Le otto porte della città di Benevento. Qualche puntualizzazione Cultura

Nell’interessante articolo di Cesare Mucci, che ringrazio per aver offerto l’occasione di queste riflessioni, pubblicato su RS n. 11, del 16-30 giugno 2022, a p. 5, è riportata una piantina della città di Benevento disegnata da anonimo nel XVI sec., facente parte di una collezione di piante urbiche appartenuta al vescovo Angelo Rocca, conservata alla Biblioteca Angelica a Roma.

Alla piantina beneventana, Maurizio Bianchi aveva dedicato già un interessante post, dalla sua pagina Facebook Benevento nascosta, intitolato Benevento nelle antiche cartografie (I parte) del 29 febbraio 2020, in cui ipotizzava che essa fosse stata stilata nel 1586.

Nella legenda posta in basso a destra del foglio, a corredo della piantina in questione, si leggono i nomi delle otto porte urbiche. È interessante notare il tipo di lingua utilizzata per le didascalie, che ritengo si tratti di uno stadio di evoluzione dell’italiano con influssi sia del dialetto beneventano sia della lingua toscana del XVI sec. (Le prose della volgar lingua di Pietro Bembo erano state pubblicate nel 1525). Come ipotizza anche Cesare Mucci per altri fattori, il disegno della mappa dev’essere stato realizzato da un cartografo locale, beneventano.

Nelle suddette didascalie si legge questo elenco:

1 la porta del castello,

2 porta aoreva (tra la “e” e la “a” finali sembra esserci una correzione, un ripensamento sulla “v” prima inserita)

3 porta retore

4 porta de calore

5 porta de sancto laorenzo

6 la portella dele carcare

7 porta rofina de napuli

8 la porta dela nonziata

Nel suo articolo, Cesare Mucci riferiva che la Biblioteca Angelica fornisce una trascrizione delle didascalie della mappa, in cui al n. 2 ci sarebbe scritto “porta moresca”. Mucci faceva notare la stranezza, perché la porta in questione è l’Arco di Traiano, che non ha nulla di moresco. Incuriosita dall’articolo, mi sono messa in contatto con l’amico Mucci, che mi ha fornito una foto della trascrizione che correda la mappa della Biblioteca Angelica e noto che ci sono numerosi errori di lettura dell’estensore della scheda, oltre quello prima evidenziato. Cominciamo con le porte urbiche.

Mi sono occupata delle porte cittadine nel mio libro Santi spiriti streghe, Edizioni Realtà Sannita 2001; riprendo qui quanto avevo scritto sull’argomento, aggiungendo delle osservazioni in merito alle didascalie della mappa del 1586.

Anche lo storico Falcone Beneventano nel suo Chronicon, alla data del 24 maggio 1124, ci informa indirettamente che Benevento aveva otto porte nella sue mura, di cui sopravvive integra solo Port’Aurea, come era chiamato l’Arco Traiano, mentre delle altre restano poche tracce o nessuna.

Ecco l’elenco con i nomi delle porte urbiche nella dicitura corrente, e nello stesso ordine di quello riportato nella legenda della cartina della Biblioteca Angelica: 1 Porta Somma; 2 Port’Aurea; 3 Porta Rettore; 4 Porta Gloriosa; 5 Porta San Lorenzo; 6 Port’Arsa; 7 Porta Rufina; 8 Porta Foliarola.

Porta Somma (n. 1) era chiamata la porta del castello, cioè la Rocca dei Rettori. Era posta nel punto più alto della città, da cui la denominazione di Somma e si apriva in direzione Sud-Ovest.

Sul lato Est erano ubicate Port’Aurea e Porta Rettore. Port’Aurea era la porta più illustre; ancora oggi si possono notare i segni lasciati dall’architrave della porta nella parte interna dei piloni dell’arco e i segni dell’argano che sollevava la grata che chiudeva la porta di notte. Da sempre l’Arco Traiano segnava la strada che conduceva in Puglia.

La parola “àorea”, presenta fenomeni linguistici di passaggio dal latino al volgare nello stadio raggiunto dalla parlata locale nel XVI sec.: dal latino aurea, nel volgare italiano il dittongo iniziale au- si è trasformato in ao-, testimoniando uno stadio precedente alla chiusura del dittongo in o- (cfr. latino: aurum, italiano: oro); lo stesso esito del dittongo latino au- appare più giù nella lista, al n. 5, dove abbiamo “la porta de santo Laorenzo” dal latino Laurentius. Inoltre, nella parola “àorea” in un primo tempo è stata inserita un -v- nello iato finale -ea- poi ripassata con la penna per eliminarla, lasciando solo la -a. L’inserimento di una consonante eufonica per evitare lo iato è fenomeno tipico del nostro dialetto, produttivo ancora nella parlata di persone anziane di Benevento che dicono ciavo al posto di ciao; Pavola al posto di Paola.

PAOLA CARUSO