Pago Veiano e la valle del Tammaro: siti di origine antichissima studiati da un'équipe dell'Università di Salerno Cultura

Pago Veiano e la valle del Tammaro hanno, da sempre, suscitato l’interesse di storici ed archeologi, per la ricchezza dei loro reperti e di quelli che, con un’espressione oggi di moda, sono i suoi “giacimenti culturali”. Pago Veiano è il comune dal cui substrato è emerso il maggior numero di reperti di epoca romana, sannitica e medievale (con in più la particolarità di disporre di una rara Stele del Cavaliere Trace, un esemplare unico in terra sannita). Il piccolo centro del beneventano è più volte citato in lavori accademici di notevole importanza, diversi dei quali sono disponibili in Internet, e gli studiosi che nel tempo hanno indagato la zona provengono dall’Italia e dall’Estero.

Quando, di recente, mi sono imbattuta in uno di questi studi ho pensato di contattare l’autrice, che fa l’archeologa di professione: la professoressa Daniela Musmeci, dell’Università di Salerno, la quale, nonostante i molti impegni professionali, ha avuto la cortesia di rispondere alle mie domande.

Sono perciò particolarmente lieta di presentare ai lettori questa intervista, perché penso che sia la prima volta che, relativamente a Pago Veiano e all’area del Tammaro, un vero archeologo venga invitato a parlare del suo lavoro attraverso un’intervista su un giornale.

Proprio negli ultimi periodi comincia a muoversi qualcosa in rapporto alla valorizzazione dell’archeologia a Pago Veiano, ma è inevitabile pensare con rammarico alle molte occasioni finora perse in questo campo, tra le quali la mancata realizzazione di un Antiquarium, più volte promesso e mai realizzato dalle varie amministrazioni in carica, nonché la dissennata distruzione di diversi di questi reperti, per incuria e per scarsa conoscenza del loro valore.

Sarebbe molto interessante ospitare Daniela Musmeci ed anche studiosi di altre discipline, con incontri, tavole rotonde e giornate di studio, e tra l’altro io le ho proprio chiesto di venire a Pago Veiano e parlarci del suo lavoro. La professoressa ha accolto con favore questa mia proposta. Spero, perciò, vivamente, che si possa attivare una rete di buone pratiche tra istituzioni, associazioni, aziende e privati, allo scopo di organizzare una o più giornate di studio sul ricco passato del nostro paese e del suo circondario.

Di seguito l’intervista.

Da quanto tempo è cominciata la sua indagine archeologica su Pago Veiano e sulle zone del Tammaro? È tutt’ora in corso?

La ricerca è stata realizzata in occasione della partecipazione al Dottorato di Ricerca in Storia e Archeologia globale dei paesaggi, presso l’Università di Foggia (2011-2014, Tutor prof. G. Volpe; cotutor prof. A. Santoriello). Nasce però all’interno di un progetto più ampio che il Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università di Salerno porta avanti dal 2011 su Benevento e sul suo territorio. Esso, diretto dal prof. Santoriello (docente di Metodologie della ricerca archeologica e di Archeologia dei Paesaggi), si è ampliato dalla città, per cui è stato realizzato il SIUrBe (Sistema Informativo Urbano di Benevento), al territorio, dove il progetto principale Ancient Appia Landscapes è affiancato dalla realizzazione di tesi (di laurea, di specializzazione e di dottorato) che contribuiscono a ricostruire le dinamiche insediative, storiche e ambientali tra Sannio e Irpinia e a proporre una valorizzazione del patrimonio culturale, ambientale e umano.

Nonostante il mio percorso di studi si sia concluso con il conseguimento del titolo di Dottore di Ricerca, tuttavia il progetto prosegue e con esso tutti gli studi e le analisi su questo comprensorio più ampio. In particolare, l’area della valle del Tammaro e di Pago Veiano è ricchissima di testimonianze archeologiche e l’aggiornamento delle evidenze, dei nuovi ritrovamenti e dei recenti studi non può che essere continuo, seppur io non stia eseguendo in questa zona indagini di tipo intensivo, al momento.

Quali sono i risultati più significativi che questi studi le hanno fornito?

I risultati più significativi riguardano le ipotesi di ricostruzione dei paesaggi antichi che sono emerse mettendo insieme i dati archeologici, storici, toponomastici e ambientali. Con questo lavoro ho cercato di comprendere come la media valle del Tammaro sia stata abitata nel corso del tempo, come il territorio sia stato utilizzato dalle popolazioni antiche, organizzato per le pratiche agricole e produttive, come siano avvenuti i collegamenti tra un sito e l’altro. Questo ha comportato una mappatura di tutte le evidenze, la messa in sistema delle informazioni e l’analisi geomorfologia per comprendere al meglio le scelte insediative. Uno degli aspetti più interessanti è sicuramente correlato al popolamento della valle a partire dal trasferimento di un copioso contingente di Ligures: dal 180 a.C. vengono insediati presso Macchia di Circello e occupano parte della valle, e loro presenza nel Sannio ha echi per i secoli successivi, come ad esempio, nell’Institutio Alimentaria di età traianea e nell’organizzazione del territorio in pagi e vici. Alcuni di questi erano già stati riconosciuti da P. Veyne, da I. M. Iasiello e da M. Torelli, solo per citare alcuni importanti studiosi che hanno affrontato l’argomento, e si è tentato di aggiungere a questa precedente lettura, le nuove conoscenze e i nuovi siti che sono stati riconosciuti nella media valle. Questo ha consentito di affinare alcune ipotesi ricostruttive e di vedere che ci sono alcune scelte insediative che si ripetono in alcune epoche, come l’occupazione dei bordi dei pianori e delle piccole terrazze subpianeggianti disposte sui versanti della valle, oppure gli ampi spazi interni disposti lungo le direttrici viarie di collegamento verso Benevento.

Più che di reperti significativi, possiamo parlare di siti e di aggregati insediativi di notevole rilevanza: solo per fare un esempio concreto, l’area di Piana romana e la zona su cui sorge l’attuale centro di Pago Veiano rappresentano due poli su cui si incardina il sistema insediativo di età romana, e analogamente succede in località Monteleone: siamo sulle due opposte sponde del fiume collegate da un ponte e dalla viabilità locale romana.

Si è trattato di un lavoro di équipe? Ce ne può parlare?

Non poteva che essere un lavoro di équipe: in tre anni non avrei potuto raccogliere ed elaborare tutte le informazioni e i dati a disposizione senza il supporto, il confronto e l’aiuto di colleghi, ricercatori e professionisti. Una ricerca di archeologia dei paesaggi necessita dell’interazione e dell’integrazione di diverse discipline, a volte distanti dal mondo dell’archeologia, come la geomorfologia o l’informatica, ad esempio. Esser stata parte di un progetto più ampio, ben avviato e con un gruppo di lavoro composto di esperti in diversi settori, ha garantito che ci fosse interscambio di competenze e informazioni e che io fossi seguita anche per quegli aspetti più specifici che richiedevano approfondimenti specialistici. Sono persone, colleghi e amici - a cui è dedicata qualche parola all’interno del volume La media valle del Tammaro. Il fiume, gli insediamenti e i paesaggi dalla repubblica alla Tarda Antichità - che hanno contribuito, e contribuiscono ancora, in maniera incisiva sulla mia formazione, umana e professionale.

Il lavoro in équipe è stato indispensabile anche per le operazioni che ho condotto sul campo e in laboratorio. Mi riferisco alle ricognizioni di superficie che hanno portato al rinvenimento e al posizionamento di nuove evidenze e di nuovi dati nel territorio. Questa attività va eseguita in gruppo e importante è stata la partecipazione di colleghi, di studenti in archeologia e degli iscritti al locale Archeoclub. Questi ultimi, in particolare, sono stati e sono tuttora legami importanti col territorio, sostenuti da un’amicizia che si è stretta proprio durante la mia ricerca. In laboratorio, la fase di elaborazione dei dati, sia territoriali, sia relativi ai manufatti archeologici individuati, ha comportato un lavoro di analisi, confronto e sintesi e l’utilizzo di strumenti, tecniche e tecnologie che hanno coinvolto diversi specialisti e colleghi archeologi.

Ci parli dei suoi autori di riferimento nello studio del territorio.

Si è trattato di uno studio principalmente storico e archeologico, per cui sono partita dai testi principali su Benevento e sul territorio del Sannio e dell’Irpinia in epoca antica, fino ad arrivare a lavori specifici di archeologia e di archeologia dei paesaggi sia di rilevanza nazionale e internazionale - per comprenderne metodi e approcci - sia legati al territorio del Sannio e dell’Irpinia - per avere un quadro organico di confronto sulle dinamiche insediative e le peculiarità del popolamento. Pertanto, nel primo caso, gli autori di riferimento sono stati Marina Torelli (con il volume Benevento romana) e tutti i contributi di Daniela Giampaola e di Luigina Tomay; nel secondo caso - sarebbe lungo e noioso fare una bibliografia di riferimento - ricordo in generale lo studio della manualistica e delle pubblicazioni relative a progetti di Landscapes Archaeology (dai grandi progetti pioneristici nella seconda metà del secolo scorso fino a quelli recenti, di ambito territoriale contiguo, come ad esempio quello di L. La Rocca e C. Rescigno, Carta archeologica del percorso beneventano del Regio Tratturo e del comune di Morcone). Inoltre, sono stati di notevole aiuto gli scritti (articoli, documentazione archeologica, monografie ecc.) di I. M. Iasiello, profondo conoscitore di questo comprensorio. Un’ultima parola meritano anche alcuni studiosi - che ho incontrato sul posto o di cui ho letto i testi - che sono stati importanti nella mia ricerca al fine di raccogliere storie, racconti e tradizioni locali e di comprendere i luoghi e la percezione delle persone che li abitano: solo per fare qualche nome, ricordo soprattutto De Palma, D’Agostino, Gangale, Tresca.

Ha riscontrato qualche particolarità che il territorio restituisce, rispetto a quelli da lei studiati?

Oltre alla ricchezza storica e archeologica, sicuramente ho notato peculiarità geomorfologiche e ambientali: le dolci colline che bordano il paesaggio di Benevento e soprattutto la presenza del fiume sono alcuni dei caratteri che hanno influito e ancora influiscono su questo paesaggio, in un continuo rapporto di interazione con le persone che lo vivono e lo curano. Se posso allontanarmi leggermente dalla domanda, ma forse neanche troppo, direi che mi ha colpito molto l’accoglienza e la gentilezza di questa comunità: non è un aspetto che sottolineo a discapito di altri territori (fortunatamente ho avuto sempre esperienze positive) ma l’attenzione dei contadini e delle persone che ho incontrato durante le giornate sul campo e l’interesse verso quello che facevo, verso la storia che cercavo di ricostruire - che è poi la loro storia, la storia delle loro origini e della loro identità - mi hanno colpito profondamente. Uno degli scopi della mia ricerca, come anche del mio lavoro, è quello di ricreare questi legami tra le persone e il territorio attraverso le conoscenze archeologiche.

Infine, non credo che si possa considerare una particolarità insita nel territorio quanto piuttosto una mia percezione di esso e della sua funzione nel passato: uno spazio di “frontiera”, non di barriere ma di aperture, tra una popolazione estranea qui deportata forzatamente, i Ligures, e i Romani di Beneventum che a essi destinano terra da coltivare e, successivamente, aiuti e sovvenzioni.

LUCIA GANGALE 

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