Il sindaco di Benevento pretese il ''pizzo'' da Vanvitelli Cultura

Il Consiglio Comunale di Benevento sfiorò la soglia delle disponibilità pur di assicurarsi un progetto di Luigi Vanvitelli, il geniale ideatore della Reggia di Caserta. La priorità di quel 1766 era restaurare l’antico ponte sul Calore, a rischio di crollo imminente. Responsabile della gestione dei lavori Diego Trabucco, il Sindaco. Un tipo rozzo, che entrò in scena affidandosi alle voci di taverna: sta per arrivare un forestiero che va sempre in giro per le campagne a cavallo di un somaro, in cerca di sorgenti, con la bottiglia d’acqua a portata di mano…

Prima di scoprire documenti sconcertanti, non potevo certo immaginare che quel Sindaco avrebbe fatto assai peggio che infischiarsi del confronto personale con l’illustre ospite. Comunque dovette incontrarlo, e visse un momento d’imbarazzo quando a maggio vide di fronte a sé il Primo Architetto della Corte Reale di Napoli, elegante, autorevole. Attribuì la figuraccia soltanto al vestito sciatto che aveva indossato. Accortosi che non ne aveva di adeguati alle occasioni di rappresentanza, andò di corsa a farsene cucire uno dal sarto: 17 ducati e 10 grana da pagare, una cifra non da capogiro, ma con quella somma una famiglia contadina a quei tempi comprava un vitello e ci campava per anni. Col sarto se ne uscì con un rabbioso… ‘pagherò’.

Si tratta di vedere un Ponte sul fiume Calore, che vogliono allargare, di altro non so niente” aveva scritto il 28 gennaio Vanvitelli al fratello Urbano, abate a Roma. Ma fino a marzo non poté viaggiare, per i dolori alle gambe. E ad aprile aspettava ancora il consenso della Casa Reale. Con il Comune di Benevento aveva concordato un compenso di 200 ducati, oltre al rimborso spese di viaggio, vitto e alloggio. Arrivò a maggio, ricevette dal Sindaco una carta bancaria per incassare 100 ducati in acconto e gradì molto la cassetta di torrone regalatagli dai Consoli, principali amministratori della Città. “Ma la strada è delle peggiori che ho mai vedute… sto a riposarmi qua per le ossa rotte…ho veduto il Ponte, sta pericoloso, è crepato e quando ci sono le piene trema perché è sottile, l’urto dell’acqua facilmente lo può balzare abbasso”. Questo ed altri documenti autografi scoprii nella Biblioteca Nazionale di Napoli insieme a due piccoli disegni del vecchio ponte, sopra e sotto corrente. Era l’archivio personale di Vanvitelli, sigillato da due secoli, traboccante di sorprese sgradevoli…

Dopo le visite al Vescovo e al Governatore Pontificio, l’Architetto si dedicò ai rapporti con la nobiltà, dai Cardone che “possedevano la casa più ricca in Benevento” al “marchesino Marzio Pacca che mi fece mille finezze, mi condusse a vedere le antichità del paese e mi mandò in regalo 12 capocolli di porco che non so se abbia durata a mantenersi”. Gran buongustaio, il Vanvitelli si lasciò presto sedurre dai sapori del ‘paese’, che peraltro aveva visitato alcuni anni prima restando allibito davanti agli sfregi di figure decapitate e ai grossi buchi inflitti all’Arco di Traiano: “La barbarie ha fatto fabbricare una porta della città dentro questo Arco superbissimo: con i muri sono stati divisi in due i bassorilievi interni del fornice, che fa pietà vederli così maltrattati”.

Strinse amicizia col Marchese Pedicini nel Palazzo in Via di Porta San Lorenzo, oggi Corso Dante. La Topografia di Benevento disegnata nel 1781 da Saverio Casselli ne mostra il retrostante giardino pensile con le aiuole in geometrie rinascimentali: a picco sul letto del fiume, con una vista spettacolare fino alla catena del Taburno, era delimitato da due torrette piccionaie poggiate su robuste fondamenta altomedievali. Dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale il giardino ha ceduto il suo spazio alla Via Posillipo, dove svetta ancora una delle due torri, detta Biffa, dal termine longobardo wiffa (limite).

Vanvitelli alloggiò in una vicina locanda e frequentò una trattoria del quartiere. Di piccioni saporiti come quelli che andava lì a mangiare - ha lasciato scritto - non ne aveva assaggiati maiLavorò insieme al figlio Carlo, con due assistenti e due servi, e dopo una settimana ripartì in carrozza per Napoli. Tre giorni dopo, il 28 giugno 1766, spedì al Sindaco la relazione tecnica col progetto grafico. Ducati 7.542,88 la sua previsione di spesa per il restauro del ponte.

Gongolava il Sindaco nell’apprendere quale malloppo avrebbe maneggiato. Adesso poteva ancor più infischiarsi di Vanvitelli, tornato magari in groppa al somarello e non si curò di rispondere alle sue ripetute richieste di saldare il compenso professionale.

Un bel giorno, si fa per dire, a Diego Trabucco - allucinante la sintonia del suo cognome con… trabocchetto - venne l’idea di una trama di malaffare. Prese la penna e scrisse all’Architetto che, diversamente da quanto concordato, dai 100 ducati da saldare ne avrebbe sottratto 70 per le spese di alloggio, vitto e viaggi in carrozza, con l’aggiunta della doppia tassa di entrata e uscita dalla città papale. Per cui il credito si riduceva a 30 ducati. Nessuna spiegazione. Il Sindaco pretendeva dunque un ‘pizzo’ sul suo guadagno! Ma Vanvitelli non era ignaro di camorrismi di bassa lega e girò la notizia al Comune di Benevento con parole ironiche: “La proposta è alquanto ingegnosa, degna di quanto viene praticato nella Vicaría napolitana! Ma finiamola!”. Minacciando di informare la Corte Reale di Napoli e quella Pontificia a Roma, si apprestò a restituire i 100 ducati ricevuti in acconto. La scatola di torrone ricevuta in regalo dai Consoli forse se l’era già tutta gustata.

Temendo i suoi ricorsi, i Consoli di Benevento impiegarono ogni arte diplomatica per farlo recedere, confermandogli il rispetto del patto di 200 ducati. Non la passerà liscia il Sindaco, pensò tranquillizzato Vanvitelli. Passò invece l’estate, il Sindaco la scampò e non pagò il saldo dovuto. Anzi fece un nuovo tentativo. Il 13 settembre 1766 gli trasmise una notizia ambigua, incompleta: “Sono riuscito a procurarmi i 100 ducati, però…”. Era riuscito a procurarsi? E cosa intendeva con quel ‘però’?

Insistetti con le ricerche nella Biblioteca Nazionale di Napoli, ma ero quasi convinto che il Sindaco si fosse ormai accontentato di far pagare a Vanvitelli soltanto il suo debito col sarto per il vestito. Senonché, scoprii le nuove intenzioni del losco affarista in altri documenti.

Luigi Vanvitelli intanto informava a Roma il fratello Urbano: “Oh che magnifico birbante il Sindico di Benevento, state a sentire il resto. Con faccia franca richiede che io gli debba donare i ducati 17,10 del suo vestito, e appunto per questo io non gli voglio donare niente, perché niente merita. Se costui farà poi falcidie anche sulle spese di restauro del ponte, addio, fin dove giungerà?”. Senza i 17,10 ducati del vestito, il Sindaco avrebbe dato all’Architetto 82,90 ducati invece di 100. Ma la sua ultima proposta fu: dei 100 ducati che ho in mano facciamo metà per ciascuno e chiudiamo la questione! “Per poi - scrisse Vanvitelli al fratello - con altro raggiro truffare forse altra somma anche alla Comunità… Oh bene, oh bene, bravo Sindico!”.

Successe finalmente qualcosa all’affarista? Vanvitelli ci sperava, ormai conosceva gli Statuti di Benevento: il Sindaco era tenuto a dar conto ai Consoli di ogni acquisto e spesa, altrimenti “ab officio removeatur, et puniatur poena ducatorum decem”, cioè sarebbe stato destituito dalla carica e multato di 10 ducati. Purtroppo, della vicenda non ho mai trovato la conclusione. È probabile che la sparizione di ogni traccia sia dovuta a un ‘intervento protettivo’. Lo svela il comportamento inconsueto di Vanvitelli, che a Natale di quel 1766 troncò i contatti con tutte le autorità beneventane e mandò una lettera d'auguri soltanto al suo amico Marchese Pedicini proprietario della Torre Biffa, la casetta dei piccioni saporiti.

Era beneventano Diego Trabucco? Gli Statuti di Benevento stabilivano che il Consiglio Comunale eleggesse come Sindaco “unus de civibus oriundis”, cioè uno tra i cittadini originari della città. Ma il nome Diego era tipico di Napoli, introdotto dagli Spagnoli già nel Quattrocento, e il cognome Trabucco ha una evidente etimologia marinara. Luigi Vanvitelli non ignorava le usanze dei quartieri malfamati di Napoli. Nel definirne il comportamento “degno di quanto viene praticato nella Vicaría napolitana” intendeva dire altro di quel Sindaco?

I lavori per il Ponte, sospesi per sei anni a causa dell’occupazione di Benevento da parte del Regno di Napoli, terminarono nel 1777 sotto la direzione di Carlo Vanvitelli, succeduto nella carica di Primo Architetto di Corte al padre, morto il 1° marzo 1773. Il Ponte vanvitelliano oggi non c’è più, eliminato per paura delle acque in piena che… non ci sono più.

ELIO GALASSO