La Dea del Mediterraneo Cultura
Nuovi risultati della ricerca storica, riportando in primo piano il ruolo della donna nelle sue antiche espressioni di dea e madre, lasciano interdetti i nostri studenti universitari perché svelano che una delle questioni sociali più moderne rimanda a filosofie preistoriche. Poco informati dai testi fondativi delle religioni, i giovani ignorano fra l’altro che è specificamente ebraica l’etimologia del nome Eva, presente nel Cristianesimo e nell’Islam, oltre che nell’Ebraismo. Individuata la derivazione dal termine hawwah, cioè ‘generatrice di vita’, affiora in quel nome una realtà formata da infiniti elementi che si attraggono reciprocamente, per vivere e procreare. Come non pensare all’Amore?
Tra aggiornamenti culturali, miti e fantasie, l’argomento affascina lasciando però tutti inconsapevoli della filosofia di Epicuro, ripresa dal poeta Lucrezio, secondo cui la prima dea generatrice di vita non è stata Eva ma Afrodite, da identificare non con l’Amore ma con la Verità. Dove conduce l’informazione di Lucrezio? Alla Verità assoluta, la Morte, legata al Tempo che trascorre. Afrodite, Dea della Vita con i suoi piaceri e le sue insidie, era anche Dea della Morte con il mistero dell’aldilà. Vita e morte aleggiano intorno alle sue forme umane esposte senza imbarazzo quasi sempre nude, con atteggiamenti e gesti interpretati dagli artisti visivi come Bellezza Eterna.
La sua vicenda mitologica si schiude a Cipro. Del resto, Afrodite non poteva essere nata che lì, dalla spuma del mare, perché l’isola a sud della Turchia era un crocevia di commerci marittimi e approdo di culture diverse, unite nell’idea della valenza della maternità in quanto unica origine della vita. La fede nella Dea Mater diventò essenziale per Fenici, Assiri, Egizi, Persiani, i popoli del Mediterraneo che con Creta ebbero rapporti fin dall’Età del Bronzo.
Sono ora in corso indagini e riflessioni per rispondere a un interrogativo posto due anni fa da un ragazzo e una ragazza… innamorati. Dopo aver visitato la Mostra “Cipro crocevia delle civiltà” aperta fino al gennaio 2022 nel Palazzo Chiablese sede dei Musei Reali di Torino, i due ne diffusero fotografie con una richiesta: “Poiché le antiche dee dell’Amore sembrano tante a causa dei loro numerosi nomi, che per i popoli mediterranei rappresentavano invece una stessa ‘identità sacra’, come mai nelle attività turistiche e nella scuola ci si occupa di Iside egiziana e mai della Dea dell’Amore dei nostri antenati Sanniti? Come si chiamava, dove erano i suoi templi, ne rimangono tracce nel Sannio esteso dagli Abruzzi alla Lucania?”.
Emersi dall’incanto delle archeologie dell’isola cipriota esposte nella Mostra a Torino, i due ragazzi avevano posto una domanda che non trova risposte esaustive a causa delle scarse testimonianze disponibili nei territori del Sannio assoggettato e devastato dai Romani. Analoga alla italica Mater Matuta di cui il Museo Campano di Capua conserva imponenti sculture, la Dea sannitica dell’Amore, della Fecondità e della Maternità venne forse assimilata a Venere e privatizzata, secondo la norma di legge riportata da Cicerone: “Nessuno introduca divinità straniere, ma in privato chiunque può venerare gli dei già onorati dai propri padri”.
Assai diverso è il caso di Iside, plurimillenaria Dea egizia che dal secolo II a.C. divenne la dea più venerata in tutto l’Impero Romano. Univa in sé sensibilità individuali e comune sentire, attraeva nobili e alta borghesia ma soprattutto le classi meno abbienti, speranzose nell’ultraterreno. Nel sec. II d.C. Apuleio la presenta così nelle Metamorfosi:
Sono io la genitrice dell’universo
la sovrana di tutti gli elementi
l’origine prima dei secoli
la totalità dei poteri divini
la regina degli spiriti
la prima dei celesti
l’immagine unica
di tutte le
divinità maschili e femminili
Iside aveva inglobato tutte le divinità, e che se ne parli nelle scuole è lezione di Storia non soltanto locale. Dall’Egitto, poi da Brindisi risalendo la Via Appia, il suo culto transitava da secoli per Benevento, dove Domiziano nell’88-89 d.C. fece erigere un maestoso Tempio di Iside tra preesistenti architetture dedicate a entità sacre a lei associate. I suoi fedeli aumentarono nella città sannita fino a quando vi si stabilizzò il Cristianesimo. La nuova religione, perseguitata da Roma per il suo rifiuto di riconoscere la divinità degli imperatori, venne infine ammessa come licita con l’Editto del 313 dell’imperatore Costantino convertito. L’arcaica polivalente ‘Dea del Mediterraneo’ assunse da allora un ruolo enigmatico per quanti si ritrovarono a venerarla in due diverse immagini di madre: Iside che allatta il figlio Horus e la Madonna che porge il seno al Bambino Gesù (FOTO).
Mediante verifiche dei reperti egizi custoditi nel Museo del Sannio, di cui ero Direttore, scoprivo intanto evidenti intenzionalità nelle mutilazioni alle statue (tranne che in quella di Domiziano) e negli sfregi, come la decapitazione del serpente simbolo di Iside che era stato scolpito con la testa eretta su un’ara rotonda in prezioso porfido rosso. Un richiamo a Eva… Nacque in me l’idea di connettere alla demonizzazione del culto di Iside l’origine della stregoneria beneventana, con un testo critico pubblicato nel volume Streghe diavoli e morte, Ediz. Museo del Sannio1988. Nessuno ci aveva mai pensato.
Per far prevalere la Madonna, la Chiesa beneventana connotò i fedeli di Iside come praticanti di riti malèfici e stregonerie. Le conseguenti espulsioni dei suoi adepti dalla città e le distruzioni eseguite nei secoli IV-V si conclusero con il contributo dei Longobardi arrivati già cristianizzati, che nel 571 fondarono il Ducato, poi Principato di Benevento. Cancellata definitivamente l’ubicazione dei templi egizi, tuttora sconosciuta, la testimonianza più eclatante del reimpiego dei residui sono le colonne policrome di un tempio isiaco ingabbiate nella Chiesa di Santa Sofia voluta dal principe Arechi II (758-787).
La nuova ipotesi storica determinò nel 1997 la richiesta al Museo del Sannio di concedere tutte le sculture isiache in prestito alla Mostra internazionale “Iside il mito, il mistero la magia” aperta nel Palazzo Reale di Milano. Intitolai “Iside madonna e strega di Benevento” il mio saggio critico nel monumentale Catalogo della rassegna milanese.
I presunti malefìci degli isiaci, trasformati nei secoli successivi in favolosi riti stregoneschi intorno a un albero di noce in una località mai indicata presso il fiume Sabato, diffusero la fama di Benevento ‘città di streghe’ evocata in tutta Europa nei processi per stregoneria. Ma dal Sette/Ottocento superstizioni e paure vennero superate da artisti come Francisco Goya, Niccolò Paganini e tanti pittori, musicisti, scrittori, le cui creazioni diventano nuove memorie collettive e personali. Una fortuna per Benevento.
Avevo appena appreso a Siena che invece la città toscana, definita Civitas Veneris da Papa Pio II Piccolomini (1458-1464), era sfortunata a causa di una antica statua di Venere “maligna e impudica” che dall’alto di una pubblica fontana induceva i senesi al “piacere del peccato”. Come risulta dagli Atti del Concistoro del 1357 la statua fu ridotta in pezzi, portati di nascosto a Firenze e sepolti sotto le sue mura urbiche per trasferire la sfortuna alla città rivale. Singolare l’analogia con le sculture egizie del Museo del Sannio ritrovate tutte insieme nel 1903 sepolte sotto le mura dove si affacciava il Sacrum Palatium dei Duchi longobardi. Inabissate nel nulla da cittadini ansiosi di bloccare per sempre l’isiaco potere malefico? O jettatura gettata sulla ignara Benevento da nemici misteriosi? Il riemergere odierno della valenza sociale femminile fa pensare piuttosto all’incantesimo di un tesoro affidato a una donna finalmente libera, che trova spazio volando nel cielo: la Strega!
ELIO GALASSO