato, d’inverno, quando altrove è vano sperarlo, da uno splendore di luce vividissima».

Almerico Meomartini nel 1880 aveva sposato Celeste Parenti di distinta famiglia di Ceppaloni da cui non ebbe figlie visse nel villino in Piazza Castello da lui stesso progettato in stile eclettico (1890), ma oggi inglobato in una moderna costruzione. Qui morì a settantatré anni alle 16.30 dell’11 aprile del 1923 dopo essersi dimesso dalla carica di Presidente della Deputazione Provinciale il 9 febbraio, forse non condividendo le idee fasciste, ma adducendo ufficialmente motivi di salute derivati dall’amputazione di un avambraccio in conseguenza di un incidente di caccia.

Riposa nella Congrega del SS. Sacramento, altra sua opera, nel cimitero di Benevento, città oveal Museo del Sannio è custodito il Fondo Meomartini donato dalla moglie e dal nipote cavalier Giuseppe Meomartini.

Ne seguì le orme il pronipote Almerico Meomartini junior (Benevento 1922 - Arenzano 2014), ingegnere, general manager della Sae - Società Anonima Elettrificazione, e progettista di impianti elettrici ad alta tensione in Thailandia, Canada, British Columbia, Zaire e Kuwait nonché del Ponte sul Bosforo con l’ingegner Brown per la società Cleveland Bridge.

ANDREA JELARDI