Fabrizio D'Aloia: Benevento deve rivolgersi al passato come ''risorsa per guardare avanti'' In primo piano

L’arte autentica risorsa del turismo esperienziale″. È stato un confronto ricco di spunti di riflessioni l’incontro promosso da Eccellenze Sannite e La Fagianella, su una tematica abilitante del turismo esperienziale, l’arte moderna, in un territorio con un invidiabile patrimonio e testimonianze artistico-culturali. Visione e strategia, le parole chiave per aprire le porte del progresso e della crescita, economica e sociale. Di questo e di altro ne abbiamo discusso con uno dei protagonisti della serata, Fabrizio D’Aloia, vice presidente dell’Associazione DiCo, Digital & Contemporary Art.

Da parte vostra c’è una visione che può forse dare alla città di Benevento un valore aggiunto: la modernizzazione, anche spinta. Si leggono tante cose che state pensando di fare come Associazione DiCo, Digital & Contemporary Art, anche per risolvere il problema “Mamozio”.

Sei realmente fiducioso oppure è utopia e sei solo un visionario?

Per ospitare l’arte contemporanea bisogna infrastrutturarsi. In questo contesto rientra anche il problema Mamozio, ma rientrano anche tanti altri problemi: abbiamo artisti che desiderano donare le opere e non sappiamo dove collocarle; abbiamo opere d’arte messe in un angolo ad impolverarsi, senza che danno bella mostra di sé, senza che esprimano il messaggio che vogliono dare, con grande tristezza degli artisti ma anche e soprattutto dei cittadini che non possono fruirne; così come esistono opere d’arte acquistate negli anni, abbandonate a se stesse nei piazzali e che sono diventate un problema, dei rottami da smaltire: opere d’arte dal valore artistico di diverse decine di migliaia di euro abbandonate a se stesse! Noi ci stiamo impegnando non solo a «censirle», ma soprattutto a recuperare quello che già abbiamo e renderlo fruibile ai cittadini. Perché l’arte contemporanea deve essere innanzitutto qualcosa che fa vivere bene la propria città, il proprio spazio urbano, il proprio territorio, innanzitutto ai cittadini e poi anche ai visitatori.

Se ciò avvenisse, non mancherebbero riflessi importanti anche sull’economia della città.

Certo, diventa anche un motore di sviluppo. L’arte contemporanea attrae intelligenze dall’esterno laddove si lega al contesto, valorizza il territorio, le sue tradizioni, la sua cultura, anche riscoprendo antichi mestieri, spesso in fase di estinzione, che nascono dall’artigianato e dalla tradizione: l’artigianato è la prima forma d’arte che si manifesta sul territorio, che è radicata nel territorio stesso. E l’arte contemporanea deve partire da questo se vuole trasmettere messaggi positivi e produttivi.

E quale ruolo immagini per il privato?

Il privato può giocare un ruolo importante solo quando il territorio s’infrastruttura per attrarre capitali, nel fare investimenti che nascono da un’arte contemporanea che è «partecipata». Il Museo d’Arte Contemporanea è sicuramente un contenitore, ma non può essere un contenitore chiuso: deve essere un contenitore che guarda all’esterno. Quindi il coinvolgimento degli artisti locali, che hanno quel sapere che nasce dal territorio e che può trasmettere emozioni, innanzitutto ai cittadini, che devono partecipare nella costruzione di quello che sarà il patrimonio artistico del futuro della città. Perché noi poniamo oggi le basi per il patrimonio artistico del futuro, per proiettare Benevento, dopo tre millenni di storia, anche nel nuovo Millennio. L’arte non è mai nata come arte: è nata come manufatto per essere vissuto come territorio, dall’urbanistica fino alle decorazioni.

Chiariamo bene questo passaggio.

Noi non possiamo vivere di quella che era l’arte contemporanea di un tempo, che oggi è diventata arte classica, senza porci il tema di trasmissione nel futuro del nostro sapere culturale attuale, che si trasmette con un messaggio forte, appunto quello dell’arte, che attiva i sensi e parla all’inconscio più di quanto possano fare le parole. Insomma, non basta la visione: c’è bisogno di una strategia, che vada oltre gli spazi; una strategia fatta di eventi, fatta di partecipazione. L’Associazione di cui sono vice presidente e fondatore, si pone proprio l’obiettivo di creare nuova economia utilizzando l’arte contemporanea come driver principale.

Utopia che è diventata realtà in diverse città europee...

Abbiamo esempi incredibili in Europa, da Lipsia a Bordeaux ad altri centri minori, che hanno una storia assolutamente non paragonabile a quella di Benevento, tuttavia sono riusciti a creare, esclusivamente con l’arte contemporanea, un flusso economico incredibile che attrae un turismo consapevole, intelligente, in grado d’investire sul territorio e che di quel territorio si è innamorato. I luoghi servono e sono luoghi della memoria, ma serve anche distribuire l’arte intesa come emozioni, come intelligenza emotiva del territorio. E quindi, in questo senso, farla vivere quotidianamente ai cittadini perché devono essere loro a nutrirsi di arte e ad avere quella consapevolezza che li porta poi a connettersi con l’arte, con il territorio e anche con altri mondi ed altre forme d’arte che sono all’esterno del territorio nativo.

E qui il ruolo-chiave del Museo a Benevento...

Esatto, perché nessun Museo può vivere isolato: il Museo deve far parte di un circuito, deve collaborare con altri musei, deve scambiare gli artisti, scambiare le mostre, scambiare la comunicazione. Spesso sul territorio assistiamo a manifestazioni anche pregevoli dal punto di vista organizzativo, ma assolutamente sconosciute sul territorio e anche all’esterno, perché sovente il budget è ridotto, la comunicazione è non strutturata, se non inesistente per cui parlare di cataloghi diventa già troppo. E allora, da questo punto di vista, c’è bisogno assolutamente di una strategia e di infrastrutturarsi: il Mamozio è sicuramente parte della nostra strategia.

Che ruolo avete immaginato debba avere per conquistare anche i più scettici sulla bontà del vostro agire?

Riteniamo che sia un momento di non ritorno, un tempo di rottura, ma anche di confronto. Nel momento in cui Benevento deve «svoltare», innanzitutto, deve rivolgersi al passato esclusivamente come risorsa per guardare avanti. Quindi quell’involucro deve essere ridisegnato nella chiave in cui è stato proposto: deve ospitare arte contemporanea e soprattutto guardare al futuro, connettersi ad un futuro che è sempre più digitale. L’arte digitale è un modo per rimbalzare, far conoscere il territorio anche all’esterno. In questo senso abbiamo messo a punto una progettualità che prevede anche la creazione di una Galleria d’arte digitale, aperta sul territorio e ci auguriamo che trovi spazio all’interno dei progetti che si stanno portando avanti per riqualificare il centro urbano. Noi pensiamo che l’arte contemporanea, e soprattutto l’arte digitale, possano svolgere un ruolo importante nel proiettare le emozioni del territorio all’esterno. Coinvolgendo innanzi tutto i cittadini.

Parlando di futuro, di digitale, inevitabilmente si pensa alle nuove generazioni, che in massa stanno lasciando questo territorio...

L’arte contemporanea crea tante nuove professionalità per i giovani: un elemento per ancorare i giovani su questo territorio, dare loro la possibilità di esprimersi. L’arte contemporanea digitale è un elemento in più per far sì che si svolti anche per quanto riguarda il calo demografico.

A Londra ti occupi, tra le altre cose, di vendita di quadri in “francobolli”: vendete ad esempio un Picasso in frazioni piccolissime, su un mercato molto particolare. Sentiamo molto parlare di bitcoin, di blockchain e spesso ci risulta un mondo molto lontano; ma chissà se dietro tutto questo non ci sia anche il futuro dell’arte contemporanea ed il futuro dell’arte nella nostra città?

Il futuro dell’arte contemporanea sicuramente si sposa con la finanza innovativa e con tecnologie digitali e crittografiche: non solo l’arte digitale ma anche l’arte contemporanea ed il collezionismo in generale. Il progetto Artsquare.io di cui sono fondatore e Managing Director - un progetto internazionale diventato un punto di riferimento per l’industria dell’arte contemporanea - ha l’obiettivo di democratizzare il mondo dell’arte: l’arte contemporanea come asset class, cioè come un qualcosa che si rivaluta nel tempo. L’arte è sempre stato un settore molto esclusivo, destinato ai pochi che possono permettersi di avere il capitale per acquistare l’intera opera. La nostra idea è semplice ed è mutuata da quello che avviene in Borsa, da decenni, con le aziende che si quotano e quindi vendono frazioni del proprio capitale anche a singoli piccoli investitori. Noi abbiamo fatto lo stesso col mondo dell’arte ed abbiamo creato una Borsa dove vengono quotate le opere d’arte e, chi vuole investire, ne acquista una frazione in funzione di quella che è la propria possibilità economica. In questo modo si partecipa al mercato dell’arte contemporanea anche con piccoli capitali. Molto spesso sentiamo dire: «Se avessi avuto tutti i soldi avrei comprato Lucio Fontana vent’anni fa, perché sapevo che sarebbe diventato un artista importante». Ecco, noi diamo la possibilità a tutti di partecipare e di seguire l’intuito, seguire l’emozione che trasmette un’opera d’arte ed investire anche solo su una piccola frazione. Questo è un progetto che portiamo avanti da Londra sul mercato internazionale ed ha coinvolto anche artisti italiani contemporanei come Jago, per esempio, che ha aperto un bellissimo museo in una chiesa sconsacrata a rione Sanità a Napoli. È quotato sulla nostra piattaforma e ha venduto un’opera d’arte molto bella, oggi di proprietà di più di 7000 piccoli investitori. Siamo stati i primi al mondo a farlo.

Hai accennato ad una notizia positiva per la collettività. Qualche dettaglio in più...

A settembre inizieranno i lavori di restauro dell’opera di Dalisi, un’opera estremamente importante per la città perché ha avuto delle traversie incredibili che andremo a raccontare in una mostra a latere dell’opera, quando sarà ricollocata sul territorio. Riccardo Dalisi è un grande dei contemporanei ed ha avuto una mostra bellissima al MAXXI a Roma, una mostra che ha avuto un successo internazionale incredibile.

C’era una zona della mostra dedicata alle sue installazioni pubbliche, quindi le foto di vari interventi d’arte contemporanea nel nostro paese e in molte città del mondo, ma non c’era neanche una foto del Presepe di Benevento. Non c’era neanche una foto!

La cosa che mi ha sorpreso è che il curatore, che ha studiato tutta l’opera di Dalisi, non ne era a conoscenza di quell’opera, la più grande fisicamente realizzata del Maestro, si è persa completamente memoria.

Il che dimostra come non ci sia stata né sensibilità né visionestrategia, ma solo un grande sperpero di denaro. C’è stato un basso coinvolgimento della cittadinanza, un successivo lavarsi le mani di questa patata bollente che nessuno voleva più toccare.

Dobbiamo ripartire da quel che abbiamo, dobbiamo necessariamente riprendere un patrimonio che già abbiamo acquisito, per quanto frammentato attualmente, ripristinarlo, ricollocarlo nella città, coinvolgere i cittadini, farlo apprezzare e ammirare.

Perché soltanto se i cittadini vengono coinvolti e lo apprezzano, e lo comprendono, non lo vandalizzeranno, non lo vedranno come un corpo estraneo che s’intromette nel loro territorio, che dà fastidio alla loro concezione di città a cui sono abituati: una visione senza arte, senza emozioni, ma confortevole, piuttosto che una visione di un’opera d’arte calata dall’alto, quasi come a dare fastidio al territorio, anziché dare un vantaggio e una visione.

Giuseppe Chiusolo