Che donne sull'Arco di Traiano! Cultura

Le figure femminili nello scenario dell’Arco di Traiano non sono né piccole né poche. Per rendersene conto basta alzare gli occhi. Ma guardare, si sa, non è vedere. Così quelle donne - e che donne! - presenti a Benevento da duemila anni sotto, anzi, ‘sopra’ gli occhi di tutti, restano incredibilmente ignorate. Colpa degli studiosi che privilegiano il genere maschile, colpa di cittadini e turisti abituati a considerare protagonisti delle vicende storiche gli uomini di potere, i militari, i nemici assoggettati da Roma. Colpa anche dell’onnipresente imperatore “optimus maximus”, che escluse dall’Arco perfino sua moglie Plotina!

Per oltre due mesi sulle impalcature di restauro ebbi occasione di vedere da vicino le figure femminili, di toccarle, quando per incarico della Soprintendenza Archeologica diedi collaborazione culturale a Valerio Gramignazzi Serrone, fotografo beneventano di fama nazionale chiamato a documentare l’intera decorazione scultorea. La sua interpretazione visiva ha lasciato emozionanti immagini di donne che sfoggiano acconciature, abbigliamenti, posture a volte ammiccanti, giovani seminude o matrone in drappeggi che ricadono sui corpi. Ad osservarle nelle fotografie ci si incanta, a sfiorarle nella fisicità dei marmi mancava il respiro.

Lassù, tra centinaia di forme fluttuanti nella privacy necessaria, la originalità delle figure femminili sottolinea quanto generiche siano le immagini dell’Arco diffuse dovunque senza evidenziarle. A promuoverne la conoscenza, potrebbero invece entrare in circolazione anche con la pubblicità commerciale. Sembrano suggerirlo già le poche fotografie qui pubblicate, scaturite da una visione che evoca e riconfeziona il mondo artistico antico inducendo desideri imprevisti. È un ritorno di nostalgia, una risorsa? Vi si può scorgere anzitutto il modo in cui le singole sculture, bloccate a distanza sul monumento, si animano se portate in primo piano.

Ossessionato da una perfezione maniacale, Valerio Gramignazzi Serrone collocava la fotocamera in posizioni da correggere man mano, livellava il cavalletto con tranci di terracotta tenuti nella pesante borsa, rimisurava spesso intensità di luce e temperatura di colore, e aspettava per ore il ‘momento esclusivo’ nello scorrere del sole e delle ombre. Sapeva che avrebbe poi dato a tutti la sensazione di aver vissuto quel momento insieme a lui sulla pericolosa impalcatura, tra volti, gesti e corpi impossibili da avvicinare scalando l’Arco, ma messi dalle fotografie in uno scenario teatrale nuovo. Purtroppo, in gran parte non pubblicate, le foto rimanevano gelosamente custodite nell’archivio personale perduto.

Nel suo laboratorio di sviluppo e stampa dei negativi mi chiedeva ogni possibile associazione culturale, restando sorpreso o forse ispirato quando alle scene traianee da lui selezionate affiancavo quelle che artisti dei secoli successivi hanno quasi replicato senza essere mai passati per Benevento, a testimonianza che la creatività non ha limite alcuno. Tanta curiosità mi fece tra l’altro capire perché lui, maestro del ‘bianco e nero’, avesse stranamente deciso di ritrarre ‘a colori’ la donna in marmo bianco distesa seminuda nell’archivolto nordest dell’Arco di Traiano, personificazione della Sorgente del fiume Tisa (foto) oggi Tibisco, affluente di sinistra del Danubio. Era rimasto suggestionato dalle immagini che gli avevo mostrato, della Paolina Borghese scolpita da Antonio Canova e della Maja desnuda e Maja Vestida dipinte da Francisco Goya, artisti attivi tra il Sette e l’Ottocento.

La precisione formale e l’intensità espressiva delle fotografie mi teneva in comunicazione ininterrotta con Valerio Gramignazzi Serrone, che aveva voluto la mia collaborazione dopo lunghe preliminari discussioni sulla opportunità di avvicinarsi alle scene dell’Arco non secondo il solito criterio di confronti cronologici ma provando a riconoscere assonanze, simmetrie e differenze di stili. Il mettere a confronto antico e contemporaneo avrebbe lasciato ad ogni osservatore sia delle foto che dell’Arco una grande libertà di giocare, immaginare e fantasticare su possibili relazioni formali e intuitive. La qualità e la dimensione dell’apparato decorativo ci induceva del resto a pensare che fosse stato progettato da almeno due artisti e manualmente realizzato poi da scultori diversi tra loro.

Tra le altre figure femminili proporrei qui la Vittoria alata tauroctona del fronte nordest, la cui prorompenza fisica nell’uccidere il toro sa adescare anche lo sguardo più distratto. E infine la Dea Giunone della Triade Capitolina (Giove, Giunone, Minerva), inquadrata dal fotografo beneventano in una prospettiva che ne accentua la postura quasi spavalda, col busto in leggera rotazione e una mano sul fianco, come la indisponente movenza della Filumena Marturano interpretata da Sofia Loren nel film “Matrimonio all’italiana” uscito pochi anni prima. Inutile dire che Gramignazzi, pur divertito nel vederne i cartelloni pubblicitari che gli mostravo, negò categoricamente di essere stato condizionato dal paragone…

E a proposito di femminilità nell’arte, mi son sempre chiesto perché sull’Arco manchi la figura di Plotina, donna straordinaria che svolgeva ruoli rilevanti nel mondo politico, culturale, economico e sociale. Plotina seguiva spesso Traiano nelle imprese militari, lo affiancò in Oriente fino alla morte e ne portò i resti a Roma. Indicativo per me è il fatto che lei non compaia neppure a Roma nella Colonna Traiana, alla cui base vennero raccolte le sue ceneri insieme a quelle del marito. La risposta mi pare evidente in una moneta d’oro che ce ne dà il ritratto con la seguente didascalia latina: PLOTINA.AUG(usta).IMP(eratoris).TRAIANI, vale a dire “Plotina Augusta dell’Imperatore Traiano”. Anche lei era una proprietà.

ELIO GALASSO