''Giustizia è (s)fatta. Il casus belli del giudice FI.LO. e del giudice FI.FO.'' In primo piano

Nel tribunale di Vattelapesca da tempo svolge la funzione di giudice civile il dottore Attendo Riflessioni, i cui provvedimenti sono talmente rari e centellinati che gli avvocati del piccolo foro, conoscendone la passione per l’inglese, lo chiamano “il giudice FI.LO.”, cioè first in, last out.

In vernacolo: “E … aspettà”.

Quelli più maliziosi, attenendosi ad una tipica specialità culinaria, lo apostrofano “giudice a lenta lavorazione”.

Insomma, innanzi a lui si procede in una calma olimpica che rasenta l’apatia.

Il tempo si dilata come le speranze e le vite di coloro affidati a cotal nocchier, il quale, come novello Caronte, le traghetta negli inferi del giudizio fino all’agognata sentenza quando oramai si era rassegnati al vagare eterno.

Gli avvocati, assuefatti al processo del … gambero, rinunziano a chiedere le anticipazioni delle udienze, fissate (sempre) per l’anno che verrà, per non incorrere nel solito diniego, giustificato con la solita ingiustificabile giustificazione: “avvocato non lo chieda, non posso; ho cause più vecchie da smaltire”.

Insomma, tutto scorre lentamente, come l’agonia giudiziaria, nell’indifferenza dei suoi protagonisti, allorquando un fulmine a ciel sereno squarcia gli equilibri faticosamente conquistati sul campo.

Arriva un nuovo giudice, il dottore Organizzato Decidere; giovane ingenuamente mosso da entusiasmo e voglia di fare, il quale, con gradita sorpresa degli avvocati, assume con energia il ruolo dei giudizi assegnati.

Non solo quello gravoso dei giudizi “ereditati” dagli altri giudici, simpaticamente scaricati sulle spalle dell’ultimo arrivato, ma anche quelli nuovi che … nascono innanzi a lui.

Si nota subito che ha visione prospettica ed organizzazione del lavoro.

Nei processi ereditati, dopo averli studiati, quando può formula alle parti una proposta conciliativa in base allo stato dell’arte, applicando l’articolo 185 bis del Codice di Procedura Civile; norma ignorata dalla maggior parte dei suoi anziani colleghi.

Nei processi nuovi, cerca di contenerne il tempo ispirandosi ai principi generali della concentrazione e dell’immediatezza.

Insomma, per il giudice Organizzato Decidere deve essere deciso prima il giudizio che prima viene introdotto, in modo da eliminare in radice la falla dei giudizi in omnia secula seculorum.

Gli avvocati del piccolo tribunale di provincia, entusiasti di cotanto carattere e coraggio, immediatamente gli appioppano il nomignolo di “giudice FI.FO.”, cioè first in, first out (in contrapposizione a quello del giudice Attendo Decidere).

In vernacolo: “chi prima trase, prima iesce.”.

Purtroppo al dinamismo del giovin magistrato fa da contraltare il malumore dei suoi anziani colleghi, che vedono messo in pericolo il loro consolidato metodo di lavoro ed avvertono la difficoltà di essere additati come temine negativo di paragone. “Di quel si può fare di più” che pochi incoscienti avvocati sostengono da tempo, inascoltati nell’indifferenza generale.

La contrapposizione fra le differenti anime del processo sfocia in un casus belli della magistratura locale, tanto da richiedere la convocazione di una riunione dei giudici assegnati al settore civile innanzi al Presidente del tribunale.

Dopo una vivace discussione e l’esposizione delle rispettive ragioni il Presidente, con opera di accurata mediazione, riesce a trovare la quadra (il compromesso?).

I giudici anziani si impegneranno, ove possibile, a dare applicazione alla proposta conciliativa di cui all’inapplicato articolo 185 bis del Codice di Procedura Civile ed il giovin magistrato a contenere i tempi dei processi in quelli più … riflessivi dei confini annuali (tre anni?) delineati per non incorrere nelle maglie della Legge Pinto (istituita per chiedere il risarcimento dei danni provocati dalle lungaggini del processo).

E, come nelle favole, vissero tutti felici e contenti, - o forse non tutti (sicuramente non le parti e gli avvocati), - sapendo che finalmente giustizia è …. (s)fatta.

UGO CAMPESE