Tra fuochi e fiamme. Antiche tradizioni del Natale Cultura

La sera della vigilia di Natale era consuetudine mettere ad ardere nel camino un ceppo di quercia, il ‘cippone’ (dal latino ‘cippus’). Era il nonno, con aria solenne, a porlo ad ardere nel camino, ‘locus sacer’ della casa, regno dei sacri Lari, divinità protettrici dell’intimità domestica. Il ceppo doveva consumarsi lentamente durante tutto il ‘dodekameron’, i magici dodici giorni compresi tra il Natale e l’Epifania. E ciò per esorcizzare le negatività accumulate nell’anno trascorso e tenere lontane le forze del male, che, in questa epoca di passaggio si credeva fossero particolarmente attive. Tanto è vero che ‘i giorni solstiziali erano sentiti come delicati e decisivi momenti di passaggio - afferma Gian Luigi Beccaria - momenti dell’anno gravidi di incertezza, di cui gli spiriti maligni cercavano di approfittare’.

In particolare, il camino, quale luogo di passaggio che metteva in contatto cielo e terra, era decisamente a rischio, ricettacolo degli spiritelli della casa e delle anime dei parenti defunti. Tanto che, alcuni studiosi vedono nella tradizione del ‘ceppo’ un rituale magico-purificatorio, risalente ai culti domestici dell’antica Roma, incentrati intorno alla purificazione del focolare sacro, ‘omphalos’, centro della casa, nonché, dimora degli spiriti degli antenati.

Per la mitologia cristiana, invece, l’accensione del tronco rientra tra i rituali della vigilia di Natale, legati all’attesa della nascita di Nostro Signore. Secondo il credo popolare, la fiamma emanata dal ceppo servirebbe a scaldare il Bambin Gesù e la Madonna nella notte santa.

Una grande carica positiva, energizzante e, allo stesso tempo, un grande potere purificante era attribuito dalle popolazioni del nostro sud contadino al ‘ceppo’ natalizio.

Alle scintille, a ‘re scatèdde’ del ‘cippone’ era attribuito un potere magico e divinatorio: se queste si sprigionavano copiose dalla legna era segno di buon augurio e di prosperità per l’òikos, per il nucleo familiare.

Ai carboni del ceppo erano attribuite, invece, proprietà apotropaiche, tanto che venivano sparsi sui tetti delle abitazioni e nelle stalle per tenere lontane le forze del male e le calamità.

Mentre, le ceneri erano ritenute capaci di incentivare la fertilità della terra, tanto che venivano sparse sui campi e sulle zolle in segno propiziatorio. Un rito, questo del ceppo, dalla doppia valenza, dunque, sia purificatoria che propiziatoria, che va inquadrato nella più ampia cornice dei rituali del ‘solstizio’ d’ inverno. Secondo l’etnologo tedesco Mannhardt, la tradizione del ceppo rientrerebbe tra quei ‘culti arborei’ propri del periodo ‘solstiziale’ al pari dell’albero di Natale. Entrambi vengono ad incarnare lo spirito della vegetazione, in un’epoca di crisi produttiva, vegetativa. L’accensione del ceppo, come l’addobbo e l’illuminazione dell’abete natalizio, sono rituali arborei propiziatori, tendenti a sconfiggere le tenebre e a risvegliare le forze germinative di madre natura, assopite nella stagione invernale.

Tra il 21 e il 24 dicembre il sole sembra fermare il suo moto astrale, in una posizione di stasi apparente, tanto che la parola ‘solstizio’ (lat. ‘sol stitium’) sta a significare ‘sole fermo’. Inoltre, l’astro solare, in questi giorni, raggiunge il punto di massima distanza dall’ equatore, tanto che la sua luce e il suo calore sono al minimo della loro potenza. Si avranno, così, le notti più lunghe e i giorni più corti dell’anno. Un periodo critico, di passaggio, ritenuto magico e, allo stesso tempo, drammatico, celebrato con numerosi rituali volti a richiamare la luce e il calore solare. Secondo quanto afferma l’antropologo James Frazer, ‘il ceppo natalizio, così presente nelle celebrazioni popolari del Natale, ha, evidentemente, il compito di aiutare lo stanco sole di mezz’inverno a riaccendere la sua vacillante luce’ (da ‘Il ramo d’oro’). La fiamma emanata dal ceppo, allontanando il buio e il freddo, è volta ad incentivare, a stimolare l’energia solare, tanto necessaria al risveglio della Natura. Ma non solo. Come osserva Franco Cardini, ‘il ceppo che brucia nel camino è collegato all’idea del consumarsi del vecchio sole solstiziale’, in vista della nascita del ‘nuovo’ sole che, dal 25 dicembre, ricomincia il suo cammino trionfale verso il ‘solstizio d’estate’.

Sole invincibile’ lo chiameranno gli antichi popoli mediterranei, i quali gli renderanno omaggio con numerosi cerimoniali che avranno al loro centro il fuoco. Per la mentalità primitiva, la nascita-ri-nascita del sole veniva a coincidere con la nascita di un sommo nume della Natura. Tanto è vero che, la data del 25 dicembre, nell’antica Persia coinciderà con la nascita del dio Mitra, adorato come ‘dio solare’ in tutta l’area mediorientale ben tremila anni prima di Cristo. In Egitto, in questo giorno, si celebrava la nascita del grande Osiride, Signore del cosmo. Sempre nella data del 25 dicembre, a Babilonia ricorreva il genetliaco del dio Tammuz, adorato come nume della Natura, mentre la Siria festeggiava la nascita di Adone, somma deità della vegetazione. L’antica Grecia ricorderà, in questa data solstiziale, Helios, il dio Sole, fonte di vita.

Il ‘culto del sole’ arriverà a Roma grazie a Giulio Cesare, il quale porterà dall’Egitto, al suo seguito, diversi sacerdoti seguaci di Helios, insieme agli obelischi del tempio di Heliopolis. Inoltre, il calendario solare egiziano verrà adottato dai romani col nome di ‘Calendario Giuliano’, in onore di Giulio Cesare. Ma a dare maggiore impulso alla religione ‘solare’ sarà l’imperatore Eliogabalo, che, dalla sua Siria, introdurrà il culto del dio Mitra a Roma.

Sarà sotto l’influenza di questi antichi culti solari che l’imperatore Aureliano, nel 270 d. C., fisserà alla data del 25 dicembre la festa del ‘Dies Natalis Solis Invicti’, ossia, ‘il giorno della nascita del Sole invincibile’, del sole che vince sulle tenebre invernali.

Per effetto della ‘magìa simpatica’, accendere fuochi nelle fredde notti invernali equivale a mimare e ad evocare la luce solare. ‘Fuochi di gioia’ li chiameranno gli antropologi.

MARIA IVANA TANGA