BENEVENTO. SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE In primo piano
Non per parafrasare Shakespeare ma, forse, per colpa del caldo opprimente o della cattiva digestione ho fatto un sogno. Assopitomi nelle braccia di Morfeo, mentre tentavo disperatamente di arrivare a fine pagina del libro che stavo leggendo, all'improvviso ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovato in una Benevento sconosciuta.
Il verde pubblico era curato e ben tenuto. I lecci sotto casa erano potati e non oscuravano più la vista del fabbricato in cui abito. Al Viale degli Atlantici al posto dei tronchi dei pini abbattuti, recintati con picchetti e nastro rosso, si ergevano pini giovani. Il fantomatico pino 19, orrendamente mutilato ed unico superstite della strage di gennaio 2025, si stagliava come simbolo della vita a ricordo dell'inutile cinico tentativo di cambiare connotati ad una zona così cara ai beneventani.
I marciapiedi ed il manto stradale del Viale erano ritornati alla normalità e non si era più costretti ad evitare i sali scendi delle montagne russe. Piazza Risorgimento si apriva alla vista per dare risalto sullo sfondo all'architettura razionalista del liceo Giannone, frutto del genio di Luigi Piccinato, - con da un lato la scuola Mazzini di Frediano Frediani e dall'altro la ex Banca d'Italia, ora sede di Confindustria Benevento, di Mazziotti, Nunziata e Pagano (che aveva sostituito l'edificio della GIL di Roberto Pane), - non essendo oscurata da squallide pensiline in cemento armato che toglievano la profondità e la prospettiva con le quali era stata concepita, riducendola ad acquario chiuso in mare aperto.
Di fronte al Duomo era completato l'edificio progettato degli architetti Gabetti ed Isola, vincitori di un concorso internazionale, evitando il pericolo di restyling in stile Dubai proposto da un intraprendente imprenditore locale, con ristorante, roof garden, pareti luminose ed altre raffinatezze da Emirati Arabi proprio di fronte al simbolo del cattolicesimo di Benevento (fino al 1861 enclave dello Stato Pontificio nel Regno delle Due Sicilie). La zona industriale era arricchita della famosa fabbrica di batterie elettriche, prima lituana poi cinese, che occupava manodopera locale per circa 300 unità.
Il campo da golf a 18 buche faceva parte di un importante circuito internazionale. Benevento attirava giocatori professionisti da tutto il mondo, con relativo indotto economico e di immagine. Insomma, più che l'Arco di Traiano, il Teatro Romano, la scrittura ed il canto beneventano, la città, una volta capitale della Langobardia minor, tirava nel turismo per la nobile pratica del golf.
La solita crisi idrica estiva, puntuale come la stagione, era scongiurata. Benevento non aveva più sete, tanto da innaffiare copiosamente il campo da golf. La scuola Torre era risorta dalle ceneri come l'Araba Fenice, grandioso esempio di edilizia scolastica antisismica. Il vecchio terminal era trasformato in uno splendido parcheggio multipiano, con servizi e zone a verde.
Il tutto completato dalle gallerie, abortite diversi decenni fa, dell'asse interquartiere per collegare le zone della città, nell'attesa della metropolitana leggera per dare senso alla nuova Stazione Appia. Insomma, per dirla alla Chiambretti, una piccola Svizzera.
Mi sono svegliato ed assonnato sono corso alla finestra illuminandomi di realtà.
I lecci non sono potati ed aspirano a raggiungere il secondo piano del fabbricato in cui abito, testimoni di una politica del verde spontaneo ed eterno. Si era promossa la messa a dimora di nuovi mille alberi, ci si acconterebbe di una potatura periodica di quelli esistenti. Insomma la solita politica green al green.
Il Viale degli Atlantici continua ad essere un percorso ad ostacoli per i pedoni e le autovetture. I tronchi dei pini abbattuti continuano ad essere recintati, tranne il pino 19 finora scampato alla morte ma purtroppo sfregiato in modo orrendo, unico testimone della pulizia etnica della (dis)amministrazione cittadina.
Piazza Risorgimento nasconde il bello edificio del liceo classico Giannone dietro pensiline da stazione ferroviaria e l'ex terminal è ridotto ad un campo disseminato da crateri che sembrano colpi di mortaio.
L'edificio di fronte al Duomo continua ad essere incompleto, la Solitek (nomen omen) ha dato buca ed adesso si aspettano i cinesi.
Benevento non ha più sete pure avendo la solita crisi idrica, in attesa di innaffiare il campo da golf che la lancerà nell'olimpo delle mete internazionali.
La scuola Torre continua ad essere un terreno per lo scontro politico, si affaccia la minaccia del completamento delle gallerie dell'asse interquartiere per collegare zone di questa piccola Zurigo dove però i giovani continuano a scappare.
La linea ferroviaria per Napoli, la cara Valle Caudina dei ricordi di studenti, è divenuta un mistero della fede, ma si è completata la ristrutturazione della Stazione Appia; unica stazione in Italia dove non passa un treno.
Finalmente mi rassereno.
E' la solita Benevento ipocrita, che alla programmazione preferisce l'improvvisazione, il tiramm a campà; alla manutenzione preferisce l'inaugurazione. Si inaugura tutto l'inaugurabile, per lasciarlo deperire e ... inaugurare di nuovo. Inaugurare è facile, difficile è manutenere, ancor di più programmare.
Insomma, una città circolare alla cui vocazione storico-turistica si sostituisce una visione confusionaria, anarchica, illusoria, ispirata al grido Guagliò facite ammuina, che, con falsità storica, i perfidi vincitori piemontesi attribuivano ai marinai borbonici, ma che in questo caso, purtroppo, calza a pennello.
UGO CAMPESE