Il dialetto e i racconti di Enzo Gravina In primo piano

Il dialetto, come si sa, è legato alla storia e alla cultura della comunità che lo parla e proprio per questo deve essere tutelato affinché vengano conservate le radici di un popolo.

A ben riflettere nell’attuale società omologata e standardizzata, il dialetto preserva la propria unicità, identità e fa parte del bagaglio culturale di ogni popolo. Volendo fare qualche riflessione di carattere culturale occorre ricordare che i dialetti, o lingue regionali, sono diventate le distinzioni idiomatiche in seguito all’affermazione della lingua letteraria sul modello dei grandi autori del trecento: Dante, Petrarca, Boccaccio.

Con l’unità d’Italia, poi, alla quale si sono aggiunte l’industrializzazione, la scuola, il cinema, la televisione è iniziata la recessione dei dialetti che vengono parlati solo in casa o con gli amici.

Interessante anche notare che alcuni termini del meridione hanno una chiara derivazione da etimi latini:

LATINO

DIALETTO

LINGUA NAZIONALE

mox

mo

presto

istud

stu

codesto

imus

iammo

andiamo

homo

omo

uomo

A tal riguardo abbiamo incontrato Enzo Gravina, storico e ricercatore della storia e dell’arte beneventana, anche se egli stesso suole definirsi “solo un attento osservatore”. In realtà Gravina è uno studioso di documenti che esamina e confronta, ma con umiltà è pronto a mettere in discussione i risultati delle sue ricerche. Una qualità che non tutti gli storici possiedono.

E’ lui stesso a chiarire che ogni dialetto usa regole grammaticali e vocaboli che lo distinguono dalle altre lingue locali.

Ci fa, allora, alcuni esempi di motti in dialetto beneventano poco noti.

A fraveca ‘a Prefettura tutti ‘ngegnieri e nisciun fravecatore” questo modo di dire trae origine dal fatto che per costruire il Palazzo del Governo si impiegarono moltissimi anni poiché l’arch. Nicola Breglia, al quale furono affidati i lavori, dovette affrontare sia la caduta del governo Crispi che la momentanea carenza di fondi, così la costruzione iniziata nel 1895 fu terminata oltre due decenni dopo.

E di qui un nuovo modo di dire:

ce vonne chill’e ’llarte, pe’ fa’ pure i cuoppole e’ carte” (ci vogliono le persone capaci per fare anche i cappelli di carta che gli operai realizzavano con la carta dei giornali).

“ ‘A troppa cunfidenza, spisso è mamma d’a mala crianza”. Dare troppa confidenza a tutti o anche a persone di diversa educazione, ha come risvolto la scostumatezza e il mancare alle regole del galateo e del saper vivere.

Usanza nun mette e usanza nun leva’ ” (non alimentare in se stessi e negli altri false aspettative o usanze difficili da mantenere).

Eggiu fatto ‘u guaragno ‘e Maria Vrenna” (un’operazione che ha portato a risultati contrari a quelli sperati). Il motto trae origine da un fatto storico inerente Maria de Vrenne che denunciò alcune donne come streghe per ricevere il premio previsto per la cattura. I giudici, però, considerarono la stessa Maria una strega e la condannarono al rogo.

Crisce sante e vicchiarielle” (cresci santo e saggio). Questo modo di dire si usa quando il bambino starnutisce per augurargli buona salute e saggezza (propria dei vecchi), ma la frase augura anche forza e bene fisico.

Gravina è un fiume in piena e potrebbe continuare all’infinito, ma stiamo all’aperto e il cielo minaccia pioggia.

Gli diamo, allora, appuntamento ad un prossimo incontro per ascoltare altri motti e proverbi nel nostro dialetto, ma anche notizie simpatiche e curiose sulla nostra città.

MARISA ZOTTI ADDABBO