Vedere quello che... non c'è Cultura
Un volto stregonesco apparve nella penombra della Chiesa di Santa Sofia. Due fiori con petali neri al posto degli occhi, uno più grande dell’altro, naso obliquo cadente verso le labbra socchiuse in un ghigno.
Anni Novanta, tre Specialisti di Restauro da me chiamati da Firenze analizzavano con sofisticati dispositivi l’affresco longobardo nell’abside sinistra. Prendevano appunti, impossibile distrarli, fino a quando uno di loro richiamò la mia attenzione sul suo taccuino. Aveva tradotto in un volto umano un dettaglio decorativo della scena di Zaccaria che ammutolito tenta di dire al popolo che la moglie Elisabetta, anziana e sterile, gli darà un figlio, Giovanni Battista (nell’immagine). Mentre cercavo nel dipinto quello strano viso, il restauratore sorridendo mi disse in fiorentino: “Attento ettù lo vedi, aggramicciato nel manto di Zaharia”. Per riuscire a vederlo dovetti però dimenticare che conoscevo quel manto centimetro per centimetro!
Da allora cerco nei dipinti quello che… non c’è, come il volto che s’intravede nelle tracce di affreschi medievali del Chiostro di Santa Sofia,sconosciuti e in via di dissolvimento per assenza di manutenzione.
Salvador Dalì definì “facoltà paranoica creativa” la tendenza a scorgere figure umane e animali sui muri, nelle nuvole, tra gli scogli inondati dalla spuma del mare, sui tronchi d’albero, dovunque. Dovremmo sempre andare a caccia di quello che… non c’è, diceva l’artista catalano,stimola l’immaginazione, dona il piacere di sovvertire la realtà. Il restauratore che a Benevento interpretò come un volto umano un motivo decorativo del mantello di Zaccaria si era lasciato inconsapevolmente coinvolgere nelle volute ambiguità con cui Longobardi e Bizantini accostavano motivi astratti e colori contrastanti nei dipinti, nelle miniature, nei pavimenti di marmo.
Fu un preominide, un australopiteco, il primo a percepire quello che… non c’è, circa tre milioni di anni fa. Nella Valle di Makapan lungo il fiume Limpopo in Sudafrica fu attratto da una pietruzza di diaspro rossiccio di circa 260 grammi, che presentava buchi e segni casuali che gli sembrarono un volto. Il preominide capì che su una pietra, su una qualunque superficie, si possono disegnare forme reali o addirittura inventate. Raccolse quella pietra e se la portò a quattro chilometri di distanza nella sua grotta, dove è stata trovata nel 1925. Oggi è custodita nel Natural History Museum di Londra: esposta senza grande evidenza richiama l’attenzione solo dei pochi che sanno che da allora tutto è cambiato per sempre, perché era nata una realtà che non esiste in natura, quella che l’uomo crea con l’immaginazione, l’arte!
“Non ti sia grave fermare lo sguardo nelle macchie de’ muri, o nella cenere del foco, o altri simili lochi o nuvoli o fanghi… - scrisse Leonardo da Vinci nel Libro della Pittura - Tu vi troverai invenzioni mirabilissime, che destano lo ingegno del pittore a nuove invenzioni, sia di battaglie, d’animali e d’omini, sia di paesi e di cose mostruose. Nelle cose confuse l’ingegno trova nuove invenzioni”. Teorizzava così l’importanza dell’informe, e c’era intanto chi lo sperimentava fino al limite della decenza:il pittore fiorentino Piero di Cosimo andava negli ospedali a cercare scene di battaglie negli sputi dei malati sui muri (Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Bologna 1550).
Sconsigliati sputi e ospedali oggi in tempo di pandemia, il lettore dotato della “facoltà paranoica creativa”indicata da Salvador Dalì troverà altrove quello che… non c’è. Per esempio un profilo bonario sull’intonaco di una parete, uno sguardo che arriva da un mobile di casa, un volto agghiacciante sul tronco di un albero sfiorato dalla luce.
ELIO GALASSO