I monumenti della Benevento antica in un'iscrizione del V secolo Cultura

Chi era lo spettabile cittadino al quale il popolo di Benevento dedicò una statua ad eterna memoria della sua indefessa attività di ricostruttore del patrimonio monumentale, andato quasi completamente distrutto a causa di un incendio appiccato da nemici invasori?

Di questi eventi è testimonianza l’epigrafe registrata da Theodor Mommsen al n° 1596 del volume IX del Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), che gli studiosi datano al V sec. d. C., un periodo drammatico per l’Italia, attraversata dalle scorrerie dei Goti, che non risparmiarono Benevento, dove appunto causarono un devastante incendio. Grazie a questa iscrizione sappiamo quali furono i monumenti che Benevento aveva in quella lontana epoca, restaurati o ricostruiti da un amministratore della città, rimasto ignoto poiché la sommità dell’ara che fungeva da base alla statua che lo ritraeva e recante il testo che ne citava il nome è danneggiata.

I monumenti citati nel testo dell’epigrafe sono: il Foro, la Curia, la Basilica con i Portici dei Sagittari nella zona della Via Nuova, le Terme Commodiane, i Collegi, il Portico di Diana, la Basilica di Longino. Questo elenco ci restituisce, almeno idealmente, quale fosse il paesaggio urbano che potevano vedere i beneventani di millecinquecento anni fa. La furia devastatrice degli invasori aveva colpito la zona che oggi grosso modo dovrebbe corrispondere a quella compresa tra il Duomo (foro) e l’Arco del Sacramento da una parte e Via del Pomerio dall’altra, dove oggi le evidenze archeologiche permettono di vedere resti della città antica, con le terme e suppellettili di vario tipo.

Dobbiamo immaginare il foro come una piazza contornata di portici ed edifici che ospitavano le più importanti istituzioni cittadine, il tribunale, l’aula della municipalità, i collegi sacerdotali, i templi. La Via Nuova che viene nominata nell’iscrizione era la Via Traiana, lungo il tratto cittadino della quale evidentemente c’erano la Basilica e i Portici dei Sagittari. Gli eventi successivi trasformarono il paesaggio cittadino, la statua del bravo amministratore probabilmente rovinò, la base che la ospitava fu spostata, ma fu ancora vista da Mario Verusio, un religioso che nella prima metà del XVII sec. che ne trascrisse l’iscrizione in un manoscritto assieme ad altre 319 epigrafi presenti in città. Egli la vide “in una bottega sotto la collegiata chiesa di S. Spirito”. Il terremoto del 1688 travolse Benevento e della nostra iscrizione se ne persero le tracce per 424 anni.

Nel 2012, durante i lavori di rifacimento di un negozio lungo il corso Garibaldi, si scoprì che l’ara era stata reimpiegata come stipite destro dell’ingresso dell’esercizio commerciale e ricoperto dall’intonaco era stata dimenticata. La notizia del ritrovamento e la trascrizione del testo, assai più danneggiato rispetto a come l’aveva letto il Verusio, fu data dall’allora ispettrice archeologa Luigina Tomay sulle pagine di “Antiqua Beneventana” il volume curato da chi scrive. Difficilmente il cliente che entra per acquistare un abito in quel negozio si accorge che sta passando accanto a un monumento antico di quindici secoli, che descrive un’altra città, un altro tempo, con i suoi drammi e le sue speranze, ma quella pietra ha salvato dall’oblio nomi e storie che non avremmo mai conosciuto.

PAOLA CARUSO

Nella foto ara con iscrizione a Corso Garibaldi (V sec. d. C.)