Il secolo dell’avvocato in una mostra a Roma In primo piano

Alla presenza del Capo dello Stato, della moglie Marella e di tantissime personalità, è stata appena inaugurata a Roma la mostra “Il secolo dell’Avvocato – Gianni Agnelli, una vita straordinaria”.

La mostra, curata da Marcello Sorgi e allestita nella Gipsoteca del complesso monumentale del Vittoriano su progetto dell’architetto Susanna Nobili, ripercorre la vita di Agnelli sullo sfondo del Novecento, dalla nascita (1921), alla seconda guerra mondiale, in cui l’Avvocato combattè in Africa e in Russia, prendendo parte poi al fianco degli americani alla Liberazione, al lungo dopoguerra in cui il giovane industriale si era trovato di fronte tutto: il capitalismo e il comunismo, la guerra fredda, il postfascismo, il regime democristiano, il terrorismo, la globalizzazione, le grandi crisi economiche.

La vita straordinaria dell’Avvocato è ricostruita in oltre duecentocinquanta foto, dei maggiori fotografi italiani e di alcuni dei più famosi al mondo, tra cui Newton, Krieger, Larari, Lessino, oltre che degli Archivi Storici di Fiat e Stampa.

A Roma la mostra resterà aperta fino al 30 gennaio, per poi trasferirsi, dal 12 febbraio al 16 marzo a Torino alla Mole Antonelliana.

Ecco chi era Gianni Agnelli

Grande industriale, capo di una delle poche famiglie imprenditoriali rimaste attive dopo due secoli di storia, grande editore, collezionista e amante dell’arte, grandissimo sportivo: Gianni Agnelli (1921 – 2003) è stato questo, ed anche per ciò è diventato l’ambasciatore all’estero di una certa Italia, colta, elegante, ma minoritaria. Nel 1991, dodici anni prima di morire, era stato nominato senatore a vita.

Veloce, impaziente, ironico, dotato di estrema capacità di sintesi e proverbiale gusto della battuta, l’Avvocato era a suo agio con chiunque: capi di stato e operai, premier e ministri, manager e sindacalisti.

Un’infanzia dorata ma breve per il giovane Agnelli. Educazione rigorosa, con una governante inflessibile, miss Parker. Il padre Edoardo, muore in un incidente a bordo di un idrovolante nel 1935. L’autorità del nonno Giovanni Agnelli, senatore e fondatore della Fiat, da quel momento diventa assoluta. Estati tra Villar Perosa, storica dimora di campagna piemontese in cui di tanto in tanto sono ospiti i principi di Piemonte, futuri reali d’Italia, e Forte dei Marmi, in Toscana. Arriva la guerra, e dopo la guerra, la morte del nonno nel 1945.

Mentre la Fiat è affidata al professore Valletta, per Gianni c’è un pericolo di svago, ma anche di maturazione, cui fanno da sfondo Cap Ferrat, Beaulieu, la Costa Azzurra. È un’epoca in cui all’Avvocato può capitare di alternare una visita a Churchill vecchissimo, una vacanza con i giovani Kennedy o un incontro con Lord Baldwin, grande editore inglese. Nel 1953, a Strasburgo, Gianni Agnelli sposa Marella Caracciolo di Castagneto. Nel ’54 nasce Edoardo, il primo figlio. Gradualmente l’Avvocato si avvicina alle sue responsabilità al vertice della Fiat.

I 30 anni (1966 – 1996) alla guida della Fiat sono quelli che fanno di Agnelli uno dei maggiori industriali europei, un italiano tra i più conosciuti al mondo e insieme un modello positivo.

Viaggia molto, e di ogni paese che visita incontra un leader. In America è di casa, da Kennedy a Clinton ha familiarità con tutti i presidenti Usa. Il re di Spagna o la regina d’Inghilterra vengono volentieri a trovarlo. Ed è sorprendente il suo rapporto con l’universo comunista e post-comunista, da Mosca alla Cina, da Kruscev a Gorbaciov, a Eltsin, e in Italia da Togliatti a Berlinguer, fino a D’Alema e Veltroni.

L’Avvocato considera la Fiat un’istituzione. “Un Agnelli – spiega – non può stare più di due mesi all’opposizione”. La nomina a senatore a vita (1991) è il riconoscimento di questo.

L’Avvocato ha avuto solidi rapporti con tutti i governi, i Presidenti del Consiglio e i Capi dello Stato della storia repubblicana. In vita sua gli è toccato il fascismo, il regime democristiano, ha conosciuto Craxi, ha battezzato il primo governo post-comunista guidato da D’Alema e il secondo governo di centrodestra presieduto da Berlusconi.

Al Quirinale è stato di casa con tutti gli inquilini del colle più alto, da De Nicola a Saragat, Pertini, Cossiga, Ciampi, e, fosse stato ancora in vita nel 2006, avrebbe applaudito all’elezione di Napolitano che conosceva e stimava molto.

Aveva tante passioni. Lo sport, a cominciare dal calcio, dalla Juve e dai suoi calciatori. Lo sci, praticato fuori dalle piste, facendosi calare dall’elicottero su cime sperdute e pendii innevati mai scalati prima da altri. La vela, con il divertimento di manovre spericolate a ridosso di scogliere imbiancate dal vento e da onde altissime.

E poi l’arte, con la gara a inseguire pittori e opere famose in giro per il mondo, per sfilarle un momento prima ad altri collezionisti, e il cinema, amato e coltivato al punto di avere in casa una sala di proiezione a dimensioni professionali.

La vita straordinaria di Agnelli si conclude con una scena imprevedibile e a suo modo paradossale: quel funerale in cui il capo del capitalismo italiano se ne va circondato dai suoi operai, che accorrono a centinaia di migliaia sulla rampa interna dello stabilimento del Lingotto.

Con la loro tristezza, con le loro parole semplici , dicono quel che il presidente Ciampi spiegherà da vecchio amico “Agnelli è stato un uomo che ha saputo conciliare i propri interessi con quelli del Paese”.


Silvia Rampone