A Benevento si parla ancora di Molisannio ma nel Molise si cerca di tornare con l'Abruzzo In primo piano
Ritenevamo ormai assopita se non del tutto archiviata la querelle pro o contro il Molisannio, che aveva agitato il dibattito politico a Benevento già dai primi anni di questo secolo, ed in particolare nel 2011-2012, con una riesplosione nel 2022; ma negli ultimi tempi sembra che qualcuno voglia risvegliarla.
La querelle di questi giorni parte anche da una clamorosa analisi giornalistica di Milena Gabanelli sul DATAROOM del Corriere della Sera, dal titolo “Il Molise ora pensa al ricongiungimento con l’Abruzzo”. Difatti in provincia di Isernia si sta promuovendo un referendum per riaggregarsi all’Abruzzo, proprio mentre da noi si pensa di spostare il Sannio verso quella microregione i cui abitanti oggi la vorrebbero chiudere.
A questo punto si potrebbe pensare ad un soccorso del Sannio per evitare l’estinzione del Molise, se non vi fosse però la norma che obbliga le nuove regioni ad avere almeno un milione di abitanti.
A prescindere dal calcolo dei probabili vantaggi e svantaggi che potrebbero derivare da un simile passaggio da una grande ad una piccola regione, è doveroso anche da parte dei politici misurare i sicuri costi giuridici ed istituzionali, senza trascurare i relativi tempi di attuazione. Il problema si poteva risolvere all’Assemblea Costituente, quando nel 1947 Bosco Lucarelli propose la Regione Benevento-Campobasso-Avellino, senza successo a causa del totale voto contrario dei parlamentari molisani e irpini.
Proprio nel corso dei confronti politici di due anni fa, il Mattino tra l’altro pubblicò un’interessante intervista del professor Pierpaolo Forte, il quale ci ricorda che “a norma del secondo comma dell’articolo 132 della Costituzione, il distacco può avvenire previo referendum popolare con la partecipazione del 50% degli elettori e quindi con una legge della Repubblica. Dopo il referendum occorrono, nell’ordine, “le delibere di assenso dei Consigli delle due Regioni interessate; una legge nazionale; e per modificare il nome della Regione anche una legge costituzionale”. “Un percorso molto faticoso”, dice giustamente il professore Forte.
Con questo non si vuol dire che il Sannio non abbia motivo di lamentarsi di come viene trattato in questa grande regione. Ma, per superare le motivate insoddisfazioni, dobbiamo credere che l’unico rimedio sia la separazione? La fuga verso un minuscolo Molise-Sannio?
Certamente, in una regione come la Campania, i territori e le comunità civili della Dorsale Appenninica hanno di che dolersi. Questa Campania indubbiamente non va bene, ma la vogliamo abbandonare, distruggere o tentare di modificare, per farne una Regione non solo grande e non solo tirrenica ma anche appenninica? Occorre quindi un diverso Ente Regione per questo territorio campano.
Un’Altra Campania mi sono permesso di invocare e scrivere l’anno scorso. Altra Campania significa riconoscere il peso e il ruolo delle province interne, che vanno considerate e rispettate non solo in rapporto al numero delle persone residenti ma anche all’ampiezza dei relativi territori.
Tempo fa ho letto un’espressione di Papa Francesco che suonava così: “anche il territorio è un essere vivente”. Non si vive senza territorio, senza la sua natura geoambientale, le sue materie prime, il suo patrimonio, la sua custodia, oltre che la corretta utilizzazione, secondo il dettato biblico. Utilizzare e custodire.
Questo vuol dire che la Campania è grande non solo perché è abitata da oltre cinque milioni e mezzo di persone ed è composta da una lunga costa marina; ma anche perché dispone della ricchezza e del patrimonio dell’immensa dorsale appenninica, che rappresenta circa l’80% della superficie regionale. Una ricchezza ed un’ampiezza territoriale che proprio i cittadini e le istituzioni delle aree interne non sempre dimostrano di averne piena coscienza.
Basterebbe iniziare con la modifica di quell’articolo dello Statuto regionale dove viene stabilita la ripartizione dei seggi al Consiglio regionale, seggi da assegnare non soltanto in rapporto al numero degli abitanti ma anche alla superficie territoriale delle varie province. Così si correggerebbe l’obbrobrio di riconoscere più della metà dei seggi dei legislatori regionali alla sola provincia di Napoli, che pur essendo abitata dal 53% dei cittadini campani comunque copre soltanto l’otto per cento della superficie regionale. Cioè, pur essendo la metà del territorio sannita, la provincia di Napoli elegge un numero di consiglieri regionali tredici volte superiore ai nostri: ventisette partenopei contro due sanniti.
Con tale modifica dello Statuto della Regione potrebbe avviarsi l’affermazione del concetto secondo il quale “anche il territorio è un essere vivente”, e che pertanto va adeguatamente rappresentato negli Organi e nelle politiche della Regione.
In conclusione: fare l’Altra Campania può essere difficile ma non inutile; fare il Molisannio non è apprezzabile né facile.
ROBERTO COSTANZO