UN MORSO DI EDUARDO DE FILIPPO NASCOSTO NELLA LINGUA DEL SUD Cultura
Aiutami, mantieeeni, un peso improvviso
sulla mia spalla mentre sono incantato da cartoline con vedute di Napoli. Mi
volto, è Domenico Rea, mi ha caricato addosso un pacco avvolto in carta di
giornali, va a prenderne un altro, poi si siede.
Provo a trasferire il pacco su una sedia, cade e si scompagina, emergono
riviste d'antiquariato. Mentre mi spolvero la giacca il grande scrittore mi
rassicura: Nun me guardà stuorto, è
robba vecchia ma pulita.
Anni Ottanta, si parlava in napoletano
nella Libreria Colonnese inserita nel Palazzo del Conservatorio di
Musica in Via San Pietro a Majella a Napoli. Ma qua' vecchia,
è robba eterna, lo corresse il titolare Gaetano Colonnese, che intanto aveva congedato insoddisfatti
due docenti universitari venuti a chiedergli le fotocopie di 26 pagine,
quelle sulle origini della lingua italiana incluse nel volume Atti del
Convegno Internazionale di Studi per il Millenario dell'Archidiocesi di Capua,
966-1966. Rivolto a Domenico Rea: Che gente, Mimì. ‘O sann' benissimo
ca nunn'è legale vendere fotocopie. Poi a me: ‘Ancora ‘sto benedetto
libro con il tuo intervento di ven-ti-sei-pa-gi-ne. Ma pecché ‘sta gente nun va
a Benevento a vedere i documenti anteriori all'Anno Mille che hai pubblicato?.
Sempre uguale la mia risposta: Gaetà, ho soltanto una copia del volume degli Atti di Capua.... Ritrovo di intellettuali di ogni disciplina la Libreria Colonnese era stata creata dal talentuoso Gaetano, scopritore di libri introvabili. Domenico Rea lo definiva archeologo della carta. Dal pacco caduto a terra era emerso un fascicolo, lo raccolsi senza badare al suo uéué, guarda che è prenotato. Era il fascicolo Gennaio 1939 della rivista L'Illustrazione del Medico. Le prime righe avevano catturato la mia attenzione, la Libreria doveva chiudere, ma io volevo conservare quello che stavo leggendo: Eduardo De Filippo, che scemo, raccontò i fatti suoi a un giornalista... disse Gaetano Colonnese. Copiai qualcosa su un foglietto e a Benevento lo inserii nel volume dei suddetti Atti di Capua. Dimenticandolo.
In questi giorni Don Franco Iannotta, Parroco Emerito della SS.Annunziata di Sant'Agata de' Goti, mi ha inviato in dono un volume, da lui curato, relativo alla medievale Chiesa di San Menna a Sant'Agata de' Goti. È stato per me uno stimolo a ritrovare il volume del Convegno sul Millenario Capuano perché proprio nella Chiesa di San Menna ho tenuto il mio intervento sui documenti beneventani anteriori al Mille, nei quali appaiono espressioni linguistiche analoghe alla famosa sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene del famoso Placito Capuano dell'anno 960. I notai riportavano le dichiarazioni così come le pronunciavano dei testimoni, ormai non più in latino. Negli atti beneventani: fontana de susurio, affiblatorium de auro (fibbia d'oro) pesante unce due, concessio petii terre (concessione di un pezzo di terra), arare, seminare, mètere, bindemiare, uno asino, una butticella plena de vino.... La lingua italiana nasceva nei Principati longobardi del sud Italia.
Nel volume è riapparso finalmente il foglietto ‘dimenticato'. Dopo averlo riletto ho chiuso gli occhi e, insieme ai miei amici Gaetano Colonnese e Domenico Rea che non ci sono più, ho immaginato Eduardo De Filippo nel camerino del teatro mentre si divertiva a trar fuori dalla mente morsi alle orecchie dei medici e altri segreti
. Riporto qui il suo racconto.
***
A bocca aperta, davanti allo specialista che ispeziona la mia laringe, mi sento piccino piccino, trepidante come un accusato che aspetta la sentenza. Anche noi, attori di prosa, siamo spesso costretti a ricorrere ai lumi del laringoiatra: bestia nera che, come nei racconti dei bambini, si trasforma in fata benefica ridonando, con una pennellata o con uno spruzzo, la limpidezza della voce. Colpa del fumo! Lei è un camino! Deve smettere! ordina il medico. Smettere? Si fa presto a dirlo, preferisco la raucedine perché se non fumo non recito! Ed è la nostra stessa sensibilità che ci costa spesso l'esaurimento dei nervi, indivisibile nostro compagno di tutta la vita. Ammalati immaginari, sissignore, ma non per questo meno degni di attenzione e di compatimento. Vi confesserò che in certe sere ho la sensazione di avere addosso tutti i malanni: stanchezza, insofferenza, voglia di urlare, di fuggire dal teatro, di rinchiudermi in camera per rotolarmi sul letto. Ma quando abbattuto, sfinito, forse febbricitante, ribelle contro la schiavitù della scena, sto per dare l'ordine di togliere il cartello, basta la voce del direttore di palcoscenico che viene a domandarmi se si può cominciare, per fare di me un altro uomo. Il tradizionale signori, chi è di scena? vale una iniezione di eccitante e, una volta a contatto col pubblico, ogni malanno anche se reale e non immaginario è vinto e debellato. Rinvigorito, risanato, ritrovo l'entusiasmo per la vita nei panni spesso laceri di uno dei miei tanti personaggi. Negli ormai lunghi anni della mia carriera artistica ho consultato molti, moltissimi medici, e tutti hanno riso, chi più chi meno, delle mie sofferenze fisiche. Ma se state benone era la risposta di rito. E spesso mi sentivo morire! Una volta ho morsicato un clinico illustre. Non vi farò sentire dolore mi aveva promesso solennemente, offrendosi con encomiabile generosità per tagliarmi un foruncolo al dito. Ci sbrigheremo in un fiat. Fu un fiat voluntas... sua! Era un famoso sezionatore di corpi umani. Ci si mise con tanto impegno da farmi... vedere le stelle. E dire che, contando sulla sorpresa e sull'effetto, aveva tentato una narcosi di genere, rivolgendomi a bruciapelo la sola domanda che fosse valsa a scuotermi, ad astrarmi, a rendermi insensibile ai dolori del corpo: Vuole rappresentare una mia commedia?. Ancora un autore tra i miei piedi, un autore che ha il coltello per il manico... Fu allora che gli saltai al collo e gli portai via un campione dell'orecchio sinistro! Però dopo otto giorni, guarito, volli esprimergli con la mia soddisfazione e riconoscenza le scuse più vive. Non c'è di che - mi rispose - sono cose che capitano ai medici. Accettò il mio invito a pranzo e mi raccontò che, malgrado la sua scienza, contava al suo attivo l'assassinio di un cavallo. Ospite gradito nella villa di un illustre amico, aveva voluto rendersi utile e si era offerto per castrare un superbo baio. Fortunato quel cavallo che sfuggiva a un semplice veterinario, quale onore essere oggetto delle alte cure dell'illustre chirurgo napoletano! L'operazione era riuscita a meraviglia, ma la bella bestia dopo tre giorni era morta...
ELIO GALASSO