Seminario Arcivescovile anno 1752: la prima occupazione studentesca a Benevento Cultura

Correva l’anno 1752 e Rettore del Seminario Arcivescovile di Benevento - da 10 anni - era mons. Giovanni De Vita.

Così come testimoniato dal suo stemma murato nel cortile del Seminario, esso era stato fondato nell’aprile del 1567 dal cardinale Giacomo Savelli, arcivescovo di Benevento, dopo che il Concilio di Trento avevastabilito che “ciascun vescovo avesse dappresso alla cattedrale un Seminario per l’educazione ecclesiastica”.

Il Rettore che nel 1752 ne reggeva le sorti - mons. De Vita - apparteneva ad una famiglia beneventana. Alunno degli scolopi e dei domenicani, aveva completato i suoi studi a Napoli, addottorandosi in legge.

Ordinato sacerdote, fu canonico della cattedrale e in seguito, a 34 anni, venne nominato Rettore del Seminario, nonché avvocato della Curia arcivescovile.

Sedeva da undici anni sulla cattedra beneventana il cardinale Francesco Landi, il quale nel 1752 si dimise, ritirandosi a Roma.

Al successore, il beneventano Francesco Pacca, appena insediatosi nella nuova sede, giunsero numerose lettere contro il Rettore De Vita, tanto che l’arcivescovo, “mosso da scrupolo, venne nella determinazione di mettere al De Vita per sopraintendente un altro Rettore nella persona di Domenico Gampensa, arciprete della Terra di Gildone” (Gregorio Pistelli, Vita del Servo di Dio G. De Vita), un piccolo e dimenticato borgo del basso Molise.

La scelta si rivelerà alquanto avventata. Al Gampensa, uso ad operare in una modesta parrocchia di un piccolo paese posto ai confini dell’arcidiocesi beneventana, mancherà quello spirito per dirigere uno dei più frequentati e prestigiosi Seminari della Chiesa cattolica.

Il supervisore “tutto assolutamente disponeva e ordinava, mentre i seminaristi si posero sotto la sua direzione, abbandonando il De Vita” (G. Pistelli, op.cit.), il quale - nonostante le pressioni degli amici e dei parenti - non voleva lasciare il Seminario.

Amava ripetere: «Mi contento soffrir tutto pazientemente per amor di Dio».

Soltanto quando gli dissero esplicitamente che l’arcivescovo desiderava che egli rinunziasse alla carica, il De Vita ubbidì e abbandonò il Seminario, non senza aver salutato tutti i seminaristi e aver loro detto “in hoc loco nullius ordo, sed senpiternus horror inhabitabit”.Il Pistelli commenta: «Non tardò molto a verificarsi la predizione.»

Invero, poco dopo, il nuovo Rettore con il suo comportamento autoritario e attuando veri e propri soprusi, diede motivo ai giovani di rivoltarsi contro di lui e i suoi ministri.

Federico Torre scrisse che “i convittori si mossero a subbuglio, con grave scandalo e, senza sentir ragioni, sbarrato il portone non vollero aprirlo”.

Furono gli antesignani delle occupazioni studentesche che sarebbero state poste in essere due secoli dopo.

Intanto, il Rettore fu costretto a nascondersi e, poi, addirittura fuggire di notte “per non restare vittima del furore dei seminaristi”.

Il buon Gampensa si rifugiò nel sicuro guscio di Gildone, riprendendo a svolgere la sua tranquilla vita da parroco.

Si concludeva nel peggiore dei modi la sua avventura alla guida del Seminario di Benevento, che - così - era in pieno caos.

Il vecchio Rettore allontanato in malo modo, il nuovo fuggito di notte.

Tale incresciosa situazione colpiva profondamente il Pacca, come Arcivescovo e come beneventano.

Fu inviato per sedare il tumulto il vicario generale dell’arcidiocesi, mons. Piscitelli, ma i seminaristi non aprirono neanche il portone.

Si porteranno presso il Seminario canonici della cattedrale, qualificati ecclesiastici e personalità laiche, ma non ottennero alcun risultato.

L’Arcivescovo, allora, capì che soltanto il vecchio Rettore - mons. De Vita - avrebbe potuto normalizzare la situazione e lo convocò in Curia, chiedendogli un suo intervento pacificatore. Questi accettò l’incarico e, dopo essersi trattenuto in preghiera nella cattedrale, si recò presso il Seminario e chiese che gli fosse aperto il portone.

Appena i seminaristi riconobbero la voce del loro vecchio superiore, lo fecero entrare.

«Quasi fosse venuto l’Angelo della pace - scrive Pistelli - tutti i convittori, discesi nel cortile, cominciarono a dare sfogo ai sentimenti dei loro animi e agli affetti dei

loro cuori. Lo chiamavano loro liberatore da tante tirannie sofferte e dai maltrattamenti loro inferti dal Rettore Gampensa.»

Il De Vita li condusse nella sala dell’accademia, spegnendo con opportune parole il fuoco del loro sdegno. E poiché era l’ora della passeggiata, fece uscire i seminaristi, guidati da lui, per la via Magistrale, ove furono accolti con grida di “evviva” dai passanti, soddisfatti per il ristabilimento della pace nel Seminario.

GENNARO IAVERONE