Ruotando intorno a se stessi Cultura

In un saggio in lingua inglese sull’arte contemporanea l’autore ogni tanto avvisava, con la parola belfie, che stava per dare uno sguardo indietro, verso un evento del passato. Era un evidente riferimento al selfie che si fa al proprio… lato B con lo smartphone sull’asticella di prolunga o con l’aiuto di uno specchio. Oggi che siamo arrivati al totalselfie con la telecamera su un minidrone che ci svolazza intorno, rifletto sul rapporto tra questo genere dilagante e l’ ‘arte visiva’.

Ogni selfie è un istante di vita irripetibile, bloccato in una immagine da condividere con altri, con chiunque altro, per stimolare un palpito emotivo. Effimera, quella ‘forma’ poi sparisce lasciando il posto alla vita successiva e quindi sembra non aver nulla a che fare con l’arte. Senonché ogni immagine elettronica rimane, nelle memorie informatiche e soprattutto nei clouds, le nuvole del web. Anche i selfie sono dunque realtà, realtà virtuale. Per questo gli ‘artisti visivi’ mettono in vendita a suon di dollari le loro opere da guardare sugli schermi, concedendone l'esclusiva agli acquirenti. A questo punto gli autori di selfie, belfie e simili potrebbero cominciare a sentirsi... artisti.

Il pensiero va allora orientato verso gli autoritratti dipinti o scolpiti, per capire se almeno i selfie più normali siano la stessa cosa. In realtà non lo sono, perché - come anche la street art - non sono fatti per durare. Michelangelo invece, nella scena del Giudizio Universale nella Cappella Sistina, inserì un Autoritratto che sembra poter scomparire così come all'improvviso è apparso, ma resta sempre lì sulla pelle strappata dal corpo di San Bartolomeo martirizzato, che lo mostra appeso alla sua mano.

Qualcuno, pratico e lungimirante, per venire incontro alla cultura di massa che vive tra miliardi di selfie usa e getta, ha fondato il Museo Italiano del Selfie, una istituzione culturale particolare all’interno di Zoomarine, il parco divertimenti poco a sud di Roma in continuità col Lido di Ostia. Primo istituto del genere in Italia, non ci dà comunque un primato perché ce ne sono altri, da Budapest a Dubai. Ma quanti finora ne hanno sentito parlare e quanti beneventani vorranno scavalcare le patrie mura per andare a curiosare in quel Museo Italiano del Selfie? Lì non si è visitatori ma protagonisti tra grandiosi touch screen, schermi su cui ognuno può ‘postare’ quanti selfie vuole e far scorrere sequenze di milioni di selfie altrui. O divertirsi a inventare selfie impossibili come la famosa Mona Lisa che si fa un selfie del Museum of Selfies di Los Angeles in California, capitale mondiale dello spettacolo con Hollywood, suo quartiere. Spettatori-attori, tutti potranno, anzi dovranno necessariamente fare nel Museo Italiano del Selfie quello che in nessun altro museo è consentito: toccare con le dita.

C’è chi studia le cause per cui si diventa dipendenti dagli auto-foto-messaggi condivisi online e approfondisce il senso delle risposte compulsive che scatenano. È compito da psicanalisti. Ma ridurre i selfie solo all’esibizionismo individuale odierno mi sembra riduttivo, considerato che nemmeno gli autoritratti dei grandi artisti del passato sono scaturiti da narcisismi. Pur restando emozioni momentanee, i selfie possono perciò essere relazionati alla fantasia inventiva se riescono a stimolare entusiasmi, malinconie, empatie, pensiero, riflessioni. Un po’ quello che fanno le opere d’arte, soltanto un po’.

A loro volta i veri artisti continueranno a trasmettere al futuro i propri autoritratti, che sono diventati uno specifico tema di indagine. Sono sempre attrattivi, ma la mia attenzione si sofferma sulla loro evoluzione stilistica. La Galleria degli Uffizi di Firenze ne custodisce oltre 1800, dal Cinquecento al contemporaneo: Carracci, Bernini, Rembrandt, Chagall, De Chirico, Wharol…

Chi è quello?” mi fu chiesto all’improvviso indicandomi un piccolo dipinto esposto sulla parete in fondo alla sala. “Mimmo Paladino” risposi, intendendo dire che si trattava di un’opera dell’artista beneventano. Vedendo sbalordito il mio interlocutore, mi avvicinai per leggere la didascalia e rimasi sbalordito a mia volta. Mimmo Paladino aveva infatti realizzato quella figura con il suo caratteristico stile formale, a collage su un foglio cartaceo, ma si era immedesimato in essa al punto da ‘sentirla’ un autoritratto. E pur senza darle il proprio volto l’aveva intitolata Saladino Paladino paragonando se stesso al “feroce Saladino”, una delle figurine più ricercate degli Anni Trenta del Novecento. Quella sua originale creazione è lì a Firenze, nella Sezione Autoritratti della Galleria degli Uffizi.

ELIO GALASSO