Fedra a Benevento Cultura
La donna più invasata di desiderio erotico della mitologia classica, Fedra moglie di Teseo re di Atene, affidò alla Nutrice il compito di svelare all’ignaro amato la propria insana passione. O forse fu la Nutrice, commossa dalle sofferenze della Regina, a riferirla di propria iniziativa. Le conseguenze furono atroci, raccontò Euripide nella tragedia Ippolito coronato che nel 428 a.C. vinse il primo premio alle Grandi Dionisie. Dopo sette secoli uno scultore romano raffigurò quel mito sul fronte di un sarcofago in marmo custodito nel Museo del Sannio a Benevento. Tra malizie femminili e dettagli mai notati la scena non lascia sospettare che l’impeto d’amore arriverà a crimini efferati.
L’amato di Fedra è Ippolito, figlio che suo marito Teseo ha avuto in un precedente matrimonio. Giovanissima, con i suoi turbamenti incontrollabili non si sente una Venere di proprietà del marito, tantomeno una matrigna condizionata dalle norme sociali. Seduta in trono, non rinuncia a gesti poco regali: una gamba sollevata col piede sullo sgabello, il ginocchio dell’altra distanziato, la veste sontuosa che non a caso lascia scoperte le braccia. Le porge specchio e ampolle di cosmetici una Ancella alle sue spalle, in modo che la Regina possa voltarsi all’indietro per non far scoprire a Ippolito che lo sta spiando, atletico, bellissimo, in giro nella reggia con le sue manie, la caccia, i cavalli. Un piccolo Eros alato tocca Fedra, le brucia membra e cuore. Il diavolo sta nei dettagli, si dice.
Raccontando in sequenze, l’ignoto scultore sottolinea i tentativi di sedurre Ippolito, casto per scelta. L’artista e la Regina sembrano chiedersi perché sia tanto immorale la passione per un figliastro col quale, in fondo, una matrigna non ha alcun rapporto parentale. Sanno che in un matrimonio il tradimento è illegale, scandaloso se il tradito è un re, ma che i limiti da non superare e la potenza della passione erotica non possono coesistere. Tradire non si deve, ma… si può. Così il destino di Fedra si intravede nella scena di quel sarcofago realizzato per chissà quale alta personalità della Benevento di età romana imperiale.
Il gesto plateale della Nutrice che si rivolge a Ippolito è il più significativo. Fedra ha deciso di cedere al proprio desiderio e perciò la lascia fare. Nella tragedia di Euripide la Nutrice sconsiglia fortemente di tradire, ma lo scultore risale a luoghi della mente in cui sognando una vita felice è possibile ritrovarsi tra ombre perdute negli interstizi oscuri della personalità. Esplora le motivazioni profonde per cui Fedra sta per fare quello che vorrebbe non fare, evoca nell’osservatore ricordi orribili della sua adolescenza. Fedra era infatti figlia di Pasiphae, la moglie di Minosse re di Creta che si era follemente innamorata e concessa a un toro generando il mostruoso Minotauro (nell’immagine Il toro portato a Pasiphae. Affresco, Casa dei Vettii, Pompei). Quell’evento sconvolgente della vita di sua madre restò radicato nell’inconscio di Fedra quando fu data in sposa a Teseo che aveva ucciso il mostro nel labirinto di Cnosso.
La Nutrice si china verso Ippolito per riferirgli tutto, ma prima gli chiede di giurare che non ne parlerà con nessuno. Incuriosito egli giura e lei si fa ruffiana, racconta i deliri erotici della matrigna, la sua totale disponibilità a rapporti fisici. Scandalizzato, Ippolito - dopo il suo celebre monologo euripideo contro le donne (O Zeus, perché hai messo al mondo le donne, un male pieno di inganni?) - solleva un braccio, la respinge e, tra compagni di caccia, cani e cinghiali, fugge via a cavallo.
Nella scena beneventana mancano gli eventi successivi. Fedra furibonda decide di vendicarsi in modo da apparire innocente: si suicida con una spada, lasciando scritto al marito che Ippolito l’ha stuprata. Teseo legge, vede il cadavere di lei, ne ha pietà e chiede la morte del figlio al dio Poseidone che fa emergere dal mare un mostro. Il cavallo si impenna, il giovane sbatte contro le rocce prima che la dea Artemide sua protettrice riesca a salvarlo. Portato ferito nella reggia Ippolito mantiene il giuramento fatto alla Nutrice, non accusa Fedra e muore perdonando suo padre. Sarà Artemide, alla fine, a svelare a Teseo verità e falsità.
Il mito ha attraversato le epoche scuotendo il senso morale per la mancanza di pudore con cui la Regina confessa i propri impulsi irrefrenabili. Tra le infinite riflessioni critiche spicca quella offensiva di Aristofane, che nella commedia Le rane del 405 a.C. la definì una πόρνη (‘porne’, sgualdrina). Ma ha ispirato anche capolavori della letteratura e del teatro mondiale.
Pochi, invece, i rilievi antichi che lo hanno tramandato. La scena più completa è agli Uffizi di Firenze. Un’altra nella Basilica di San Clemente a Roma, su un sarcofago riutilizzato in una catacomba paleocristiana. Di grande eleganza il rilievo del sarcofago tornato da poco in esposizione nella Cattedrale di Agrigento. Un frammento con Ippolito che fugge via a cavallo è stato da me identificato nel Civico Museo Archeologico di Milano.
Nessuna delle loro scene presenta i dettagli sensuali del capolavoro beneventano. Merito dell’anonimo Autore che, senza abbandonarsi ad una narrazione di orrori, invita a penetrarne i misteri insieme a Euripide.
ELIO GALASSO