Vacanze di primo Novecento Cultura
Vacanze d’estate, privilegio di pochi a Benevento nel primo Novecento e poco se ne sa. Fuori dall’attenzione anche qualche studioso turista in arrivo da Napoli o Roma. “I rapporti con i forestieri nascevano solo dopo lunghe giornate - mi diceva Alfredo Zazo, classe 1889, il maggiore storico di Benevento morto a cento anni - e raccontare vacanze veniva avvertito come farsi spiare nel privato, era indecente”. Pudori inimmaginabili oggi. Contegno e rispetto erano di regola non soltanto con gli anziani di famiglia, Zazo pretendeva il Voi dagli amici e ricambiava uguale. Vacanze doveva averne fatte, ma come potevo azzardarmi a chiedergli delle sue… follie di gioventù? Selezionando insieme i saggi da pubblicare nella Rivista Samnium accennava a vacanze d’estate non sue, scampagnate con merende al Ponte Valentino, da dove qualche spericolato partiva in zattera senza remi fino a Pantano alla confluenza dei due fiumi; gente ai bagni “in contrada ‘Cento’ sul Calore, uomini in pantaloni ai polpacci con elastico in vita, bambini nudi e donne con le caviglie scoperte”; il 28 maggio 1925, quando il Giro d’Italia fece tappa a Benevento, e alcuni andarono alle strade in salita per vedere Girardengo e Binda con la bicicletta sulle spalle. “Vinse Girardengo! Cercalo sui giornali”, mi stimolò Zazo quasi da tifoso. Io prendevo appunti, dubitando che avrei trovato notizia di quei grandi campioni in corsa a… piedi. Quando nel 1979 organizzai la mostra Benevento com’era, in una fotografia notai sul portone chiuso dell’antica Chiesa del Gesù un manifesto con la scritta VIVA GIRARDENGO.
Ma appena provavo ad accostarmi alla sua dimensione personale Zazo mi bloccava: “Vacanza è argomento insignificante, anche se ogni insignificante ha un suo valore: una frase su un foglietto di carta non gettato nel cestino parlerà ai posteri più di una pagina intera”. Nacque così in me che dirigevo il Museo del Sannio l’idea di richiedere ogni mattina, al Servizio Comunale di Affissione, una copia dei manifesti stampati a Benevento, spettacoli e cinema, propaganda politica, annunci di varia natura e pubblicità. Nacque allora l’Archivio dei Documenti a Stampa, un turbinio di storie e di storia assai consultato.
La ‘Sala di Direzione del Museo’, come lui la chiamava, era stata di Alfredo Zazo fino al 1959. Vi lavoravamo affiancati quando arrivava da Salerno dove si era trasferito. Lì provai finalmente a fargli la fatidica domanda. Con mia sorpresa rispose: “Da ragazzino a inizio secolo mi divertivo a salutare per strada i passanti, che non se l’aspettavano; lungo le rive del Sabato assistevo alle battaglie tra donne e rane saltellanti: le zampe posteriori si cucinavano al sugo, insaporite a tavola col pepe. Era dignitosa la loro vita povera, non meno di quella dei non poveri seduti d’estate ai tavolini del Caffè Restaurant Villa di Roma sul marciapiede del sole di fronte al Palazzo Paolo V (foto). Dagli Anni Venti per me diventarono vacanze i giardini pensili di Benevento, ideali per conversare fra cielo e terra con le signore e per annusare i fiori bianchi. Di sera leggevo qualche libro antico comprato sulle bancarelle a Napoli, ringraziando di cuore lo sconosciuto costretto a venderlo. Scoprivo dettagli nelle fotografie di Luigi Intorcia ed errori tipografici in una enciclopedia. Ascoltavo il suono del pianino quando risaliva dal Duomo fino a Piazza Santa Sofia… Vacanza non è altrove: è il vacuum che lascia libera la mente di godere quello che c’è mentre sei dove sei”.
Nella ‘Sala di Direzione’ aveva lasciato un armadietto non chiuso a chiave con cose sue personali, per lui “attrezzi di lavoro”. Fra l’altro un vassoio d’argento con otto bicchierini “indispensabili per far durare gli incontri e convincere a donare al Museo”, mi spiegò. In quell’armadietto c’erano infatti una bottiglia di Strega piena a metà, la sua classica bombetta nera e una sciarpa di seta bianca. “Ma come puoi parlare di vacanze e piaceri - mi disse all’improvviso - tu che scrivi con una orribile penna a sfera, senza il pennino che regala ad ogni pagina una trama di tratti grossi e sottili?”. Finsi di non aver sentito, per me le biro erano comodissime e non sporcavano, ma dopo pochi giorni lui tornò con una bottiglia da un litro di “inchiostro ferro tannico”, prodotto dalla ditta Atron di Verona con la preziosa etichetta a decorazioni Liberty, e me la regalò: “È un liquido nero che fa pensare, procurati una stilografica e non smettere mai di usarlo”. Quella bottiglia la conservo ancora, quasi intatta.
Fu in quella occasione che mi svelò il rammarico di una vacanza non fatta: “Negli Anni Venti desiderai andare fino a Bergamo alla sfida di Enrico Rastelli”. Mi raccontò che Rastelli, giocoliere di fama mondiale “era adorato a Benevento dalle donne che sapevano leggere: quel velocimane-velocipede, girellando in equilibrio su una ruota di bicicletta, era capace di lanciare verso ogni lato bicchieri e piatti e di riprenderli al volo uno alla volta, continuando finché qualcuno impaurito da quella magia implorava bastaaa… Volevo affrontare la sfida di Rastelli. Entrava passeggiando sul palcoscenico mentre a velocità incredibile con mani e piedi e testa lanciava in aria e riprendeva una quantità infinita di bastoni, torce accese e cerchi di legno multicolori inframmezzati da palline nere. Chiedeva di contare soltanto le palline nere ma nessuno ci riuscì mai, con quella rapidità diventavano invisibili. Portò al delirio New YorK e Mosca, Londra e Parigi, finché si fece lanciare da uno spettatore dell’ultima fila una pallina nera mentre continuava a giocolare: la prese al volo con un lungo cucchiaio di legno tenuto fra i denti, ma questo si infilò nella bocca e gli perforò la gola, e lo spettacolo diventò un assassinio…”.
ELIO GALASSO