Dirigenti e debiti fuori bilancio In primo piano
Il sommo Totò proclamava: “Succedono cose da pazzi in questo manicomio” Anche fuori, per la verità.
Prendiamo il caso dei debiti fuori bilancio al Comune di Benevento, ma sono cose che succedono anche in altri manicomi. La regola aurea che si insegnava una volta era: “Tutto nel bilancio, nulla fuori dal bilancio”. Vvale per i privati, ma soprattutto per i soggetti pubblici, che sono tenuti ad amministrare nell’interesse (e con i soldi) della comunità.
I dieci comandamenti ci stanno perché, se pure tutti gli uomini di buona volontà riuscissero a fare le cose per bene, è previsto che ci può scappare lo sgarro ed è disciplinato. Quindi anche per i debiti fuori bilancio, poiché la “fattispecie” è prevista, càpita che bisogna farvi ricorso.
Il Comune è un amministratore della comunità, per la quale presta servizi i cui costi deve affibbiare ai cittadini che, pertanto, pagano imposte, tasse e tributi vari. Il tutto, a cadenza annuale, entra nel bilancio, che è fatto di due atti distinti: bilancio di previsione e conto consuntivo. In teoria le cifre dei due strumenti dovrebbero combaciare. Ma può succedere che accadano fatti che non è stato possibile prevedere, ma sono accaduti, e sono costati. L’esempio facile per le nostre terre è quello di un terremoto. E’ raro che accada il fatto opposto, che arrivi per il Comune una “entrata” straordinaria non prevista: una nobildonna che irride nipoti e servitù e lascia una cospicua eredità al Comune.
Fatti salvi gli eventi imprevedibili, il bilancio preventivo dovrebbe bastare ad affrontare la vita ordinaria. Quindi nel bilancio di previsione ci devono essere “appostate”, per esempio, anche somme di danaro per far fronte ad esiti di procedimenti giudiziari.
E’ possibile che nel corso dell’anno emergano obblighi di pagamento che non trovano corrispondenza nelle previsioni. Per il principio sacrosanto “Tutto nel bilancio, nulla fuori dal bilancio”, questi pagamenti devono rientrare nel bilancio di previsione attraverso la procedura del “riconoscimento del debito”.
Chi fa questo riconoscimento? Nel caso nostro, alla fin fine è il Consiglio Comunale. Ma chi fa i conti, e prepara gli atti amministrativi che autorizzano il pagamento, sono i dirigenti e i funzionari dell’apparato amministrativo.
Dirigenti e funzionari pagano lavandosi le mani o, per caso, non hanno il dovere di spedire in consiglio comunale l’esito di eventuali trattative e compensazioni con i creditori? Scendiamo nel pratico. I consiglieri comunali sono stati chiamati a far entrare nel bilancio il “costo” di “operazioni” riguardanti dipendenti dell’ente che hanno ottenuto dal giudice ciò che era stato loro negato da un dirigente (o comunque un uffiziale). Nella pubblica amministrazione non tutto avviene per meccanismi automatici. Domanda: perché l’impiegato Caio si è dovuto rivolgere al giudice? Nel suo ufficio, tra il negare e il pretendere, non c’è il clima adatto ad affrontare serenamente la questione e arrivare ad un punto di soluzione, che sposti qualche euro da una parte all’altra, ma eviti di affrontare gli euro per un avvocato e quelli per un processo? Il dirigente che si irrigidisce, si lava le mani e attende la prevedibile condanna da parte del giudice non è responsabile del danno erariale consistente in ciò che il Comune deve pagare nel rispetto di una “prevedibile” sentenza?
Il Consiglio Comunale, prima di votare in blocco (maggioranza costretta a dire sì, l’opposizione libera di dire no) ha il diritto di avvalersi di una funzione ispettiva, per accertare se, insieme all’ineccepibile conclusione del riconoscimento del debito, non ci sia un momento precedente nel quale c’è chi non ha fatto l’interesse del Comune, non ha esercitato il diritto-dovere di valutare l’ipotesi di un possibile esito di una sentenza sfavorevole al proprio operato?
Qualcuno potrà obiettare: ma al Comune non comanda il sindaco, non comandano gli assessori? Questo è un alibi molto comodo, ma assolutamente infondato. Il dirigente è l’unico responsabile della correttezza dell’atto amministrativo. In fatto e in diritto. Quando legge una denuncia di un sottoposto, il dirigente ha il dovere di valutare se la resistenza in giudizio ha qualche probabilità di successo. Nel dubbio c’è la strada di un patteggiamento, di un accordo onorevole, se ciò semplicemente fa svanire il superiore danno economico scaturente da una sentenza.
E’ il momento di cominciare a fare chiarezza, chiamando ai propri doveri ogni soggetto della piramide amministrativa; e a cambiare il clima del “si fa come dico io”, anche quando quell’io si accollasse in partenza le conseguenze dei risarcimenti ordinati dal giudice. Collegio dei Revisori dei Conti, Segretario generale, dirigenti non compromessi con procedure concorsuali, dimostrate di esserci e date certezze ai consiglieri comunali che vogliono vederci chiaro, perché hanno l’ambizione di dare alla città uno spiraglio di cambiamento.
MARIO PEDICINI