Il simbolismo del cibo natalizio Cultura

Già nel 3.600 a. C., in Persia e nell’area mediorientale, in Siria, in Mesopotamia, in Egitto il 25 dicembre era un giorno speciale, un giorno di festa che celebrava la nascita del dio Sole, il ‘dies Natalis Solis Invicti’. Una festività che segnava la rinascita dell’astro solare, dopo la stasi solstiziale. Da festa solare, il Natale è stato trasformato, nel 330 d. C., in ricorrenza cristiana per iniziativa dell’imperatore Costantino. La più suggestiva ed importante festività del calendario cristiano. Dunque, Gesù come il dio Sole, fonte di vita, fonte di luce!!

Come tutte le feste che si rispettano è caratterizzato da grandi abbuffate, da grandi scorpacciate, tipiche di un tempo eccezionale, di un tempo sacro, coincidente con il ‘solstizio d’inverno’. Un’epoca di passaggio, in cui il sole è al suo minimo astrale, nel punto più lontano dalla terra. Inoltre, per sconfiggere le tenebre, il buio, quel senso di morte che segna gli ultimi giorni di dicembre, si è pensato di reagire con un eccesso di vita. Di qui, l’abitudine di allestire banchetti, convivi luculliani. In questa prospettiva, il Convivio natalizio viene ad assumere i contorni di un vero e proprio banchetto rituale, caratterizzato da cibi ben precisi. Cibi che sono diventati dei veri e propri simboli dalla forte valenza propiziatoria. Pensiamo al panettone, agli struffoli, alle lenticchie.

Nel ‘mare magnum’ delle tradizioni natalizie gastronomiche, abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione sulla mandorla, un frutto che, da sempre, simboleggia l’energia vitale, il potere germinativo del cosmo, evocante la luce del sole. Simbolo solare, per antonomasia, per la sua forma ovoidale, essa è collegata all’uovo cosmico, motore dell’universo, materia prima fecondante.

Ricordiamo che il mandorlo è il primo albero a fiorire alla fine dell’inverno. Per questa ragione, è abbastanza naturale che venga ad incarnare il potere fecondante, germinativo di Madre Natura.

Va osservato come il frutto del mandorlo costituisce un vero e proprio ‘filo rosso’, un ‘fil rouge’, in grado di collegare il nord e il sud, l’est e l’ovest del bacino Mediterraneo. Pensiamo al pane dolce farcito di mandorle e miele che si usava confezionare nell’ antica Persia durante il ‘solstizio d’inverno’ o al ‘xristopsomo’ o ‘pane di Cristo’ della tradizione ortodossa, nel cui impasto viene nascosta una mandorla con il guscio, a simboleggiare il corpo di Cristo.

Pensiamo anche ai ‘kourabiedes’ della tradizione gastronomica ellenica, deliziosi biscottini farciti di mandorle e profumati di acqua di rose, ai baklavas turchi, ai ‘daktila kirion’, ‘dita di Apostolo’ ripieni di mandorle, tipici del Natale cipriota. Restando in area mediorientale, va citata l’‘asoures’, della cucina ‘palaziale’ dei Sultani di Costantinopoli, una profumatissima zuppa di grano e mandorle, aromatizzata con acqua di rose, dal chiaro potere propiziatorio.

In area magno-greca, incontriamo una miriade di preparazioni a base di mandorle, pensiamo alle paste reali, ai marzapani, alla frutta di Martorana della Sicilia, al pesce di marzapane della tradizione pugliese. Mentre nelle zone di influenza etrusca incontriamo il ‘pangiallo’, farcito di mandorle e frutta secca, e il ‘serpentone’ umbro, interessantissimo reperto gastronomico, risalente agli antichi etruschi. Continuando il nostro viaggio lungo le coste mediterranee, sulle orme della mandorla, ci imbattiamo nei ‘polvorones’ e nei ‘mantecados’ della tradizione natalizia iberica, retaggio della gastronomia arabo-andalusa.

Tutti dolci tipici delle festività natalizie che costituiscono dei veri e propri ‘scrigni di vita’, evocanti la luce solare.

Nonostante i modelli consumistici, nonostante la globalizzazione del gusto, sulle tavole del Natale italico compaiono, ancora oggi, dei prodotti che sono dei veri e propri ‘fossili viventi’, frutto di una tradizione gastronomica che affonda le radici nel passato remoto pagano.

Pensiamo al serpentone umbro, meglio conosciuto con il nome di ‘torciglione’ o al pesce di mandorle della tradizione pugliese. Il serpente e il pesce, due icone della religiosità mediterranea che sono stati al centro dei più importanti culti del mondo antico. Il primo, grazie alla sua capacità di cambiare pelle, di rigenerarsi ogni anno, incarnerà la vita, la rinascita. La sua forma attorcigliata, la spirale che disegna, richiama la ciclicità del tempo, dell’anno che muore e rinasce.

Un ‘imago mundi’ che, nella civiltà etrusca, sottende al mito di Agdistis, figlio di Giove e Gaia, la Terra. In occasione del solstizio d’inverno, le antiche popolazioni umbre della zona del Trasimeno avevano l’abitudine di preparare un dolce votivo di mandorle e zucchero, in forma di serpente, da offrire al dio Sole, nel suo ‘dies Natalis’.

Il pesce di marzapane della Puglia è, senza dubbio, uno dei più interessanti ed originali esempi della tradizione dolciaria natalizia del sud d’Italia. Secondo le religioni arcaiche, il pesce era simbolo di vita proprio come l’elemento acquatico, in quanto nato dall’uovo primordiale. Inoltre, da rigorosi calcoli astronomici è emerso come Gesù sia nato proprio nell’era dei Pesci. Di qui, la nutrita simbologia cristiana e proto-cristiana avente come emblema il pesce-Cristo. Dal primo secolo dopo Cristo, i Cristiani formularono l’acronimo della parola “XTUS” che significa ‘pesce’ in lingua greca: Iesous Christos Theou Yios Soter, (ICTYS) che tradotto significa: GESU’ CRISTO FIGLIO di DIO SALVATORE.

Inoltre, i primi cristiani, per riconoscersi tra loro, disegnavano un pesce stilizzato all’ingresso delle catacombe.

MARIA IVANA TANGA