Asinità sinfonica In primo piano

In tempi remoti, fu chiesto al preside Rocco Maria Olivieri un giudizio spassionato su certi alunni di sua pertinenza. Il dotto interlocutore fu perentorio: “Sono di una asinità sinfonica”.

Gli esercizi fondamentali della democrazia (primo fra tutti il suffragio universale), prendendo a base della legittimazione la sola individualità della persona, non fanno caso alla competenza. Esercitando la prerogativa della rappresentanza popolare, tutti hanno diritto al voto per la elezione di parlamenti e sindaci. Per rivestire cariche di governo, invece, si richiedono doti di competenza, specialmente quando il “governo” si confonde con la “gestione”.

Nella giovane storia dei Comuni si è fatta netta distinzione tra attività di indirizzo e attività di gestione. Quest’ultima funzione è affidata a funzionari professionalmente preparati e selezionati attraverso pubblici concorsi. Il dirigente comunale dovrebbe uscire da un mazzo di agguerriti concorrenti severamente giudicati da incorruttibili Roccomariolivieri. Il sistema zoppica (capita pure che voglia zoppicare a posta) quando a certi concorsi si presentino in pochi o, peggio ancora, si presenta un lupo solitario.

A fare l’assessore non c’è selezione, né una procedura trasparente. Appartiene al sindaco questo potere indisponibile. In fondo gli assessori compongono la Giunta, che è organo collegiale, non sono capi di niente. Ciò in teoria, perché così dice la legge. E’ rimasto nell’aria, però, come un virus che non si riesce a debellare, il vizietto dell’assessore che “esterna”, per esempio facendo comunicati stampa o interviste televisive. Voi direte: lo fanno anche i ministri. Anche i ministri farebbero bene a “contenersi”.

Lugi da me il sospetto di voler sottoporre ad esame di ammissione, da parte del sindaco, il chiamato o l’eletto. Ma a chi vuole fare l’assessore sarebbe utile una infarinatura di storia della città e, più precisamente, di elementi di storia delle attività amministrative rinvenibili negli archivi comunali.

Si eviterebbero le strampalate figuracce di questi ultimi tempi. L’ultimissima è quella di piazza Santa Maria. Si delibera la realizzazione di una stazione di arrivo e partenze di pullman turistici in un classico “non luogo” all’interno della cerchia delle mura cosiddette longobarde (ma Marcello Rotili ha dimostrato che appartengono a epoca precedente l’arrivo di Arechi e Grimoaldo). Quando cittadini con la testa sulle spalle e col cuore gonfio di rabbia fanno presente che in quel “non luogo” c’è la storia e ci devono essere le tracce di una storia (e che storia!) i giornali hanno pubblicato “pensieri assessorili” che vi risparmiamo. Speriamo di risparmiarvi anche esaltanti correzioni di rotta, magari chiamando in causa i miracoli del Pnrr.

A Palazzo Mosti, in qualche libreria, potrebbe trovarsi un bel volumetto (che è stato adottato in qualche università) recante il Piano Urbanistico del Centro Storico di Benevento. Meglio sarebbe consultare l’originale e tutte le carte allegate, Ma, in nome della democrazia, si potrebbe chiedere a qualsiasi ottuagenario perché quella che tutti chiamano piazza Santa Maria si dovrebbe chiamare piazza cardinal Pacca. La chiesa-parrocchia di Santa Maria di Costantinopoli (da cui il nome della piazza) fu bombardata a settembre di ottanta anni fa. E tutto quello spazio è frutto dei bombardamenti e delle demolizioni successive.

Lo stesso Corso Dante è una strada ricavata da ulteriori demolizioni allorché si decise (sindaco Mario Rotili, papà di Marcello) di prolungare l’asse centrale di Corso Garibaldi fino alla Porta San Lorenzo. Una volta per tutte: la totalità del centro storico dall’Arco di Traiano a Cellarulo e Santa Clementina custodisce a diversi livelli le stratificazioni dovute ad eventi naturali (guerre, inondazioni e terremoti) sulle quali sono state innestate tutte le abitazioni ancora in piedi.

Quanto è profonda la stratificazione “romana” si può immaginare partendo dai livelli dei Santi Quaranta o del Teatro Romano o della strada sottostante l’Arco di Traiano emersa al tempo dell’ultimo restauro. A piazza Santa Maria, sotto il livello deciso per Corso Dante, i soliti guardoni dei lavori pubblici (da Bologna è venuto fuori il termine umarell) hanno visto coi loro occhi opere murarie e archi di mattoncini con scorrimento di acqua. Chiudiamo questo punto, sollecitando chi di dovere a far insediare a Benevento una autonoma dirigenza della Sovrintendenza, perché già i sondaggi in corso (non solo a piazza Santa Maria) assicurano che il vero tesoro di Benevento sta sotto terra.

Tornando agli assessori, ma pure ai dirigenti, del nostro amato Comune, c’è una ragione in più per ritenere sbagliata e non legittima l’idea di “portare” i pullman turistici “dentro le mura”. Il sistema di scorrimento del traffico, realizzato negli anni 80-90, è funzionale proprio all’obiettivo di alleggerire la pressione di veicoli pesanti in marcia sulla vecchia circumvallazione e sugli antichi corridoi cittadini. Con la costruzione di nuovi ponti e di tangenziali e di questo anello di strade larghe e snodi a raso senza semafori non v’è nessun bisogno di fare entrare tra le mura mezzi pesanti e ingombranti. I pullman arrivano oggi a cento metri dalla Rocca dei Rettori e dall’Arco di Traiano.

Si pensi a “civilizzare” questa che fu una soluzione provvisoria, facendo chiarezza tra ciò che è una stazione arrivo/partenze e ciò che è un parcheggio. Una stazione di servizi su gomma si può fare anche all’interno un fabbricato, nel quale ci siano uffici, bar, ristoranti, “servizi”, negozi e appartamenti. In quasi tutto il mondo si fa così. Ci si difende dalle condizioni atmosferiche, si costruiscono marciapiedi e “isole” riservate agli utenti e “stalli” dove il bus arriva e si ferma per il tempo strettamente necessario a chi sale o a chi scende e poi torna all’orario di arrivo/partenza di altra corsa. In una stazione del genere possono scendere/salire anche le più disparate comitive di turisti, che ci auguriamo sempre più consistenti.

L’errore di mettere la fermata dei pullman a piazza Santa Maria non è soltanto indice di scarsa sensibilità culturale per le cose antiche (la nostra storia!), ma è palese ignoranza di come è fatta la Benevento degli ultimi 40 anni, in molti dei quali si iscrive il vissuto (frequenza scolastica, scelte di vita, professioni ed esercitazioni politiche) di assessori e consiglieri ai quali non sta bene l’accostamento a quella “asinità sinfonica” brevettata dal preside Rocco Maria Olivieri.

Quasi un post scrptum. Diretti entrambi all’Ordine dei Medici per il convegno a ricordo di Massimo Bozzi, l’assessore Rosa mi contestava l’affermazione di “potature fuori stagione”, perché un esimio consulente del Comune attesterebbe che si può potare fino al 31 maggio. Rocco Maria Olivieri (che di Massimo Bozzi era zio) farebbe ricorso alla “asinità”, a me questo perito ricorda quell’altro (Regione Campania) che assecondava la tesi del Comune di Benevento circa la assoluta e improcrastinabile necessità di tagliare tutti i pini. Rosa si assegna il merito di aver salvato i pini, ma furono indispensabili quelli che dimostrarono l’infondatezza della perizia. Salvi, l’anno prossimo, pure i lecci dai potatori maggiolini e, imbracciata l’accetta di “assessore al ramo”, potrà andare diritto alle nuove elezioni.

MARIO PEDICINI