La body positive di Maria Botticelli Cultura

Innescare, attraverso l’arte, un dialogo inclusivo che toglie ogni velo d’ipocrisia al nudo artistico. In un’epoca in cui la nudità invade mass-media e social network, bisognerebbe ripartire dalle parole di Kennet Clark, storico d’arte inglese, che con acume distingueva il nudo dalla nudità, sottolineando che “il nudo non è un corpo svestito, ma un corpo vestito di arte”. Insomma, i nostri corpi non dovrebbero mai suscitare imbarazzo, disagio o addirittura scalpore. Essi, al tempo stesso, sono uguali e diversi: censurare un nudo artistico, per timore di essere incompresi, non ci appartiene; bisognerebbe, piuttosto, creare ponti inediti che ci connettono con questo mondo ed accrescono dialoghi inclusivi, tra uomini e donne, giovani e adulti. In ogni comunità, in qualunque angolo del globo, gli artisti analizzano l’attualità e lanciano -attraverso la propria immaginazione e il proprio stato d’animo- messaggi che possono orientare l’essere umano, aprirgli la mente… diversamente dall’intelligenza artificiale. Interprete nel Sannio della Body positive è l’artista Maria Botticelli; l’abbiamo incontrata nel suo studio, a Paduli, dove riproduce l’immagine di sé in nudi d’autore, ammirati ed apprezzati da pubblico e critica.

Mostrarsi per nascondersi: attraverso la ricerca di sé, ritrovare se stessi.

Il mio messaggio è proprio la body positive, in forma artistica: il mio corpo, la mia arte. Un percorso nato in me in questi anni, indipendentemente dal percorso fatto al liceo.

Che ricordo hai degli anni del liceo?

Sicuramente positivi. Ho avuto bravi professori che mi hanno insegnato tutto ciò che di base potevano insegnarmi. Non ho proseguito gli studi accademici, non ero sicura che fosse il percorso giusto per me, poi però me ne sono pentita. L’insicurezza, parte predominante di me allora ed oggi, mi ha portata a scelte mancate e questo, se da un lato mi destabilizza, dall’altro mi permette, almeno nell’arte, di costruire con tenacia il percorso attuale, che non intendo assolutamente cambiare.

Ci racconti come nasce un tuo quadro?

Dall’autoscatto: un lavoro fatto tutti i giorni in varie fasi della giornata; le foto vengono studiate, scelte e trasformate in dipinto. Non la più bella, ma quella che esprime come davvero mi sento, ciò che davvero provo, in quel preciso istante: dove riconosco la mia vera anima. Io cerco di conoscermi interiormente attraverso l’esteriorità del mio nudo; un discorso di sofferenza interiore, che studio attraverso il nudo.

Analizzi la tua immagine in foto, per trasformarla in dipinto.

Quando mi scatto una foto, vedo ritratta una persona; poi faccio il nudo e ne vedo un’altra. È un percorso di profonda conoscenza, per arrivare all’accettazione di me: per questo ho scelto il body positive in forma artistica.

Le tue opere rispecchiano la tua ′immagine′, a volte sensuale altre tenebrosa.

Dipende da come mi sento. Capita di avere cambi di personalità durate l’arco di una giornata, per questo scatto più foto, in ore diverse; quando le rivedo, mi sembra di guardare un’altra persona, diversa da me. Lo stesso capita per il quadro: se lo rivedo, non mi riconosco. È un percorso comunque ′difficile′, non è semplicemente scattare una foto e riprodurla in un quadro.

Utilizzi prevalentemente colori scuri, su carta vetrata: perché?

Scelgo i colori in base a come mi sento in quel momento; oltre la carta vetrata, utilizzo guaina ardesiata e materiali di recupero dei lavori energetici.

Vedo molte immagini in cui sono raffigurati volti senza corpo: cosa comunicano?

Sofferenza, tormento, inquietudine.

Diresti che la pittura diventa linguaggio per le persone, senza alcuna distinzione?

Direi che dipende da come e soprattutto da cosa si vuole comunicare, attraverso l’arte.

Il corpo dipinto, come strumento per riflettere ed interrogarsi: è questo, in sintesi, il messaggio delle tue opere?

Beh, penso di averlo spiegato; anche se mi resta il dubbio che possa realmente arrivare e, soprattutto, essere compreso nel suo ′vero′ significato.

GIUSEPPE CHIUSOLO