Mario Ferrante: ''L'arte è un bene rifugio. Riaprire le botteghe per alimentare il talento'' Cultura
Un dettaglio singolare di una tela firmata da Mario Ferrante è che, grattando la spessa coltre di pittura, si scopre la sua immancabile ‘tela gialla’ che lo stesso Maestro, in maniera certosina, dipinge prima d’ogni opera. Ecco perché dai suoi dipinti emerge sempre il sole, che sia di Rio, Benevento o Roma, Ferrante traspone nei suoi quadri un sole che gli abita dentro, fonte di una spassionata allegrezza che non è mai irruente, ma che emerge con eleganza e stile, come solo un grande artista riesce a fare.
Ami la vita, i colori, le persone e sei per natura un ottimista. Il tuo spirito… “brasiliano” prevale su tutto ancora oggi.
“Il Brasile è parte essenziale -forse la più importante- nella mia formazione e dunque sento e vedo il quotidiano con lo spirito e lo sguardo di un brasiliano. E ciò mi permette di cogliere e trasmettere la meraviglia di aspetti che possono sembrare banali”.
La tua arte è ricca di volti, di uomini e donne. Espressioni che attraggono e incuriosiscono, sensuali e riflessive. L’uomo al centro dell’Universo come nell'età rinascimentale?
“L’uomo nella sua complessità emotiva è sempre stato il cardine della mia ricerca narrativa. Da anni affermo che viviamo una sorta di “nuovo Rinascimento” anche se, purtroppo, sembra perduto il rigore che ha illuminato quell’incredibile periodo storico”.
Critici d’arte, galleristi e collezionisti scrivono e parlano molto bene di te. Sono loro a stabilire il valore di un artista?
“Rischiando d’irritare molte personalità della critica ufficiale, ritengo siano davvero pochissimi gli addetti ai lavori che hanno le competenze e l’onestà necessarie per esprimere un pensiero sulla storia dell’arte contemporanea con onestà e spirito libero da interessi. Non mi faccio illusioni da iperpurista: vivo il mio tempo e so l’importanza del mercato che regolamenta la fruizione dell'arte, ma lo si potrebbe vivere più onestamente...”.
Sei molto attivo sui social media e hai tanti amici e follower. Quale il ruolo dell’Arte nell’era digitale?
“Essere presenti sui social media è oramai la sola strada percorribile per un contatto diretto con gli estimatori. D’altra parte le gallerie si svuotano e si preferisce sempre di più questo modo di relazionarsi. Da una parte esso permette un approccio più immediato e numeroso nelle presenze, ma dall’altra impoverisce la qualità di un vero incontro con le opere”.
Perché l’acquisto di un bel quadro non ancora è visto dai più come un buon investimento?
“L’arte è entrata a pieno merito nell’Olimpo dei “beni rifugio” e questo è un fatto indiscutibile, che può sfuggire a chi non vive nel concreto questa realtà. A me sembra anche giusto e bello per molti aspetti: piuttosto che collezionare “mattoncini d’oro” è utile ed arricchente per lo spirito avere in casa un’opera d’arte che abbia ANCHE un valore pecuniario, no?”.
L’ultima mostra alla galleria Extra Factory di Livorno, “I vuoti colorati di molti palloncini”, sta piacendo a critici esperti e a semplici appassionati.
“L’impatto con Livorno -che non conoscevo- è stata un’esperienza bellissima che mi ha arricchito di nuovi amici e contatti di grande spessore. Ho trovato un pubblico dotto ed entusiasta oltre che un numero davvero alto di creativi. Ma in una città che trasuda arte, non poteva essere diversamente”.
Sempre a Livorno, presso il Caffè Letterario le Cicale Operose, hai presentato in anteprima nazionale “Diario di un Ritrattista”: una immersione nel mondo e nelle storie che hanno ispirato le tue opere. Cosa ti ha spinto a pubblicarlo?
“Scrivo sin da piccolo ma la decisione della casa Editrice Albatros di pubblicare il mio libro è stata una splendida sorpresa. Penso che lo scrivere sia semplicemente l’utilizzo di uno strumento diverso dal colore per raccontare e raccontarsi, ma le regole sono le stesse”.
Ami spesso ripetere che la ricchezza, economica e soprattutto culturale, si misura anche dalle botteghe che animano le nostre città. Come riaccendere la passione nei giovani per il “fatto a mano”?
“Quando intervengo nelle conferenze mi piace sottolineare che se Firenze è stata nel passato Capitale indiscussa dell’arte, lo deve soprattutto al numero di botteghe dove si formavano ed operavano i nuovi talenti. Ho avuto modo di constatare quanti siano, oggi, i giovani che hanno fame di cultura e di arte, ma la classe dirigente è più interessata a promuovere iniziative di altro tipo, incuranti del rischio di formare un futuro di povertà intellettuale davvero ENORME!”.
GIUSEPPE CHIUSOLO