Il bradisismo ed il sovraffollamento abitativo in Campania In primo piano

Per due mesi, ogni giorno, la stampa regionale ha dato ampio risalto alle scosse sismiche che hanno colpito i Campi Flegrei, con richiamo anche al rischio tellurico del Vesuvio.

Nella mia rassegna stampa sul bradisismo di quest'anno ho raccolto già 47 articoli di varie testate giornalistiche. Articoli ed interviste interessanti, sebbene alcuni in contraddizione fra loro, in cui si descrive la non facile situazione con le incerte previsioni. Si parla anche di progettazione, di evacuazione di popolazioni e di piani di riparazione di edifici colpiti, ma nessun cenno al fatto che, essendo ormai l'area metropolitana dalle colline vesuviane a Pozzuoli largamente esposta alle ricorrenti scosse sismiche, sarebbe ora non già di pensare ad un impossibile totale abbandono delle zone colpite, quanto almeno ad un consistente piano di alleggerimento di insediamenti abitativi, produttivi e di servizi.

Nessun richiamo, da tutta la stampa che segue quelle emergenze sismiche, alla necessità di misurare finalmente la capacità di quei difficili suoli di sopportare l'attuale eccessivo addensamento di edifici sia pubblici che privati. È difficile prendere atto che, al di là degli allarmi e degli inviti alla calma, il vero problema è che oggi, in quell'area metropolitana di Napoli, abitano circa 3 milioni di persone su una superficie di 1.200 km quadrati, ossia 2.500 persone per km quadrato: la massima densità abitativa italiana ed europea. Una irrazionale situazione, molto grave, che certamente non è causa di bradisismo. Tuttavia può rappresentare un forte impedimento all'organizzazione di eventuali evacuazioni, oltre che a far fronte ad altri pericoli. Quindi queste ripetute e ripetibili scosse e agitazioni telluriche dovrebbero convincerci che, soprattutto in determinati luoghi, andrebbe evitata la concentrazione di insediamenti di qualsiasi tipo.

Questo vale innanzitutto per gli edifici pubblici come le sedi universitarie. Difatti negli anni ′70 si aprì un dibattito in cui fui coinvolto anch'io come consigliere regionale, quando si votò sul progetto del Comune di Napoli per il trasferimento della Facoltà Universitaria di Economia da via Partenope a Monte Sant'Angelo. Io non fui favorevole e ne diffusi i motivi in un articolo dal titolo “La scelta per le zone interne”. Eccone qualche estratto: ”I disagi e le disfunzioni derivanti dal sovraffollamento di alcune Facoltà non si superano razionalizzando la sopravvivenza di quel sovraffollamento e creando le condizioni per il suo ulteriore incremento, bensì operando coraggiosamente per creare delle alternative territoriali valide per nuovi insediamenti al di fuori della conurbazione napoletana”.

Oggi, nel 2024, dovremmo ricordare che la necessità di alleggerire quelle aree ce la fecero capire sessant'anni fa alcuni economisti e politici, i quali proposero un diverso assetto territoriale della nostra Campania puntando, appunto, sul riequilibrio urbanistico e produttivo tra le aree interne e la fascia costiera. Personalmente all'epoca ne parlai anche in un articolo pubblicato nella primavera del 1969, in cui tra l'altro scrivevo: “L'assetto territoriale dovrà quindi stabilire l'ossatura portante del sistema di sviluppo della regione, partendo dalla redistribuzione demografica sul territorio, puntando essenzialmente su un'ampia rivitalizzazione delle zone interne di colline e montagna”. Redistribuzione demografica sul territorio regionale, si invocava nel 1969, alla vigilia della nascita dell'Ente Regione. Ma negli anni successivi, invece di redistribuire gli insediamenti, si aumentò l'addensamento produttivo ed abitativo, soprattutto entro pochissimi chilometri dalla costa marina. Oggi, il bradisismo in corso ed il pericolo di eruzione, ci stanno aprendo gli occhi per farci capire che è stato un grave errore non aver ascoltato chi, 45 anni fa, ci sollecitava ad alleggerire, e non a sovraccaricare, l'area metropolitana.

L'emergenza delle scosse sismiche ci fa capire che il problema di oggi, e soprattutto quello delle future generazioni, non è solo quello di organizzare ′le vie di fuga′ -e quindi il rientro a casa- quanto piuttosto quello di creare infrastrutture di servizi e strutture produttive nelle aree interne, per offrire, in via definitiva, una sicura residenza a persone che vogliono vivere non solo senza il rischio sismico, ma anche con una buona prospettiva di lavoro e di vita nei meno affollati e più sicuri territori interni della Campania.

ROBERTO COSTANZO