Papa Benedetto XIII verso la santità Eventi

Sessione di apertura del Processo di Beatificazione e Canonizzazione di Papa Benedetto XIII

Venerdì 24 febbraio alle ore 12.00 nel Palazzo del Vicariato in Roma il Cardinale Agostino Vallini presiederà la cerimonia di apertura del processo di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Papa Benedetto XIII, Fra Vincenzo Maria Orsini dell’Ordine dei Predicatori. Le Diocesi di Benevento, Manfredonia-Vieste, Cesena-Sarsina, Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, la Curia Generalizia dell’Ordine dei Frati Predicatori e gli Orsini Duchi di Gravina, annunciano con gioia l’evento a lungo sospirato.

Sabato 25 febbraio alle ore 10.00 presso la Pontificia Università “Angelicum” di Roma si svolgerà il convegno di studi sul tema: “Benedetto XIII Orsini tra San Domenico e San Filippo Neri, fonti-storia-spiritualità”. Presiederà Sua Eminenza il Cardinale Walter Brandmuller e dopo il saluto di Monsignor Saverio Paternoster, presidente del Centro Studi “Benedetto XIII” di Gravina, interverranno il prof. Mario Girardi, docente di letteratura cristiana antica presso l’Università degli Studi di Bari, il prof. Fra Carlo Longo, docente presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino in Urbe e Padre Edoardo Cerrato, procuratore generale della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri.

Una elezione inusuale

Acclamato per “adorazione”, come riporta una ottocentesca guida italiana (Louis Eustache Audot, L’Italia, la Sicilia, ecc., secondo le inspirazioni… di Chateaubriand, Lamartine… Lord Byron, Goethe…, G. Pomba, Torino 1836, vol. III, p. 105), cioè con un cardinale che, anziché votare, si alza e si prostra di fronte ad un altro porporato, seguito quindi da tutti gli altri. In realtà Vincenzo Maria Orsini non avrebbe voluto accettare la nomina, che accolse solo perché si rendeva conto dei pericoli che la sede vacante poteva causare alla Chiesa (il Conclave era iniziato infruttuosamente già da ben due mesi).

La pantofola

Presso il Museo del Sannio viene conservata una pantofola in velluto rosso appartenuta a papa Benedetto XIII. Il fatto che il pezzo sia singolo potrebbe far pensare ad un furto, ad uno smarrimento della gemella. In realtà quell’unico pezzo riveste un significato altamente simbolico. Fu un “dono” del Papa alla sua amatissima città, che aveva tanto amato e beneficato da Arcivescovo e che continuò ad amare e beneficare da Pontefice, tanto che non volle separarsi dal titolo di metropolita di Benevento neppure cingendo la bianca veste di Successore di Pietro.

Si racconta che durante l’ultima delle sue visite a Benevento, nel 1729, quasi conscio della morte che stava per sopraggiungere (sarebbe avvenuta l’anno successivo), mentre lasciava la città pontificia tra due ali di folla, arrivato in contrada Epitaffio, dove sorge il monumento che segna il confine tra Stato della Chiesa e Regno di Napoli (allora non ancora delle Due Sicilie, denominazione che sarebbe giunta dopo il Congresso di Vienna del 1815), egli fece fermare la carrozza e lanciò verso la popolazione una delle sue pantofole, a voler significare come avrebbe tanto desiderato rimanere ancora nel suo Sannio.

Altre fonti (Giovanni Giordano, Eminentissimi a Benevento, Club di Autori Indipendenti, Milano 2001) ricordano la tristezza dell’ultima visita beneventana: «Ma la nota ultima e incancellabile di queste visite papa Orsini la scriverà partendo dalla “sua” città: inginocchiato, all’Epitaffio, il confine tra il ducato e il regno di Napoli, bacerà la terra ripetendo in umana accoratezza di pianto e di lacrime: “Benevento mia, non so se più ti rivederò”».

Nello stesso punto, cioè all’Epitaffio (evidentemente sulla via di Napoli per poi trasbordare su una nave fino a Civitavecchia: un percorso usuale e molto più comodo, a quel tempo, che non la via di terra fino a Roma) lo stesso Giordano ricorda un’accorata preghiera, però risalente alla penultima visita, avvenuta nel 1727, dopo aver passato una notte in lacrime presso l’immagine della Madonna delle Grazie ed aver impetrato protezione per la sua città contro i terremoti: «Questa assicurazione sarà ancora ripetuta all’Epitaffio al momento dell’addio: «Calata dalla carrozza Sua Santità si inginocchiò rivolta verso questa città, e con la faccia prostrata al suolo, orò per lo spazio di quasi due credi; indi baciato con copiose lagrime quel terreno, disse: Benevento mio non so se più ti vedrò, ma lo spero dal cielo: stia allegramente, e di buon animo, giacché non patirai più di tremuoti, quantunque aver dovrai una intera tribulazione, per cui fida al Signore; e levatasi in piedi, si asciugava col fazzoletto le la­grime e si puliva le labbra dalla polvere; e tuttavia lagrimando, benedisse questa città, suo territo­rio, quel popolo, che fin là seguita l’aveva e tutti gli astanti...».

Va ricordato che lo stesso arcivescovo, durante il terremoto del 1688, fu miracolato quando il pavimento della stanza in cui si trovava crollò ed egli rimase pressoché illeso, nonostante il volo di un piano intero. Si salvò – oltre che per intervento divino – grazie alla propria generosità: infatti la caduta fu attutita dal grano presente nel magazzino sottostante, fatto raccogliere in un “Monte frumentario” (una sorte di Monte dei pegni, ma destinato agli agricoltori), istituzione voluta dallo stesso Orsini (tanto che la banca di Benevento fino a pochi decenni or sono si chiamava appunto Monte dei Pegni Orsini o, più semplicemente, Monte Orsini) e che evitava speculazioni sul grano, assicurando anche ai contadini meno abbienti la possibilità di ricevere non denaro, bensì prezioso grano da seminare.

In quell’occasione, il poeta barocco Giovanni Canale gli dedicò un sonetto:

Nella sannia magion scossa e cadente /cade l’Orsino eroe tra pietre involto,/e riman tra le pietre ivi sepolto/poco meno che morto e mal vivente./Ferito sopra il crin, sangue innocente/ingemma l’ostro ch’ha sul crine accolto,/e intento al ciel, l’affetto al ciel rivolto,/gli affanni altrui più che ‘l suo mal risente./Morte non teme ed ha la morte avante,/il core in man di Dio gli è duol giocondo,/e tra angustia mortal ne gode orante./S’ora sostien d’infrante mura il pondo,/stupor non è, se dée poi, sacro Atlante/regger la Chiesa e sostenere il mondo.

Il reliquiario della Sindone

I tesori personali di Benedetto XIII donati, come segno di rispetto del proprio voto monacale di povertà, alla Chiesa beneventana sono vari. Tra le schede dell’Archivio Storico Diocesano di Benevento se ne trova una che recita: «Reliquiario quadrato a due facce di oro finissimo lavorato a cisello, con teste de Cherubini, e fiorami d’oro al naturale, con Cornice di oro vagamente intagliata, con cristalli di Monte [cioè di rocca] quadrati, che racchiudono dentro un Ornato di oro cisellato, con entro le seguente Reliquie: Della Sindone, Sudario, e veste di Nostro Signore Gesù Cristo; Un Dente di S. Domenico Confessore, e due pezzi di ossa di S. Vincenzo Ferrerio.

Detto Reliquiario è sostenuto da un Angelo d’Argento d’intera figura, abbellito nelle braccia, nel petto, e nelle ligature delle gambe da molte pietre preziose di grossi smiraldi, rubini, e zaffiri ligati in oro; l’Angelo poi posa sopra una Nuvola su piedestallo di argento centinato, guarnito con teste de cherubini colle arma di Sua Santità nel prospetto d’avanti, al di dietro con una Cifra, e ne’ lati con cartelle, ne quali è scolpito il millesimo Anno Domini 1726, essendo gli ornamenti tutti di oro, essendo la base fermata sul dorso di quattro cani d’argento, che con fiaccole d’oro in bocca giocano sopra Libri, per alludere allo Stemma dell’Ordine de’ Predicatori […] Costa scudi romani 1500 che di Regno sono 2000».

Tenendo conto che lo scudo era una moneta in argento che pesava un’oncia (cioè circa 28 grammi), parliamo di cinquanta chili d’argento, una somma considerevole (attualmente l’argento vale 16 euro all’oncia…).

Come è giunto a Benevento un frammento del sudario di Cristo? Sono altamente indicativi il simbolo dell’Ordine fondato da San Domenico e l’indicazione dell’anno 1726: due elementi che rimandano naturalmente al domenicano Vincenzo Maria Orsini, papa in quell’anno come Benedetto XIII.

È infatti un dono inviato dal Duca di Savoia, proprietario della Sindone e da poco divenuto Re di Sardegna, che voleva ingraziarsi Sua Santità durante le trattative per la stipulazione del Concordato piemontese. Di che si trattava? Sostanzialmente di nomine vescovili nei territori sabaudi, di problemi di giurisdizione ecclesiastica, di tassazione delle rendite religiose e, in particolar modo, del riconoscimento dell’acquisizione della Sardegna, concessa quattro secoli prima da Bonifacio VIII alla corona aragonese.

Vittorio Amedeo inviò a Roma in qualità di ambasciatore lo “scaltro” (la definizione è dello storico dei Papi Ludwig von Pastor) Carlo Francesco Ferrero di Roasio, marchese d’Ormea, che seppe anche “ungere” le ruote giuste e cercò di ammorbidire le posizioni del Pontefice con questa importante donazione, cui aggiunse, ad accordo avvenuto (29 maggio 1727), i candelieri e la croce d’argento che furono poi rubati dai “liberatori” francesi nel 1799. Inoltre si presentava ogni mattina alla messa papale, con un gran rosario tenuto bene in vista.

Benedetto XIII non si fece incantare dalla commedia devozionale né commuovere dai regali: era invece molto restio a cedere, soprattutto sulle immunità e libertà ecclesiastiche, che tanto aveva difeso da arcivescovo di Benevento contro le pretese del Re di Spagna. D’altro canto gli premeva evitare che numerose sedi rimanessero vacanti: egli stesso, come abbiamo visto, aveva accettato il serto pontificio solo per evitare che il Conclave si continuasse a protrarre infruttuosamente.

La situazione si avviava allo stallo, allorché il cardinal Coscia fece partecipare alle trattative anche il brillante Prospero Lambertini, che a breve avrebbe vestito la porpora e più in là sarebbe salito al Soglio di Pietro come Benedetto XIV (con scelta di nome indicante un omaggio nei confronti dell’Orsini). Lambertini convinse il Papa a cedere per evitare mali peggiori.

Così, al ritorno da un viaggio a Benevento (in occasione del quale, si presume, donò alla Cattedrale l’augusta reliquia), Benedetto XIII si trovò a firmare il Concordato, con grande fastidio dei Cardinali più anziani, che non approvavano gli spregiudicati consiglieri del Papa (i quali vennero largamente gratificati da Vittorio Amedeo: in particolare Lambertini ebbe una pensione di 1000 scudi con l’aspettativa di altri 500 e il suo segretario Millo una pensione di 400, mentre non si sa se il tanto vituperato Coscia fu effettivamente remunerato).

Per non scontentare troppo il Papa, su consiglio del suo ambasciatore d’Ormea, Vittorio Amedeo nominò vescovi parecchi religiosi, specialmente domenicani. Benedetto XIII rispose con il Breve del 12 luglio 1727 in cui, esprimendo la sua soddisfazione per tali nomine, raccomandava ancora al Re di rispettare le immunità ecclesiastiche.

Ai nostri tempi, sorpassato il Concordato piemontese, rimane il prezioso reliquiario e l’ancor più preziosa reliquia, che un tempo veniva esposta alla venerazione dei fedeli durante la Settimana Santa, nella Cattedrale di Benevento. Fino al 1860, al termine del Triduo pasquale e dell’esposizione del frammento della Sindone veniva liberato un prigioniero (adesso gli si fa semplicemente leggere una preghiera nella cappella del Crocifisso).

PASQUALE MARIA MAINOLFI

Altre immagini