''La strada di casa, figli in cerca delle origini'': il libro di Melania Petriello Cultura
Lei è bionda, biondissima. Veste tessuti morbidi ed eleganti, le hanno dedicato un modello di scarpe che porta il suo nome, sorseggia tisane in porcellane antiche di notte mentre scrive e sorride sincera alla vita, sempre.
Melania Petriello è la mente, la biro e la narrativa fluente e saggia, ospite al Salone Internazionale del Libro di Torino con il suo nuovo lavoro: “La strada di casa, figli in cerca delle origini”.
Fortemente legata ai suoi natali beneventani, ha studiato a Roma e lì ha costruito la sua brillante carriera come giornalista, autrice ed inviata TV per svariate emittenti locali e nazionali. Interessata alle politiche sociali ha firmato numerosi reportage di approfondimento ed informazione su temi e storie di cronaca, politica, migrazione etc… Con Isabella Pedicini ha ideato la rassegna “Stegonerie, premio strega tutto l’anno”, in collaborazione con l’azienda Strega Alberti e la Fondazione Bellocci.
“Racconto cose, storie, persone”. Scrivere è il più potente e resistente atto rivoluzionario di cui è capace. Sbandierato a colpi di biondità dei suoi boccoli perfettamente in linea con il ton rouge di cui ogni singola parola scelta, ponderata, pesata e celebrata si veste, mentre professa il suo credo.
Il suo ultimo lavoro è un’inchiesta nata dal desiderio di dare giustizia a chi vive in una vortice esistenziale: il desiderio di ricercare le proprie origini da un lato, e l’esercizio del diritto/libertà del parto in anonimato dall’altro. Un’inchiesta giornalistica che scardina l’ovvia conclusione risolutiva per invece smuovere interrogativi scomodi e fondamentali. Le proprie origini, il primo battito, l’inizio inequivocabile del singolo. Da dove vengo? Chi sono? Domande che in alcuni casi possono essere l’unica chiave possibile per potersi considerare individui consapevoli nella costruzione del proprio futuro.
Perché questa inchiesta? Da cosa nasce?
Come sempre sostengo sono le storie che scelgono me. Svolgo questo mestiere da 18 anni, più della metà della mia vita passata ad ascoltare le storie altrui e trasformarle in racconto. Tra le storie, queste storie, hanno intrecciato dalla confusione apparente una loro selezione naturale, come se si fossero incanalate in questo progetto. Ho milioni di racconti nella testa che conservo e preservo perché sono come pieghe del corpo celate nel vissuto dei protagonisti e di queste, ne narro solo qualche goccia di questo immenso oceano di più di mezzo milione di persone alla ricerca delle proprie origini. Quando Luigi Politano, editore coraggioso, mi ha chiesto di fare qualcosa insieme non ho avuto dubbi: era giusto dare voce e forza e coraggio a queste vite che si ritrovano a dover colmare un buco, forse il più importante di tutti. Ho scelto di farlo dal punto di vista dei figli, con le loro parole, con i loro verdetti, frutto di una rassegnazione mischiata alla rabbia talvolta, benedette dal perdono dell’oblio anche, ai margini della propria dipartita. Mi sono anche posta la domanda delle domande: io cosa avrei fatto al posto loro? E l’unico modo possibile per poter guardare dalla giusta distanza le dinamiche e le verità di ogni storia, esigeva un mio sguardo esterno, fedele al racconto, severo ed educato. C’è stato un grande lavoro sulla lingua: scegliere con cura le parole da utilizzare come mezzo di narrazione per poter restituire la forza, il dolore, l’impotenza dei protagonisti. Svariate figure professionali sono state consultate, ognuna nel suo campo, per poter dissolvere la nebbia sull’argomento: come’è possibile che possano coesistere due diritti così divergenti ovvero, la “punizione dei cento anni” (la legge n. 184 del 1983), che preserva l’anonimato della partoriente, ed il diritto biologico dell’individuo, secondo il quale con la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2012, e le successive sentenze della Corte costituzionale nel 2013 e della Corte di cassazione nel 2017, viene riconosciuto come diritto inalienabile di ciascun essere umano. Quella che io definisco la “storia regina” del libro, è di Anna Recchia, che stanca di essere una figlia di NN, sigla sinonimo di vergogna sociale, ha creato e presiede il Comitato per la Ricerca delle Origini, con il quale ha depositato una proposta di legge al Parlamento, che potrebbe incarnare il punto d’incontro tra le parti coinvolte.
Cosa fa davvero di un individuo un figlio?
Essere figlio di qualcuno. È l’unica condizione che rende gli esseri umani uguali gli uni con gli altri. È una condizione universale che ci rende all’unisono fragili uguali ed egoisti. Partendo dalla questione morale ed approdando invece all’aspetto politico, del dovere non solo verso noi stessi ma nella tutela dei figli del futuro: quali responsabilità abbiamo nella gestione della libertà politicamente concessa in merito, è affare nostro, di oggi per domani. Nel capitolo dedicato alla costruzione della mia genealogia è chiaro ed evidente il mio punto di vista e soprattutto il mio scettro di consapevolezza quale sia: sapere da dove vengo e poter essere ciò che sono, ovvero una femminista meridionale antifascista, che ha memoria e bagaglio biologico ed etico dell’emigrazione, del lavoro contadino, del proprio accento bagnato di salsedine.
La sorellanza tra donne, quella che coltiva ed educa nelle sue attività e nella vita, quanto è importante per lei, come individuo, e quanto è responsabile dell’educazione dei nuovi figli?
La sorellanza mi ha salvato la vita. Nei terremoti emotivi che mi hanno scossa, la rete di donne che mi sono scelta e che mi hanno scelto, mi ha protetta, risollevata, rianimata. Perché tutte noi siamo legate da un vincolo di cura reciproco, ove le questioni dell’una sono le questioni di tutte. Le mie sorelle mi nutrono, ed ha valore dirlo pubblicamente quale manifesto politico di come e quanto, il potere collettivo, ha il dovere e la forza di interrompere, incessantemente, la spirale di solitudine che le donne hanno subito nel tempo.
Siamo tutti figli di una madre?
Si. Ogni cosa è dedicata a mia mamma. Lei è radice e nutrimento in ogni espressione vitale che attraverso.
Ogni libro, ogni articolo, ogni lavoro è un pezzo di sé. Questo cosa lascia dentro e cosa riflette fuori?
È un lavoro fortemente bagnato di empatia e curiosità. “Meravigliati, stupisciti, lasciati attraversare”, sono gli imperativi secondo i quali respiro e costruisco. Lo stupore è matrice ed essenza delle narrazione. È necessario sottolineare il grande sforzo nell’asciugare e nel ridurre in poche, necessarie ed essenziali parole ciò che bisognava far trasudare. Un lavoro che non ha avuto una riscrittura se non nell’ultimo capitolo.
È stato forse “educato” come avrebbe fatto con un figlio?
Si, esattamente. Con severità, quella che esigo da me stessa; con l’attenzione all’ascolto e alla veridicità di ogni cosa che viene nettamente definita dalla linea del bene e del male. La maternità non è stata per il momento, figlia del mio tempo, ma non la escludo come possibile e futura rivelazione del mio percorso.
Melania, ha condotto un lavoro di ricerca e di denuncia per scuotere le coscienze, per risvegliare l’apatia dell’egoismo, per trafiggere l’indifferenza verso ciò che sembra non appartenerci.
Ed invece è questione di tutti, conoscere e rivendicare le proprie origini.
LAURA DI NAPOLI