Ossessionati dalle copie Cultura
Un ‘mistero’ sembra avvolgere una statua in marmo pregiato scolpita nel V secolo avanti Cristo da un artista greco ignoto. Inviata in dono al Re di Persia, l’opera diventò il “Gioiello di Persepoli”, la capitale. Oggi è custodita nel Museo Nazionale dell'Iran a Teheran. Raffigura Penelope, l’incorruttibile sposa di Ulisse. Nel secolo successivo Alessandro Magno invase e distrusse Persepoli, lasciandone solo ruderi. Spezzata e malridotta, la statua finì sepolta dalle macerie e vi è rimasta ininterrottamente per ventiquattro secoli.
Ritrovata negli Anni Trenta del Novecento, ha scatenato discussioni appena gli archeologi si sono accorti che i musei ne conservano copie, intere o frammentate, eseguite in epoca imperiale romana, cioè mentre giaceva sconosciuta sottoterra da oltre cinque secoli! Alcune di queste copie sono state esposte insieme a confronto, in una Mostra a Milano (foto). Come fu possibile farle senza disporre della statua originale? L’unica risposta ipotizzabile sarebbe che l’ignoto scultore greco del V sec. a.C. abbia scolpito almeno un altro paio di statue di Penelope analoghe alla prima, collocate in località diverse, dove gli artisti romani andavano poi ad eseguire le copie conservate oggi nei musei. L’autore della Penelope di Persepoli sarebbe stato insomma uno ‘scultore seriale’.
Trattandosi di un grande artista, si arriva a pensare che siano stati ‘seriali’ altri grandi maestri della Grecia classica, come Mirone autore del celeberrimo Discobolo, Prassitele, Lisippo... Tuttavia approfondendo lo studio delle ‘copie’ rimaste dei loro capolavori, ci si sofferma ormai sul fatto che sono simili tra loro ma non identiche. Esempio evidente è la Athena di Benevento custodita nel Museo del Sannio. La statua tramanda il tipo della dea ideato nella Grecia del V secolo a.C. in maestosa posizione eretta, carica di serena compostezza. Da un originale perduto la eseguì nel II secolo d.C. un artista teso ad esplorare le possibilità plastiche del marmo secondo i modi del classicismo maturo di Prassitele, di cui fece proprio il gusto dei passaggi di piano e del dettaglio, come mostrano le volute leggere dell’himation quasi trasparenti sul seno e la delicata decorazione a croce sul sandalo. Dallo stesso perduto originale prassitelico venne eseguita anche la coeva Athena di Arezzo, che ovviamente somiglia a quella di Benevento ma presenta dinamici elementi di stoffa a rotoli aggiunti sul petto fino al collo, ed altre varianti. Per l’alta qualità, le due statue sono dunque nuove ‘interpretazioni artistiche’ del tema della Athena, non ‘copie’ di livello artigianale.
L’ipotesi moderna della ‘serialità artistica’ risolve così il mistero della Penelope di Persepoli, avviando gli studi a superare il condizionamento ideologico del “rapporto originale-copia”.
Nell’antichità greco-romana non aveva importanza che un’opera somigliasse a qualche altra. Gli autori non si firmavano, sicuri di avere già impresso la propria identità nelle loro opere, anche se replicavano quelle di altri: uno stesso paesaggio, una scena mitologica, un evento, un ritratto. Durante il Rinascimento si diffuse invece in Europa la convinzione che se un’opera d’arte somiglia a un’altra diventa automaticamente una ‘copia’ del cosiddetto ‘originale’. Ossessionati dalle cosiddette ‘copie’, ecclesiastici e nobili commissionavano soltanto a pochi sommi artisti le architetture sacre, le proprie dimore e i relativi arredi, mentre tutti gli altri artisti cominciarono ad essere definiti ‘minori’, anche gli interpreti di epoca romana dei capolavori greci.
L’ “ossessione delle copie” non è ancora superata. In un concerto nel Museo del Sannio il grande violinista Salvatore Accardo tornò al pubblico nell’Auditorium dopo una breve pausa, e suonò per la seconda volta la stessa Sonata di Beethoven. Alla domanda perché ne avesse concesso il bis rispose: “Un bis non è mica una copia registrata su un disco, ho arricchito il concerto con due diverse interpretazioni di uno stesso ‘Allegro, ma non troppo’ di Beethoven, la prima per il gradimento degli ascoltatori, la seconda malinconica come la sentivo in quel momento dentro di me. Un brano suonato dal vivo regala emozioni perché è sempre una prima volta”.
ELIO GALASSO