Aree interne, le sfide del futuro che portano al benessere In primo piano

Il prof. Giuseppe Marotta, pro-rettore dell’Università del Sannio, ha guidato il gruppo di lavoro che ha redatto in collaborazione con Confindustria Campania il “Rapporto Aree Interne”. È la persona giusta, dunque, per chiudere il dossier che il nostro periodico ha voluto dedicare all’agroalimentare campano dopo l’apertura ai “corpi intermedi”, all’atto del suo insediamento, del premier Giorgia Meloni. Col prof. Marotta, ordinario in Economia ed Estimo Rurale, abbiamo affrontato alcuni dei temi connessi allo sviluppo sostenibile delle aree interne, attraverso la valorizzazione delle sue primarie risorse: dalla viticoltura alla zootecnica alle energie rinnovabili.

Partiamo da un dato ‘positivo’: in Campania le esportazioni agroalimentari hanno superato quelle dell'aerospazio.

È la dimostrazione che il made in Campania riscuote grande fiducia sui mercati. In tutte le province la presenza dell’agroalimentare è molto importante, con punte significative nel Sannio e in provincia di Salerno, dove il 25% delle imprese sono agroalimentari. Nel Sannio è sicuramente il settore su cui puntare: i prodotti agroalimentari sono riconosciuti dal mercato, come ad esempio il vino, dove abbiamo imprese affermate che ogni anno ottengono ‘premi prestigiosi’ per i loro prodotti.

È il risultato del buon lavoro fatto negli anni sulla ‘valorizzazione’ dei vitigni.

Il settore vitivinicolo nel Sannio ha raggiunto una buona organizzazione. La forte presenza cooperativistica -con quattro Cantine che operano su questo territorio- rappresenta il ‘motore’ della viticoltura. C’è un aspetto da migliorare: la produzione ancora molto alta di vino sfuso, che andrebbe imbottigliato e venduto a marchio.

Una spinta ulteriore al settore potrebbe darla il Distretto agroalimentare di qualità?

È molto utile come strumento se riesce a trasferire alle imprese un approccio collettivo nella risoluzione dei problemi. Tramite il Distretto le imprese superano il loro individualismo imprenditoriale e, insieme ad altre imprese, trovano soluzioni a problemi comuni, sia tecnici che di commercializzazione.

È importante, dunque, per dare avvio ad una gestione “collettiva” del settore.

Rappresenta una innovazione organizzativa molto importante, che può portare l’intero sistema vitivinicolo regionale, e la parte sannita che rientra nel distretto, a raggiungere livelli ancora più significativi, sia economici che reputazionali.

Con il presidente Domizio Pigna si parlava della ‘Strada dei vini regionale’.

La Strada dei vini è lo strumento più idoneo per portare enoturisti nel Sannio. Il vino è oggi il prodotto che meglio di altri si sposa col turismo: come più volte ribadito, il vino non è una semplice bevanda, ma un prodotto complesso e, sempre più, si caratterizza per essere un prodotto culturale: un prodotto che rappresenta l’identità, la storia, i saperi di un luogo. Quelli che si avvicinano al vino sono turisti mossi da una forte domanda di saperi e culture locali, da una curiosità sui modi di vivere nelle comunità locali che vanno a visitare. Vino e turismo rappresentano il matrimonio per eccellenza. Nel Distretto, la Strada dei vini potrebbe essere l’elemento per innescare sinergie positive e rilanciare il turismo delle aree interne.

In questo caso parliamo di “turismo esperienziale”.

È l’esperienza che si fa attraverso la conoscenza diretta dei territori che esprimono vini di qualità: una esperienza –ripeto- innanzitutto ‘culturale’. Quando un enoturista viene sul territorio non lo fa solo per il vino, ma per incontrare una comunità, per conoscere la sua storia e per fruire di tutte le bellezze materiali e immateriali: il paesaggio, i borghi, le piccole trattorie, l'artigianato. Su questo dobbiamo lavorare di più e meglio. Ecco che il Distretto agroalimentare di qualità diventa lo strumento più idoneo per preparare un’offerta turistica adeguata ad un turista particolare: l’enoturista è molto esigente, è già preparato, ha vissuto esperienze anche in altre realtà, per cui viene già sapendo cosa vuole da questo territorio.

Da questo punto di vista c’è tanto da fare…

Il Distretto deve aiutare a fare questo salto di qualità: preparare sul territorio un’adeguata offerta turistica esperienziale, rivolta a cittadini enoturisti che esprimono una domanda ‘molto alta’. Questo significa preparare le piccole trattorie ad offrire prodotti locali di qualità, formare guide turistiche, rendere bello il paesaggio, rendere belle le strade e accoglienti i paesi. La bellezza dei centri storici e dei piccoli borghi è fondamentale.

Nell’anno di “Sannio Falanghina Città Europea del Vino”, l’UniSannio ha conferito l’honoris causa in Economia e Management a Riccardo Cotarella: una scelta che ha contribuito a rafforzare la cultura d’impresa nel settore vitivinicolo sannita.

La nostra scelta ha portato a Cotarella per il suo approccio manageriale nella gestione della filiera del vino: la qualità del vino –come Cotarella ama spesso ripetere- si costruisce in vigna. Cotarella ha introdotto una gestione sostenibile e manageriale del vigneto e della trasformazione: un approccio del tutto nuovo, che ha dato e continua a dare i propri frutti anche nel Sannio.

Nel mondo delle imprese, invece, la sua presenza cosa ha determinato?

Come molti sanno, Cotarella ha lavorato soprattutto con la Guardiense: una “Azienda territorio” con i suoi 1.000 soci; è inevitabile, quindi, che quello che fa la Guardiense finisce per influenzare anche le altre imprese, che in qualche modo hanno seguito l’esempio e hanno investito su quelle competenze per far diventare, il loro vino, un prodotto prestigioso. Ma, soprattutto, la sua presenza ha innescato la dimensione allo storytelling, al racconto di una storia che c’è dietro ogni etichetta di buon vino.

C’è un altro settore molto importante per l’economia delle aree interne, che sul mercato non ancora riesce ad esprimere tutte le sue potenzialità: la zootecnia.

È un settore di punta in particolare nel Sannio, dove la “Marchigiana” si è ormai consolidata come razza di qualità. A differenza del settore vitivinicolo, l’aspetto ‘organizzativo’ della filiera zootecnica è e rimane ancora un punto debole: ancora non abbiamo l’intera filiera nel Sannio, dove c'è solo la produzione del vitello. La carne prodotta nel Sannio viene per la gran parte valorizzata commercialmente da agenti esterni all’area, con la conseguenza che una quota significativa del ‘valore’ creato diventa appannaggio di operatori di altri territori, secondo un “modello estrattivo” che va avanti da tempo e che gli allevatori del Sannio subiscono per loro carenze organizzative.

Manca l’Azienda territorio che incoraggia anche i piccoli ad investire?

Le cooperative ci sono, dovrebbero cominciare a lavorare molto di più insieme, per cercare d’implementare nel Sannio tutte le fasi della “Filiera Carne Marchigiana” e non solo la produzione. Siamo bravi produttori, abbiamo un patrimonio importante, dovremmo implementare la macellazione, la commercializzazione e, quindi, lasciare maggiori frutti sul territorio: il maggior valore si forma a valle della filiera, non a monte.

Tradotto, significa che il prezzo gli allevatori lo subiscono perché imposto da altri soggetti.

Esatto. Se, invece il mondo cooperativistico zootecnico si appropria anche degli altri segmenti della filiera, trattiene sul territorio quote maggiori di valore aggiunto. Questo è l’elemento importante. Come pure ci sarebbe da valorizzare, dal punto di vista ‘energetico’, i reflui di questo settore: le biomasse potrebbe essere un altro filone d’investimento, un nuovo “business model” volto a valorizzare le ‘materie prime-seconde’, in un’ottica di economia circolare, creando ricchezza e occupazione.

In altri luoghi, come ad esempio in Toscana con la Chianina, il settore zootecnico contribuisce ad arricchire l’offerta turistica ‘esperienziale’ del territorio.

Oggi l’elemento vincente è riuscire a portare le persone nelle nostre zone e far vivere loro esperienze dirette di fruizione di storie, culture, paesaggi e prodotti d’eccellenza che il territorio esprime. Pur avendo imprese e territori fragili, stiamo comunque ottenendo, in alcuni settori, risultati apprezzabili; anche la carne ha avuto, e sta avendo, buoni riconoscimenti di mercato. Un ulteriore salto di qualità potrebbe essere quello di puntare sul modello di ‘economia di prossimità’: vendere i nostri prodotti ai cittadini locali, a quelli che vivono nei capoluoghi campani. E questo si può fare in due modi: o andando a consegnare i prodotti ai cittadini nelle loro città o facendoli venire sul territorio. L’economia di prossimità può essere un’importante prospettiva, che si coniuga molto bene col turismo esperienziale.

Accennava alle biomasse; col prof. Alfredo Vaccaro abbiamo affrontato il tema delle agro-energie. Nelle aree interne le ‘rinnovabili’ rappresentano oggi il motore dell'economia, per cui nessuno è contrario a priori: ma come tutelare maggiormente le comunità che subiscono i disagi di questi impianti, senza avere nulla o quasi in cambio?

Partiamo dal presupposto che oggi, non solo l’economia ma l’intera società sta andando verso la Transizione ecologica, di cui le energie rinnovabili sono il ‘perno’. Le aree interne, producono le principali risorse naturali idonee per trasformarle in energia: il vento, il sole, l’acqua. Queste tre risorse hanno un potenziale di valorizzazione energetico enorme. Su alcune di queste energie si è già fatto molto: possiamo autodefinirci il distretto eolico del Mezzogiorno, perché Benevento e Avellino producono l’83% della potenza eolica. C’è ovviamente anche uno spazio per il solare, il fotovoltaico, ma potrebbe essere così anche per l’acqua, sfruttando al meglio il lago di Campolattaroi, interessato da un importante progetto di valorizzazione: l’energia idroelettrica potrebbe essere un altro ‘vettore energetico’ di questa provincia.

Cosa non bisogna fare, quindi, per sfruttare queste risorse senza compromettere, anzi contribuire a valorizzare l’agricoltura del territorio?

Evitare due cose: la prima è che quando si va verso le energie rinnovabili bisogna avere l’attenzione di salvaguardare i suoli agricoli. Non dimentichiamo che questa provincia vive di agricoltura, che rimane settore strategico non solo per il nostro territorio, ma per l’intero pianeta, considerate le previsioni demografiche a livello mondiale. Quando si parla di fotovoltaico e di idroelettrico, dobbiamo quindi ‘necessariamente’ salvaguardare i suoli agricoli. Questo è il primo punto. L’altro aspetto è un cambio di paradigma. Fino ad oggi stanno prevalendo i “modelli estrattivi”, nel senso che si valorizzano le risorse (vento, sole e acqua) ma il beneficio va a pochi grandi imprenditori che hanno realizzato l’investimento. Il territorio è escluso da tale processo di valorizzazione, subendo peraltro anche qualche disagio. Bisognerebbe, viceversa, condividere con le comunità locali il valore che si crea con l’utilizzo di queste risorse. Questa è la sfida.

Una sfida culturale e sociale, ma soprattutto politica.

Da oggi in poi la politica -a cominciare da una legislazione regionale o Linee-guida, anche a livello locale- più che “contrapporsi” deve “negoziare”: Le risorse del Sannio sono importanti? Sono strategiche per la Transizione ecologica? Benissimo, valorizziamole creando il minore impatto sul territorio e creiamo un modello di condivisione del valore creato che vede beneficiarie anche le comunità locali. Diventa, quindi, in qualche modo un ristoro, una condivisione di valore che potrebbe innescare proficue sinergie. Se nei comuni produttori di energie rinnovabili si sperimentasse, ad esempio, l’azzeramento della bolletta energetica, insieme ad altre policy di accoglienza, probabilmente potrebbero diventare attrattivi per giovani coppie.

Servirebbe una governance sorretta da una visione strategica di sviluppo sostenibile

Come le imprese devono saper fare squadra e cogliere insieme opportunità delle diverse transizioni in atto, così le istituzioni, le associazioni, la cittadinanza attiva, devono saper condividere consapevolezze, percorsi e soluzioni sostenibili per tutti. Con il Rapporto Aree Interne uno dei ‘messaggi’ che si vuole trasmettere è proprio questo: uscire dall’individualismo e lavorare tutti insieme per la rigenerazione del Sannio e dell’Irpinia. Bisogna costruire “modelli di partecipazione” in cui ciascuno possa portare il proprio contributo di competenza, di proposte, condividendo sacrifici e benefici. Solo in questo modo si può riuscire a superare il “modello estrattivo” a favore di un modello di condivisione.

Il valore creato con le energie rinnovabili, deve sicuramente remunerare l’investimento del privato, dell’impresa; ma una quota dello stesso deve anche ripagare le comunità locali coinvolte, che hanno saputo conservare la salubrità dell’acqua, hanno saputo conservare le risorse naturali, permettendo oggi la loro valorizzazione a beneficio dell’intera società.

Nell’era della Transizione ecologica, una gestione lungimirante delle risorse energetiche può contribuire a fronteggiare anche fenomeni come lo spopolamento, la desertificazione.

Il mio maestro Manlio Rossi Doria le definiva “aree dell’osso”. Oggi le aree interne hanno una maggiore suscettività, è come se intorno all'osso si stessero innervando dei muscoli, rappresentati dalle nuove risorse che la Transizione ecologica ha posto in un ruolo strategico. Queste risorse rappresentano un importante ‘patrimonio’ delle aree interne, da salvaguardare e valorizzare. Dobbiamo evitare, insomma, di ripetere quanto è accaduto, e ancora accade, con il ‘capitale umano’, che storicamente queste terre hanno ceduto ad altre realtà: prima come braccia da lavoro, oggi come capitale umano qualificato. Dovremmo cercare di evitare che continui questa logica “estrattiva”: le risorse devono lasciare i loro frutti sul territorio che le cura e le rigenera, consentendone la valorizzazione.

Per la salvaguardia delle risorse naturali, in un’ottica di sviluppo sostenibile, si sta alacremente lavorando alla candidatura a sito Geo-park Unesco del Taburno-Camposauro.

Un riconoscimento Unesco immediatamente fa diventare di pregio il territorio: cambia tutto. Ma si deve arrivare all’obiettivo col coinvolgimento e la consapevolezza di tutti i soggetti. Non deve essere visto come un progetto d’élite: ci sono degli illuminati che vedono bene una cosa e vanno avanti. Per ottenere questo importante “riconoscimento”, l’intero territorio deve assumere stili imprenditoriali e stili di vita dei cittadini orientati al ‘modello Unesco’.

Dovrebbero prendere coscienza di questo innanzitutto gli stakeholder del territorio.

È un cambio di prospettiva generale che va gestito dal basso, coinvolgendo tutti gli attori. Vale quello che dicevo prima per i Distretti, che servono appunto a far rendere consapevole una platea più ampia possibile di istituzioni, associazioni, imprese e cittadini. È questo l’approccio che deve prevalere: spiegare bene i doveri di ognuno ed i benefici conseguibili. A quel punto nasce una cittadinanza, che si può mobilitare e diventa più facile ottenere i risultati.

GIUSEPPE CHIUSOLO

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