Domenico Cùnego e l'invenzione scenografica dell' ''Anfiteatro'' di Benevento Cultura

Tutti le ritenevano rovine di un Anfiteatro, tra il Seicento e l’Ottocento. I viaggiatori, passandovi davanti appena entrati in città dal vicino Ponte Leproso lungo la Via Appia, rallentavano il cammino verso l’Arco di Traiano, loro destinazione finale. Qualche artista si soffermò a disegnare quello spettacolo inatteso. Càpita ancora oggi che qualche beneventano chiami ‘anfiteatro’ il Teatro Romano, del quale ai tempi del ‘Grand Tour’ affiorava nel Rione Triggio la parte superiore della struttura a semicerchio, così monumentale da far pensare a un edificio analogo al Colosseo.

Erano invece i resti del Teatro Romano recuperato poi nel Novecento, che comunque non avrebbe deluso il pittore e incisore veronese Domenico Cùnego (1731-1803), autore di una Veduta a bulino e acquaforte del monumento che… non aveva mai visto. Lo conobbe da un disegno, ma quella bellezza grandiosa in transito nei secoli gli stimolò la fantasia. Trasse infattile strutture antiche in primo piano fino a sovrastare le figure aggiunte, umane e animali, tra elementi naturalistici. L’opera risultò una sintesi della concezione estetica dell’Artista che si andava accreditando presso le più autorevoli sedi sovrane d’Europa essendo egli dal 1760 ‘incisore ufficiale’ di James Adam, il più importante disegnatore scozzese venuto in Italia insieme a Charles-Louis Clérisseau (1721-1820) a sua volta noto architetto e disegnatore francese. Era stato quest’ultimo a chiedere al Cùnego di tradurre in incisione un proprio disegno del monumento eseguito a Benevento.

Pochissime le copie di quella incisione in musei inglesi, tedeschi, francesi. A Benevento non ne era arrivata nessuna!

In Via del Babuino a Roma ne scoprii un esemplare negli Anni Novanta in una vetrina del negozio di Peppino Antonacci, storico e raffinato antiquario. Una occasione unica. Decisi subito di acquistarlo per la Sezione Grafica del Museo del Sannio da me diretto. Vi riuscii a seguito di un precedente indimenticabile ‘equivoco’ che vale la pena di raccontare.

Qualche anno prima avevo visto esposta nella vetrina dello stesso antiquario una stampa dell’Arco di Traiano di Giovan Battista Piranesi ad un prezzo insolitamente molto contenuto. Entrai, mi presentai per poterne verificare l’autenticità ed esaminare lo stato di conservazione. Riscontrai tutto perfetto, chiesi che venisse preparata per la spedizione al Museo del Sannio. L’antiquario, indaffarato, non aveva ancora dato un’occhiata all’opera quando il tecnico gli portò la targhetta descrittiva. La lesse e mi chiese: Professore, come mai ha acquistato questa incisione dell’Arco di Tito? Pubblicherà uno studio su Roma settecentesca?. Convinto che scherzasse sulla somiglianza tra i due archi di Traiano e di Tito, simili tra loro per dimensioni e per il fornice unico ma ben diversi per la decorazione scultorea, risposi: Complimenti a lei, non ho mai trovato in vendita un esemplare così ben conservato dell’Arco di Traiano di Benevento inciso dal Piranesi”. Sorpreso dalla mia precisazione, si alzò dalla sua sontuosa scrivania, andò a controllare e si accorse che all’opera del Piranesi era stata applicata una targhetta errata: Sono imbarazzato ma La ringrazio, solo adesso capisco l’insistenza del furbo francese che ieri pomeriggio ne ha telefonicamente prenotato l’acquisto…. Si riferiva, disse, al Direttore della ‘Fondation Custodia’ di Parigi, la più grande Collezione di incisioni d’arte della Francia! Impassibile, confermò tuttavia a me la vendita al prezzo ridotto indicato nella targhetta errata.

Da quell’episodio nacque un rapporto cordiale che qualche anno dopo mi facilitò l’acquisto della incisione di Domenico Cùnego, così didascalizzata dall’Autore in inglese e francese:

ANFITEATRO DI BENEVENTO.

QUESTO EDIFICIO È SITUATO NEL REGNO DI NAPOLI.

Incisione all’acquaforte di Domenico Cùnego

da un Disegno di Charles-Louis Clérisseau

La veduta è grandangolare, per dirla in termini fotografici, con effetti di ombre sulle architetture e di luci sui personaggiche si muovono sullo sfondo dell’edificio monumentale invaso dalla loro povertà restìa ad esibirsi. Non era quella la vera vita settecentesca del quartiere Triggio, ma il Cùnego non lo sapeva. Per contrasto aggiunse grandiosità agli spazi ridimensionando le casette costruite negli anfratti e sugli arconi fino ad altezze rischiosissime e inventò deliziosi frammenti scenici, dove la lunghezza di un tratto, una superficie liscia, il grumo di una scrostatura richiamano l’attenzione su alberi e nuvole disfondo, su ciuffi d’erba e solchi nel terreno.

Quattro le scene animate. Due ragazze si affacciano da un muretto, uscite forse dalla vicina casa con tre finestrelle o discese da casupole che appaiono ancora più in alto, a picco sugli arconi svettanti al cielo. Hanno la testa velata secondo il tipico abbigliamento locale con panneggio abbondante. Incuriosite guardano quel che accade giù. Due altre ragazze ammantate di bianco come loro,una con la cesta sul capo, si dirigono verso un giovane seduto a terra. Accanto a lui una cesta piena, un bastone per caricarla in spalla e un vassoio dal bordo ondulato, in apparenza addirittura d’argento, su cui è posato un piatto con una pietanza. Ricchezza e povertà in improbabile compresenza. Più a destra un uomo e una donna avanzano con i piedi immersi nell’acqua di un torrentello proveniente da uno dei tre archi bassi che reggono il complesso monumentale: lei tira su il manto, scoprendo una gamba avvolta in un velo fino alla caviglia, lui sotto il peso di panni appena lavati. Ancora più a destra, su un cavallo bianco scalpitante, un altro uomo col cappello attraversa un branco di pecore e capre seguito da un asino carico di legna e cestoni conaltri panni.

La creatività anticipatrice di Domenico Cùnego offre preziose chiavi di lettura. Vi si riconoscono temi che saranno esplorati in maniera sistematica dopo di lui: il paesaggio con dettagli a contrasto a cominciare dalla dilatazione innaturale del campo visivo, la sequenza filmica di attrici e attori in recitazione, le architetture archeologiche in prospettive da urbanistica progettuale moderna.Il Dizionario Biografico degli Italiani ‘Treccani’ riporta che l’Artista nacque presumibilmente a Verona nel 1724 o 1725, dato che al momento della morte aveva 78 anni, età desunta dal Liber mortuorum della Parrocchia di San Lorenzo in Lucìna a Roma, conservato nell’Archivio Storico del Vicariato. Sono andato di recente a Roma in quella Basilica ubicata nel Rione Colonna: su una parete decentrata ho scoperto la lapide di sepoltura del Cùnego, lì da oltre due secoli. L’epigrafe in latino non lascia spazio a deduzioni essendo stata dedicata dai figli e dagli amici. E contraddice il Dizionario Biografico dichiarando esplicitamenteche l’Artista era di Verona e morì nel febbraio 1803 a 72 anni, non a 78. Domenico Cùnego - prosegue l’iscrizione - eronese, scultore e incisore incomparabile, attivo specialmente in Inghilterra e in Prussia, fu autore di molte incisioni d’arte consegnate alla posterità.

Incantato dalla monumentalità beneventana, Domenico Cùnego è stato un grande artista. Non deve più essere ignorato proprio a Benevento.

ELIO GALASSO