L'alterità di Benevento. Ovvero come si costruisce l'identità di città delle streghe (parte seconda) Cultura
Nel 571 a Benevento arrivarono i Longobardi che la elessero a capitale della Langobardia Minor, un ducato che, insieme a quello di Spoleto, completava i possessi del Regno longobardo in Italia con capitale a Pavia. Le fonti descrivono i Longobardi come pagani, ma con questo termine bisogna intendere che essi fossero ariani, cioè seguaci delle idee del vescovo Ario, che dichiarava che Cristo non fosse co-eterno al Padre, ma essendo stato generato non poteva avere natura divina. Per queste idee, Ario fu dichiarato eretico sin dal primo Concilio di Nicea del 325.
Malgrado ciò, i Longobardi e quasi tutti i popoli germanici che invasero l’Europa nel V sec. furono ariani, preferendo la visione di un Dio-Padre unico e indivisibile. Di tutti i popoli germanici, solo i Franchi aderirono subito al cattolicesimo, divenendo così fedeli alleati del papa.
I Longobardi beneventani invece sembra che fossero rimasti ancorati ai riti della loro tradizione pagana e per la loro conversione al cattolicesimo invece bisognerà arrivare al duca Romualdo (671-687), quando un sacerdote, di nome Barbato, forse originario di Castelvenere, fu protagonista di un misterioso episodio che avvenne durante la guerra tra i Longobardi e l’imperatore d’Oriente, Costante II. Barbato, infatti, promise al duca che se lui e il suo popolo si fossero convertiti li avrebbe liberati dall’assedio dei Bizantini. Il duca accettò, anche su consiglio di sua moglie la duchessa Teodorada, e potè vedere la Vergine Maria che apparve sulle mura della città di Benevento nell’atto di slacciarsi la cintura, in quello stesso momento i Greci si ritirarono, togliendo l‘assedio che stava distruggendo i beneventani. Per riconoscenza verso Barbato, il duca Romualdo cessò i riti pagani, con la conseguente adesione al cattolicesimo romano del suo popolo, come recita la Vita Barbati. Barbato poi fu acclamato vescovo e alla sua morte fu proclamato santo, si festeggia ancora oggi il 19 febbraio.
Se dobbiamo prestare fede all’episodio narrato, occorre giungere al VII sec. per vedere il cattolicesimo a Benevento. Il lungo permanere in una diversa religione ebbe conseguenze sulla immagine e sulla politica di Benevento.
Il regno della Langobardia maior con sede a Pavia fu distrutto da Carlo Magno re dei Franchi, sceso in Italia, nel 774, in aiuto del papa Adriano I, minacciato dai Longobardi. L’imperatore franco si proclamò anche rex Langobardorum, dopo aver spodestato il re longobardoDesiderio, che era anche suo suocero, avendo egli sposato sua figlia Ermengarda. Per ragioni del tutto sconosciute, Carlomagno, dopo la presa di Pavia non proseguì la sua avanzata nel Sud Italia, consentendo così al duca di Benevento, Arechi II, marito di Adelperga, un’altra figlia di Desiderio, e quindi cognato di Carlo Magno, non solo di continuare a esistere, ma anche di trasformare Benevento in un principato.
Così mentre l’Italia centro-settentrionale diventava parte dell’impero dei Franchi carolingi, Benevento rimase un principato longobardo per tutto il IX e X sec., anche se ci furono guerre fratricide fra i vari principi longobardi che spaccarono il principato in tre regioni controllate da Benevento, Capua e Salerno e proprio questa forte identità longobarda è, a mio avviso, causa della fama negativa di Benevento come patria di malefici e di persone alleate del diavolo. A suffragio questa mia interpretazione, faccio riferimento a due documenti: sia la già citata Vita Barbati, che fa riferimento ai riti pagani svolti dai Longobardi beneventani fino al VII sec., testo redatto in ambiente monastico forse cassinate, probabilmente proprio nel IX sec., sia a un testo carolingio redatto dall’autorevole vescovo Agobardo di Lione. Questi, nel suo De grandine et tonitruis, che dovrebbe risalire all’814, cita un episodio clamoroso: in territorio franco, mentre regnava ancora Carlo Magno, scoppiò una peste bovina (probabilmente quella dell’810); l’opinione pubblica franca attribuiva la morte degli animali ai Longobardi beneventani, che avrebbero sparso polvere velenosa sulle terre dei Franchi. Il vescovo Agobardo, con grande buon senso, si chiede quanti carri di polvere occorressero per avvelenare tutte le campagne del regno franco e per dove fossero mai passati i Beneventani, visto che nessuno ne aveva segnalato la presenza e che tipo di polvere avessero mai usato, capace di uccidere solo i bovini e nessun altro essere vivente. Il vescovo lionese ricorda che ci furono torture e processi sommari a persone ritenute responsabili dell’accaduto, le quali, come egli nota stupito, preferivano morire, ma perseveravano nel dichiararsi responsabili di quel veneficio, “malgrado” la tortura o forse, pensiamo noi, proprio a causa di questa.
Se i Longobardi crearono le condizioni per fare di Benevento una città estranea e diversa, colui che ne decretò la potenzialità malefica fu, secondo la mia ricostruzione, Federico II di Hohenstaufen, l’imperatore svevo detto Stupor mundi, argomento della terza parte nel prossimo numero.
PAOLA CARUSO