La civilizzazione delle aree rurali promossa dall'autogoverno contadino In primo piano

Oggi è possibile arrivare in quasi tutte le contrade rurali con un automezzo, lungo strade piuttosto strette, ma comunque percorribili; tuttavia quanti di noi sanno o ricordano che quei tracciati esistevano anche settant’anni fa però non come strade rotabili, ma soltanto come mulattiere…

A quell’epoca per andare in campagna bisognava servirsi di asini o di carretti trainati da muli. Fu allora che, proprio ad iniziativa dei contadini residenti nelle aree rurali, si avviò la modernizzazione di quella viabilità e quindi la civilizzazione delle campagne.

Non furono direttamente le Amministrazioni locali ma i coltivatori diretti, raggruppati in cooperative agricole, a progettare e quindi costruire le strade rurali percorribili da automezzi meccanici. Quelle cooperative potevano fruire di un contributo finanziario statale, tramite il cosiddetto Piano Verde del Ministero di Agricoltura, pari al 50% o al 75% del costo totale dell’opera. Il rimanente 25% veniva coperto dalla contribuzione dei soci della cooperativa in varie maniere.

Quel tipo di intervento privato a carattere associativo da parte dei coltivatori fruitori di quell’opera pubblica, poiché si trattava comunque di una strada comunale pubblica, cominciò a realizzarsi verso la metà degli anni cinquanta. Con quell’esperienza della costruzione delle strade rurali si passò negli anni successivi alla soluzione di un servizio pubblico piuttosto complicato, cioè l’elettrificazione delle case di campagna, in quanto fino ad allora l’illuminazione delle abitazioni rurali avveniva soltanto con piccoli lumi a mano, alimentati a petrolio. Difatti, ancora nei primi decenni del dopoguerra nelle contrade non vi erano né strade rotabili, né illuminazione elettrica, né condotte di acqua potabile.

Descrivere in tal modo le condizioni di vita di quell’epoca può sembrare esagerato, ma era quella la situazione prima dell’entrata in vigore della Cassa per il Mezzogiorno e del Piano Verde. Difatti, almeno per le campagne, furono gli anni sessanta a segnare lo sviluppo produttivo e civile, che si fondava sull’autogoverno.

Dirlo così oggi, nel terzo millennio, può sembrare esagerato; ma soltanto negli anni settanta, dopo l’entrata in attività dell’Ente Regione, si potè fare a meno dell’autonomo intervento delle categorie agricole, sotto forma di società cooperativa, per realizzare fondamentali infrastrutture civili nelle campagne. Ma il segno dell’autogoverno contadino non si manifestò soltanto sul piano infrastrutturale e nel campo della trasformazione e vendita dei prodotti agricoli, in particolare con le Cantine sociali, che oggi conducono la politica mercantile del vino. Altrettanto avvenne con le cooperative di raccolta e prima trasformazione del tabacco nel quarantennio dell’epopea tabacchicola del Sannio. Ma la formula di autogestione democratica del secolo scorso, il mondo contadino nel Sannio, come in tutt’Italia, la sperimentò anche in campo sanitario a partire dal 1955 quando fu istituita la Cassa Mutua Malattia Coltivatori Diretti, la quale prevedeva non solo l’assistenza medica per tutti i componenti della famiglia, ma la gestione democratica degli organi amministrativi.

Difatti, ogni quattro anni, i coltivatori eleggevano, con un sistema simile a quello delle elezioni comunali, gli amministratori della propria Cassa Mutua. Erano quindi gli organi democratici della Mutua a decidere sulla convenzione con i medici locali e sui rapporti con gli Enti ospedalieri e i medici specialisti. Allora, sull’esempio tracciato dai coltivatori diretti, anche le categorie artigiane e commerciali crearono proprie Casse Mutue autogestite.

Erano altri tempi, altri metodi, altri costi: altri risultati. Oggi, secondo qualcuno, siamo più evoluti ed efficienti, per cui si può fare a meno dell’autogestione democratica. Sarà pure così, ma l’ attuale rapporto tra sistema sanitario e cittadini non sembra più positivo di cinquant’anni fa. Con questo non si vuol dire che si deve ritornare a quei tempi, che tuttavia non possono essere cancellati.

ROBERTO COSTANZO