Antichi segni nella torre campanaria del Duomo di Benevento Cultura

Il furore della guerra del lontano settembre 1943 fece uno scempio indicibile del nostro Duomo, dove un tempo vi erano le più ricche e splendide attestazioni di fede, oltre ad inestimabili tesori.

Un grande merito andrà all’arcivescovo di allora, S.E. mons. Agostino Mancinelli, il quale riuscì a recuperare una piccola parte del tesoro, oggi esposto nel museo diocesano, disponendo il trasferimento in luoghi sicuri ancora oggi rimasti segreti.

A stare miracolosamente in piedi fu solo la torre campanaria del XIII sec, il cui interno mai aperto al pubblico, nasconde segni e testimonianze del passato che meritano di essere svelati.

Ottenuto il permesso speciale dal rettore della Cattedrale, mons. Abramo Martignetti, entriamo al suo interno in compagnia di una minitelecamera e dell’inseparabile drone.

Il nostro viaggio inizia da una piccola porta, chiusa rigorosamente a chiave, situata a sinistra appena si accede nel Duomo.

Varcato l’ingresso veniamo accolti in un piccolo ambiente dove quattro alte colonne posizionate ai quattro angoli, ci lasciano immaginare che un tempo proprio lì sorgeva un’area sacra.

Inizia l’avventura salendo gli scalini in pietra alti e stretti, ed ecco scorgere in una piccola feritoia un’antica iscrizione funeraria della metà I sec. d.c., così tradotto: “Lucio Vesonio Alessandro (costruisce la tomba) per sé e per Cassia Prima figlia di Marco, per i suoi buoni meriti”. (foto)

Leggendo Vesonio, la mente mi riporta ad un’altra iscrizione ben nota a Pompei murata sulla parete di un altro monumento funerario (metà del I sec. d.C.) e di proprietà del ricco liberto Publio Vesonio, che ora desidero raccontarvi: “Publio Vesonio, eresse un monumento funebre per se stesso, per i suoi familiari e per la sua patrona Vesonia. Questo sepolcro lo fece costruire anche per il suo amico, Marco Orfellio Fausto. Le loro statue sono ancora oggi esposte in alto, sull’edicola funeraria. La sorte, però, gli ha riservato una brutta sorpresa. Orfellio Fausto tradì la sua amicizia, lo denunciò e lo portò davanti a un giudice. Vesonio non volle rimuovere la sua statua, ma fece aggiungere sul monumento funebre questa maledizione: Viandante, se non ti reca fastidio fermati per un attimo, e impara cosa devi evitare. Costui che avevo sperato essermi amico, mi accusò falsamente in tribunale. Grazie agli dei e in virtù della mia innocenza, fui prosciolto dalle accuse. A chi tra noi ha mentito, auguro di non essere accolto né dagli dei Penati, né dagli dei Inferi”.

Continuando a salire giungiamo ad un primo locale dove è posizionato il motore elettrificato dell’orologio, che si ammira sulla facciata esterna.

Dal 1947 il nuovo orologio acquistato dall’officina “Curci Alfonso” di Napoli, in sostituzione di quello andato distrutto dal bombardamento alleato, ci segna ancora l’ora esatta.

Giungiamo al termine della angusta scalinata, nella cella campanaria. La vista intorno a noi è meravigliosa.

Al centro il campanone a slancio e intorno le 5 più piccole.

Impossibile non scoprire tra le aperture bifore le due colonne provenienti sicuramente dal tempio di Iside.

Osservando meglio i blocchi di pietra, spunta un vecchio stemma, legato ad un potente vescovo e cardinale beneventano, di nome Astorgio Agnesi detto anche «spada in faccia», dalle due spade incrociate raffigurate nel suo stemma, un tempo Pastore di Benevento dal febbraio del 1436 fino alla sua morte giunta il 10 ottobre 1451.

Mi giro intorno e su altri due blocchi di pietra, scorgo il fiore di loto ad otto petali e la croce di Gerusalemme, probabilmente scolpiti dal passaggio di un cavaliere al rientro della terra santa.

Da questo momento senza nessuna pretesa di interpretare in senso unico questi segni ben visibili, cercherò di accompagnarvi nella spiegazione.

Cosa rappresenta il fiore di loto?

E’ uno dei più antichi e conosciuti simboli, fin dalle più antiche civiltà e culture religiose rappresenta il simbolo di vita, ma anche di vittoria della vita sulla morte.

Nel libro del Cantico dei Cantici, si legge che il fiore di loto è il simbolo dell’amore per eccellenza, l’amore è forte come la morte”, anzi l’amore fedele e duraturo vince tutte le battaglie persino quella sulla morte.

Il simbolismo legato al fiore di loto, ebbe la più ampia diffusione nel Medioevo e venne apposto in numerosi edifici di culto sparsi per l’Europa, probabilmente ad opera dei cavalieri del Santo Sepolcro.

Una vera e propria suggestione quello che allaccia la sacralità del fiore di loto e il simbolo della croce di Gerusalemme.

Abbasso lo sguardo, e un tondino di ferro cementato sul pavimento, cattura la mia attenzione.

E’ un vertice geodetico di IV ordine della rete trigonometrica dell’Istituto Geografico Militare, che viene dopo ad uno già esistente verso la fine dell’800.

Venne utilizzato per la realizzazione di una carta geografica geometricamente corretta e di conseguenza utilizzato per tutti gli scopi da quelli scientifici, ai semplici scopi militari.

A questo proposito potrei dire, chi ha sganciato le bombe tra le diverse incursioni aeree del settembre 1943, non poteva non conoscere l’esistenza di una Cattedrale proprio in quel luogo.

Alzo lo sguardo e un’aquila imperiale del periodo romano con lo sguardo rivolto a destra ed incastonato in un angolo, mi “rapisce”.

Anche Napoleone non fu esente dal fascino di questa aquila imperiale, ma al contrario di quella romana, quella utilizzata durante l’ impero francese aveva il capo rivolto a sinistra.

Nessuno degli uomini che hanno scritto la storia, hanno saputo resistere all’utilizzo del simbolismo dell’aquila.

Siamo arrivati sulla sommità del campanile a vela, una campana dei quarti e una delle ore con al centro un medaglione raffigurante la Vergine del Rosario (FOTO 7), da secoli scandiscono i ritmi dello scorrere del tempo sulla vita quotidiana della nostra città e sulla sua esistenza.

Ora che la cattedrale ha restaurato anche le sue porte di bronzo e il grigiore della guerra sembra lontano, non ci resta che aprire le ali del drone per volare ancora più su...

Buona visione.

CESARE MUCCI